L'esperienza dell'insegnamento musicale nella martoriata Palestina

La musica come fonte di dialogo culturale tra i popoli. È la missione di Adele Posani, musicista, insegnante di flauto, musica da camera, teoria musicale, insieme di fiati e capo del dipartimento di fiati all’Edward Said National Conservatory of Music (ESNCM) in Palestina, nelle sedi di Gerusalemme, Betlemme, Ramallah e Nablus che ci racconta della drammatica situazione in Palestina riferendo il quotidiano del suo lavoro e degli spostamenti, permettendoci di farci un’idea di come era (sì, perché non si sa oggi cosa sarà rimasto di ciò che racconta, visto che da qualche mese è stata costretta a lasciare quelle terre e a tornare in Italia) operare laggiù.
Può riassumerci
come era organizzato l’insegnamento della musica sul «territorio palestinese»
prima dello scoppio della nuova guerra il 7 ottobre 2023?
«Premetto di non
essere mai stata nella striscia di Gaza, in quanto è diventato molto difficile
ottenere dei permessi dopo l’operazione Margine di Protezione nell’estate del
2014, ed io sono arrivata in Palestina a settembre del 2015. Per quanto
riguarda la Cisgiordania, posso dire che le maggiori scuole di musica, che
insegnano anche, o esclusivamente, musica classica sono l’Edward Said National
Conservatory of Music (ESNCM ), la
fondazione Barenboim Said, il Kamandjati, l’associazione Sounds of Palestine. C’è inoltre Amwaj, un coro di voci
bianche che svolge attività soprattutto a Hebron e Betlemme».
Che generi di musica si insegnano?
«Oltre al
Conservatorio ci sono molte altre scuole in cui si insegna per lo più musica
araba: quindi oud, tabla o percussioni in generale, buzuq, qanoun, nay, canto,
ma anche clarinetto – molto frequente nella musica araba – e il violino. Queste
scuole sono più piccole e meno conosciute, rispetto a quelle che ho nominato
prima ma svolgono un ruolo cruciale nel mantenere viva la tradizione musicale
palestinese. La musica tradizionale, come anche la danza tradizionale, la
Dabke, sono molto richieste in tutte le cerimonie, matrimoni, fidanzamenti,
festeggiamenti vari, anche quelli per figure di spicco che escono di prigione e
tornano a casa. Per quanto riguarda l’insegnamento della musica classica
l’ESNCM è in assoluto l’istituzione musicale meglio radicata nel territorio,
fino al 2020 contava 5 sedi principali (Gerusalemme, Betlemme, Ramallah,
Nablus, Gaza), più una struttura a Birzeit, villaggio dove ha sede la maggiore
università in Palestina, in cui si svolgevano i progetti più grandi, e in più
organizzava quelli che si chiamavano “outreach programs” in cui alcuni
insegnanti di diversi strumenti si recavano a Hebron, a Gericho, a Jenin per
svolgere attività di propedeutica musicale o anche di regolare insegnamento
strumentale. Per quello che ho potuto vedere io personalmente e tra i racconti
dei colleghi che erano lì negli anni precedenti il mio arrivo, posso dire che
questa istituzione ha funzionato bene tra il 2010 e il 2020».
E oggi cosa
accade?
«Ci sono problemi
di carattere organizzativo ma soprattutto logistico. È difficile rendersi conto
da qui cosa significhi gestire un’istituzione di queste dimensioni dislocata su
un territorio sotto occupazione militare».
Ovvero?
«Facciamo un
esempio: l’accesso alla sede di Gerusalemme, per quanto questa si trovi nel
cuore di Gerusalemme Est, a pochi passi dalla Porta di Damasco e dalla via
Salah al Din, poiché tutta la città è sotto il controllo israeliano con una
annessione de facto, è illegale per la maggior parte degli insegnanti
risiedenti in Cisgiordania. Questo significa che se un insegnante di qanoun è
di Betlemme e a Gerusalemme hanno la classe di qanoun scoperta, costui non può
andare a Gerusalemme per coprire quella classe, semplicemente perché non ha il
permesso per passare il checkpoint. I primi due anni io insegnavo anche nella
sede di Gerusalemme, due giorni a settimana, poi dal 2017 Israele ha smesso di
rilasciare visti per accedere alla città e la stessa procedura che gli anni
precedenti mi aveva fatto ottenere un visto che mi permetteva di passare i
checkpoint, improvvisamente mi relegava solo in Gisgiordania e ho dovuto
smettere di insegnare a Gerusalemme. Progressivamente è diventato sempre più
difficile ottenere visti e permessi anche per gli internazionali: all’inizio si
riusciva a rinnovare il visto turistico semplicemente uscendo e rientrando dal
Paese, poi questo è diventato sconveniente perché si rischiava un “ban”
(divieto di entrare nel Paese per 10 anni); prima una lettera del tuo Consolato
ti permetteva di ottenere un visto a entrate multiple, poi è diventato un
permesso di residenza solo in Cisgiordania che decade nel momento in cui si
lascia il Paese... Questi sono i problemi che un musicista deve affrontare dopo
aver accettato un lavoro in un posto così difficile. Continuità didattica?
Impossibile».
Anche per la
Fondazione Barenboim-Said?
«Sì, nonostante
sia nata con la West Eastern Divan Orchestra, un’orchestra formata da musicisti
sia israeliani che palestinesi, adesso è invece una scuola di musica con sede a
Ramallah, in cui si insegna solo musica classica occidentale. La Fondazione si
propone comunque ancora come unico ponte per giovani musicisti palestinesi che
vorrebbero proseguire con la carriera musicale e studiare in Europa, essendo
ben collegata con l’Accademia Barenboim Said di Berlino e la Fondazione
Barenboim Said di Siviglia».
Da ormai tanto
tempo si parla di una tregua del conflitto in corso che ha provocato nelle aree palestinesi tanta
distruzione. Pensa che lì sia rimasto qualcosa ancora vivo, persone che possano
contribuire alla ricostruzione della Palestina, che sosterrebbero ancora
l’utopia di riproporre la pace, almeno nel far musica insieme?
«Intanto: in
questi mesi di guerra, si è continuato a fare musica a Gaza. A Khan Younis si è
formato un cospicuo gruppo di insegnanti del Conservatorio, che ha iniziato
attività di gruppo, per lo più cantando, anche se ho visto dai video che
avevano solo una chitarra, un violino e un paio di oud (liuti arabi). Questo fa
pensare che la voglia di fare musica non morirà; finché ci saranno delle
persone, ci sarà musica. Non so cosa possa significare la pace in questa terra,
non so che significato abbia in questo contesto».