L'intervista

«La nostra musica è l'espressione di un bisogno intimo»

È una fusione di rap e reggae che si apre a influenze pop, reggaeton, trap ed EDM quella che propongono i Sun Over Waves – Il gruppo ticinese ha di recente pubblicato il suo quarto album, «Bellavista», nel quale tra le numerose collaborazioni spicca quella con i Vad Vuc – Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con due membri della formazione: Michelangelo Cavadini e Alberto Silini
Da sinistra a destra: Alberto Silini, Michelangelo Cavadini e Gabriele Spalluto. © Sun Over Waves
Mattia Darni
24.04.2024 11:00

Il nome del gruppo, Sun Over Waves, è suggestivo così come lo è la sua musica, una fusione di rap e reggae che si apre a influenze pop, reggaeton, trap ed EDM. Nonostante la giovane età dei suoi membri, tutti classe '95, la formazione ticinese composta da Michelangelo «Jamike» Cavadini (voce e produzioni), Alberto «Albatros» Silini (basso e chitarra) e Gabriele «Monsieur G» Spalluto (produzioni e controllerist) vanta un'attività decennale nel corso della quale ha prodotto quattro album. Proprio per celebrare i dieci anni dalla fondazione, il 19 aprile i Sun Over Waves hanno pubblicato su tutte le piattaforme streaming l'album: Bellavista. Abbiamo incontrato Michelangelo Cavadini e Alberto Silini per farci raccontare la genesi del gruppo e della loro ultima fatica discografica.

Come nascono i Sun Over Waves e come sono evoluti negli anni?
Michelangelo: «Siamo nati sui banchi di scuola e, al debutto, un ruolo importante lo hanno avuto Fid e Cerno dei Vad Vuc. Fid, che era nostro compagno di classe, dopo aver sentito i nostri primi lavori ci spinse a partecipare a una serata open mic al Murrayfield Pub di Chiasso. Sulla scia di quell'esibizione ci iscrivemmo a un talent musicale della RSI intitolato Showtime durante il quale il nostro mentore fu Cerno. Vincemmo la competizione e il premio in denaro ci permise, da una parte, di andare in studio per realizzare il primo disco e, dall'altra, di promuoverlo».

Alberto: «L'idea iniziale di formare il gruppo è venuta a Michelangelo e a me. Michelangelo scriveva canzoni alle quali sarebbe stato interessante affiancare il mio basso. Quando Fid ci ha proposto l'idea di esibirci al Murrayfield, ci siamo detti che poteva essere una bella sfida. Il riscontro è stato positivo, pertanto abbiamo deciso di continuare e abbiamo iniziato a cercare altre persone da inserire nella band. Dopo vari cambi di formazione abbiamo quindi raggiunto l'assetto attuale. Agli albori del progetto Sun Over Waves, l'idea era mischiare dubstep e reggae; con il passare degli anni, tuttavia, la dubstep è passata di moda e quindi abbiamo allargato gli orizzonti. Abbiamo però sempre mantenuto una forte base elettronica, hip hop e reggae».

Perché il nome Sun Over Waves?
Alberto: «Ai tempi della fondazione ascoltavamo un gruppo di nome Mellow Mood che ha composto un brano dal titolo Immigrant Star in cui c'è un passaggio che recita: "I will rise like the sun over the water". L'immagine ci piaceva, ma non la volevamo copiare tale e quale: ecco allora che l'abbiamo trasformata in "Sun Over Waves"».

Michelangelo: «Il nome, inoltre, calza a pennello con la nostra filosofia: il "sole" fa riferimento alla Giamaica, ma anche al Ticino, ed è un richiamo alla musica reggae, mentre le "onde" sono quelle sonore».

A chi si rivolge la vostra musica?
Alberto: «Quando scriviamo le canzoni non pensiamo a un pubblico di riferimento, esse sono l'espressione di un bisogno intimo. Vogliamo però che i pezzi abbiano un impatto positivo sui fruitori, siano facili da ascoltare e, al contempo, permettano a chi intende analizzarli più nel dettaglio di andare in profondità».

Michelangelo: «Le canzoni devono altresì essere fedeli al nome del gruppo: proprio come il movimento ondulatorio dell'acqua, anche i brani devono spingere la gente a ballare».

Di recente avete pubblicato il vostro quarto album: Bellavista. Qual è il concetto che sta alla base del disco?
Michelangelo: «Quando abbiamo scritto la canzone che dà il nome all'album abbiamo capito che quello sarebbe stato lo sguardo che avremmo dato al resto del disco. Abbiamo voluto celebrare un percorso di crescita che si è sviluppato su sé stesso mattoncino dopo mattoncino. È da qui che arriva l'immagine di residenza musicale proposta dall'album: dieci anni di attività festeggiati con dieci brani, ognuno dei quali va a comporre un piano dell'edificio sonoro dei Sun Over Waves. Noi ci troviamo sul tetto di questo immobile allegorico e descriviamo, dal nostro punto di vista, quello che accade intorno. Bellavista è insomma il nostro hotel dove ospitiamo diversi artisti (numerose sono le collaborazioni all'interno dell'album, ndr.), facciamo musica e ci prendiamo una vacanza dalla vita vera».

