Musica

Jack Savoretti: «Salire sul palco di Estival mi riporterà alla gioventù»

Jack Savoretti è, per molti di noi, un musicista di casa, anche se lui in realtà vive in Inghilterra e in Ticino torna solo raramente – In attesa di vederlo questa sera sul palco di Estival, lo abbiamo intervistato
Appuntamento questa sera alle 22.00 in Piazza Riforma. © CdT/Archivio
Alessandro Zanoli
12.07.2025 06:00

Viene spontaneo adottare con lui un certo tono di famigliarità, conoscendo i suoi trascorsi ticinesi. Jack Savoretti è, per molti di noi, un musicista di casa, anche se lui in realtà vive in Inghilterra e in Ticino torna solo raramente. Lo vedremo comunque stasera sul palco di Estival, e sarà una prima volta in assoluto.

Abbiamo colto l’occasione di questo ritorno per chiedergli qualcosa della sua carriera e dei suoi progetti, che lo vedono ormai come musicista affermato, interprete di un repertorio arricchito da prestigiose collaborazioni con alcuni dei maggiori interpreti internazionali. E lui, molto affabilmente, ha apprezzato questa famigliarità, accettando di condividere i ricordi della sua giovinezza…

Savoretti, per lei che è cresciuto a Lugano, salire su quel palco dev’essere un traguardo particolare… Seguiva Estival da ragazzo? Che impressione le fa arrivarci?
«Sì, lo seguivo da ragazzo, e mi piaceva molto, anche se non posso dire di avere avuto molto a che fare con il jazz. Salire su quel palco sarà comunque un’emozione particolare, perché mi ricorda i bei tempi della mia gioventù. Per me Estival rappresentava un momento particolare dell’anno. Era l’arrivo dell’estate, la scusa per scendere in città: ero ragazzino, avrò avuto 14 o 15 anni».

Riguardando indietro, ha mai pensato che quella sua passione per la musica l’avrebbe portata fino a qui?
«No, onestamente, e la cosa mi stupisce ancora: allora non c’era questa idea di diventare davvero un musicista. Si suonava, ma senza con aspirazioni di farlo diventare un mestiere. Mi ricordo che giravamo in gruppo nelle piazze, durante le manifestazioni a Lugano: ricordo ad esempio Blues to bop, che ti metteva davanti ad artisti internazionali e ti faceva capire qual era il campo da gioco di quelli veri. Mi ha sempre colpito il fatto che in Svizzera, e anche in Ticino, ci fosse una cultura musicale incredibile, e lo si vedeva anche in Piazza a Lugano, anche con i concerti che si tenevano in Piazza Manzoni o al Federale. Mi ricordo, avevamo questo concetto che la musica doveva essere gratuita…».

Parliamo del concerto: porterà sul palco i pezzi del suo ultimo album, Miss Italia?
«No, è una fase che considero passata. Di questi tempi sto guardando avanti, e in realtà, visto che mi avvicino ai 20 anni di carriera, sto pensando di celebrare questa ricorrenza. Il concerto dunque sarà più una retrospettiva sul percorso compiuto: ci saranno certamente dei pezzi da Miss Italia, comunque, perché fa parte della mia carriera, ma sento che sto iniziando un nuovo ciclo».

Parlando di quell’album: è stato difficile per lei, abituato all’inglese, scrivere i pezzi in italiano?
«È tutta un’altra cosa. Scrivere canzoni in italiano non è facile, credo sia uno dei motivi per cui in realtà i grandi autori sono pochi. Io ci ho messo quasi due anni per scrivere canzoni in italiano. Intendo, cose che non fossero banali. Scrivere cose banali è semplice, ma per fare una cosa di spessore bisogna lavorare molto, e spero di esserci riuscito. Il motivo per cui ho pensato di farlo è perché in quell’anno era mancato mio padre, e ho cercato di recuperarne il ricordo. Sentivo la sua mancanza: lui era il mio collegamento con l’Italia e l’italianità, per cui mi era venuta la voglia di rendere un omaggio proprio all’italianità di mio padre. È la musica con cui sono cresciuto: De Gregori, Cocciante, Battisti, e la collego ad odori e sensazioni, al ricordo dei viaggi in macchina con mio padre, che mi raccontava del suo primo amore: sono contento se sono riuscito a far sentire anche quello. Ho voluto che quella musica ricreasse il profumo di quell’epoca».

C’è un bel verso di una sua canzone che dice: “Io sarò sempre qualcuno di un po’ strano: uno che canta in inglese ma sogna in italiano”. I due mondi musicali sono divisi nel suo pensiero creativo?
«È un discorso complicato: a me piace questa strana sensazione per cui quando sono in Inghilterra mi sento italiano, e viceversa. Mi piace, è la mia normalità. Me ne accorgo in particolare adesso con i miei figli, che hanno 13, 10 e 8 anni e si stanno incuriosendo della mia doppia personalità. Vedono che parlo diversamente, che gesticolo diversamente, a seconda del posto in cui sono, della lingua che parlo: è interessante vederlo tramite i loro occhi».

Sul disco è molto interessante la sua collaborazione con Zucchero: come è nata la scelta di “Senza una donna” (che poi avete cantato in inglese)?
«Nasce in modo spontaneo, per conoscenze comuni, contatti imprevisti. A volte è un po’ un rischio, è un’avventura. Sono cose che nemmeno io mi aspetto, sia se mi viene proposto, sia se viene voglia a me di farlo con qualcuno, ma in ogni caso non voglio che diventi una cosa ovvia. Per la collaborazione con Elisa, è stata lei a venirmi incontro, ad avere l’idea, e le sono molto grato. Anche nel caso di Zucchero l’ho conosciuto in occasione di un’intervista, e poi mi ha contattato lui, dicendomi che voleva fare una versione nuova di Senza una donna, e se avevo voglia di collaborare con lui. Lui è molto disponibile, io sono stupito dal suo talento, dalla sua voglia di lavorare: è una macchina della musica, non mi ha mai detto cosa fare, mi diceva “io faccio così, vedi tu come entrarci”».

Sul web si trova una sua commovente e bellissima esecuzione della sua canzone Soldier’s eyes per l’80. anniversario del D-Day. Lo suonerà a Lugano?
«È un brano che ho scritto quando avevo 21 anni, pubblicato sul mio primo album. Nel suo piccolo, è un pezzo che ha avuto la sua risonanza: è entrato persino nella colonna sonora di un videogioco militare. Per quello che riguarda l’anniversario del D-Day, devo dire che io sono sempre stato interessato all’argomento, avevo già visitato i luoghi dello sbarco in occasione di altre celebrazioni. Quando mi hanno chiesto di suonare al cimitero inglese mi sono emozionato, e devo dire che sono state esperienze veramente commoventi. Mi è piaciuto collaborare con un trombettista militare, che non ti aspetteresti sentir trovare un suono così poetico. Ha usato un suono molto delicato, anche se ha fatto fatica… Non era abituato ad essere così libero nell’esecuzione. Io gli dicevo, “Vai tranquillo, sentiti libero, fai quello che vuoi…” e lui mi rispondeva: “E proprio quello che mi fa paura”. Comunque, adesso che me ne parla, penso che lo suonerò a Lugano. Mi piace suonare i miei pezzi vecchi, sono come vecchi amici, mi sento sicuro, con loro…».