Musica

«Ittero»: ecco come suona il dream pop agrodolce degli Houstones

La band con base in Svizzera ha presentato il suo primo brano in italiano: abbiamo intervistato il frontman, Saul Savarino
Michele Montanari
03.05.2022 10:11

Ci sono giorni in cui ti svegli preso a sberle dalla malinconia. Come quando sogni di esser tornato bambino. Poi apri gli occhi e ti rendo conto di avere parecchi anni di più. Ti colpisce una tristezza che non fa male. È quasi piacevole. È un sentimento agrodolce che in me, ad esempio, scatta in automatico con alcune canzoni degli Smashing Pumpkins o di Sparklehorse. Pezzi di colonna sonora di una vita andata, entrati sottopelle. Quella musica legata ai ricordi che conosci alla perfezione e ti fa sentire al sicuro. Ecco, Ittero già dal primo ascolto mi ha lasciato quel senso di malinconia agrodolce che fa star bene. Gli Houstones con il loro primo brano in italiano, uscito lo scorso 6 aprile, entrano subito sottopelle. Un basso trascinante. Tastiere che disegnano atmosfere dream pop, e una batteria che non sbaglia una virgola, con quei colpi di rullante messi al posto giusto: less is more. E ancora, riff di chitarra azzeccatissimi che sfociano in un finale strumentale dal sapore funky: con altre sonorità avrebbe fatto sfracelli nelle discoteche alla fine degli anni 70. Sul tappeto sonoro un cantato distante, indefinito, echi shoegaze che si conficcano nella testa. E non è un caso che per la produzione del brano si sia scomodato Marco Fasolo dei Jennifer Gentle. Gli Houstones, band con base in Svizzera e due album all'attivo, sono composti da Saul Savarino (voce, chitarra), Joel Pfister (batteria), Maurizio Cuomo (basso) e Serena Maggini (tastiere e voce). Abbiamo fatto qualche domanda al frontman, Saul.

Ittero è il vostro primo brano in italiano. Come mai questa svolta?

«Più che una svolta è stato un esperimento. Abbiamo provato a capire se fossimo in grado di scrivere melodie che ci piacessero con un testo in italiano. Questo naturalmente è molto difficile da "far suonare", anche perché il nostro genere musicale abitualmente si sposa con le sonorità dell’inglese. Quando canti nella tua lingua madre, hai la possibilità di usare le parole al loro massimo potenziale. La prima cosa che un ascoltatore italofono percepisce in una canzone nella sua lingua è il testo, solo dopo arriva la musica. Se il testo è pessimo non c’è sound che tenga, la canzone sarà un fallimento. In questo caso, credo ci sia stata una congiunzione astrale che ha dato ad una bella canzone, anche un bel testo, che parla di perdita, di rinascita e di relazione con il contesto».

La canzone vira su atmosfere dream pop, con un importante tappeto sonoro di tastiere. Inizia un nuovo corso per gli Houstones?  

«Di sicuro il cambio di formazione ha influenzato molto il sound della band. Se prima eravamo "guitar-oriented", ora gli strumenti si equilibrano con l’entrata nella line-up di Serena alle tastiere e alla voce. In generale ci eravamo anche stancati di basare tutta la composizione sulla chitarra. Scrivendo i brani tutti insieme in studio, sicuramente si ha un processo di scrittura più lento, ma le canzoni sono più originali e le sentiamo più nostre, anche diverse da come ce le saremmo aspettate. Questo senso di stupore ci dà molta energia per andare avanti con una band che quest’anno festeggia i dieci anni di attività. Se non avessimo sempre puntato al cambiamento, non penso che saremmo durati molto come gruppo. Cambiare sempre per non cambiare mai, no?».

Com’è arrivata la collaborazione con un artista del calibro di Marco Fasolo?

«Scrivo di continuo a tutti, nel senso a tutti quelli che ritengo interessanti o utili alla nostra band, sempre alla ricerca di informazioni, consigli, preventivi, etc. Ho contattato Joe Barresi, Chris Goss, Steve Albini o Matteo Colliva, ricevendo risposte cordiali. Chris Goss, per esempio, si è preso il tempo di ascoltarci ed è stato un grande onore, ma mi ha esplicitamente detto che, per come lavora lui, ci sarebbero voluti troppi soldi per una collaborazione. Preso dallo sconforto, guardando la nostra “cassa band” pressoché vuota, ho scritto a Marco Fasolo dei Jennifer Gentle (che ha prodotto Verdena, Bud Spencer Blues Explosion, I hate my village), con l’idea di chiedergli consiglio su chi contattare per trovare qualcuno che ci aiutasse nella produzione artistica dei brani. Immaginavo mi avrebbe passato il contatto di un suo assistente o qualcuno più alla nostra portata e invece, dopo averci ascoltato, si è offerto di farci lui stesso da produttore. Il nostro lavoro è sempre stato autoprodotto e questo “imparare da soli” rallenta molto e allunga i tempi di produzione. Lavorando con un artista esperto come Marco Fasolo, abbiamo chiuso le registrazioni in poco tempo e abbiamo avuto modo di ragionare con lui sui brani. È stata la cosa più professionale che abbiamo mai fatto ed è stato veramente molto arricchente vederlo all'opera. Abbiamo imparato tanto da lui e ci siamo anche molto divertiti insieme».

State lavorando a un nuovo disco? Pensate di scrivere altri brani in italiano?

«Sì, Ittero è uscito il 6 aprile, ed è il primo di quattro singoli che anticipano il nostro terzo disco. Il prossimo singolo uscirà il 25 maggio, e come gli altri verrà pubblicato in stretto legame artistico con i video in stile lo-fi di Ambra Guidotti (quello di Ittero è in calce a questo articolo, ndr). Sicuramente, visto l’entusiasmo generato da questo singolo in italiano, ci saranno altri brani nella nostra lingua, ma la discriminante è sempre la stessa: se il brano suona bene in italiano, quella sarà la nostra scelta, altrimenti no».

Quando potremo sentirvi dal vivo?

«Abbiamo naturalmente un tour in programmazione per la promozione del disco. In giugno è prevista una data a Lugano per "rodare" la produzione del live».    

Quali sono le vostre influenze musicali in questo periodo?

«Questa è una domanda difficile. Naturalmente all'interno della band abbiamo influenze molto diverse, ma questo per noi è un grande vantaggio. Posso dirti cosa c’è nel mio Spotify: attualmente ascolto molto Alt-J, Sofsky, Mark Lanegan, Deftones, Perturbator, Kavinsky. Da un po’ di anni a questa parte mi è praticamente impossibile dire che influenze abbiano i nostri brani. Siamo una band che è partita dall’alternative rock per poi passare allo stoner rock e in qualche modo ritorniamo sempre lì con alcune sonorità, anche se penso che la divisione in generi musicali sia ormai superata. Siamo una band alternative rock? Non proprio. Siamo stoner? Non direi. Siamo pop? Spero di no».