Alberto: «In Bellavista, inoltre, guardiamo a noi stessi e al nostro percorso. Non a caso nell'album si ritrovano tutti i generi che abbiamo esplorato nel corso degli anni così come i temi principali che hanno caratterizzato la nostra attività. Bellavista vuole infine essere una presa di posizione rispetto al nostro ruolo all'interno della scena musicale».

Ascoltando i vostri brani è difficile etichettarvi con un genere in quanto le canzoni hanno elementi che rimandano all’hip hop, al rap, al reggae e al pop, solo per citare alcune influenze. A cosa si deve questa poliedricità?
Alberto: «Per me tale caratteristica è sempre stata un dato di fatto e non mi sono mai chiesto da cosa sia originata. Probabilmente la risposta è che, non imponendoci dei paletti a livello creativo, tutto ciò che ci piace e che è coerente con la nostra ideologia finisce nei brani».

Michelangelo: «La varietà di generi è altresì da attribuire ai singoli componenti del gruppo. Alberto nasce come bassista metallaro, io vengo invece dalla musica reggae e hip hop: il nostro incontro ha quindi favorito una fusione tra stili musicali differenti. Sono poi subentrati Gabriele e gli altri musicisti con i quali collaboriamo e ognuno si è portato dietro il proprio bagaglio stilistico».

Michelangelo vive a Lugano ed è redattore e produttore multimedia nonché presentatore alla RSI, Alberto vive a Losanna e fa il giornalista per Watson, mentre Gabriele vive a Balerna, insegna arti visive ed è fotografo freelance. Visti gli impegni professionali e la distanza geografica, riuscire a trovarsi per fare musica non deve essere evidente: come fate?
Alberto: «Proprio per le difficoltà organizzative, e non solo, nel 2018 ci siamo presi una pausa. Durante il confinamento imposto dal COVID-19 abbiamo quindi deciso di ricominciare a lavorare assieme. Sembra strano, ma il contesto in cui ci ha messi la pandemia ci ha aiutati perché ci ha obbligati a organizzarci meglio per riuscire a lavorare a distanza. Usiamo poi tutto ciò che la tecnologia ci offre per accorciare le distanze».

Michelangelo: «Negli ultimi tre anni abbiamo altresì dedicato l'estate così come altri periodi dell'anno alle "sessions", ovvero dei momenti in cui ci si trova e si lavora insieme ai brani».

Quando più persone si trovano a collaborare a un progetto non è sempre facile andare d’accordo. Come affrontate e risolvete le frizioni interne?
Alberto: «È importante parlarsi e riuscire a trovare dei compromessi. Il fatto di essere in tre ci aiuta perché le decisioni vengono prese a maggioranza».

Michelangelo: «Nell'economia di un gruppo è poi fondamentale accantonare l'ego personale e mettere in primo piano il bene della band».

Molti vostri brani hanno un featuring. Quando realizzate queste canzoni, le componete voi e, una volta finite, cercate qualcuno di musicalmente affine che presti la sua voce oppure l’artista che compare nel featuring partecipa attivamente alla realizzazione del pezzo?
Michelangelo: «L'idea alla base delle canzoni è sempre la nostra, poi si cerca qualcuno di affine al tipo di brano che abbiamo pensato e, a seconda della collaborazione, gli si lascia più o meno margine di manovra».

Tra le numerose collaborazioni presenti in Bellavista spicca quella con i Vad Vuc. Quello con loro è anche un confronto generazionale: cosa vi hanno insegnato?
Michelangelo: «Gli insegnamenti più grandi Cerno ce li ha impartiti ai tempi di Showtime. Da allora abbiamo sempre cercato di metterli in pratica».

Le collaborazioni presenti nei vostri brani sembrano suggerire una scena musicale ticinese in cui gli artisti si sostengono a vicenda. È veramente così o, al contrario, c’è un approccio individualistico in cui ognuno pensa a sé stesso ed è invidioso degli altri?
Michelangelo: «Partiamo dal presupposto che ogni artista, almeno in parte, pensa prima di tutto a sé stesso. Fatta questa premessa, ciò che abbiamo riscontrato con Bellavista è stata la solidarietà da parte degli altri musicisti. Questa cosa ci fa piacere perché è dai tempi dell'album Onde Sole che cerchiamo di instaurare uno spirito di condivisione e di supporto reciproco».

Per concludere, cosa c’è nel futuro dei Sun Over Waves?
Alberto: «Ancora tanta musica. In questo senso non mi stupirebbe se, già nei prossimi mesi, si iniziasse a lavorare a nuovi progetti».

Michelangelo: «Per quanto riguarda invece i concerti live, al momento non siamo pronti per salire sul palco, ma l'obiettivo è tornare a esibirci al più presto».