Il punto

Marrageddon: l'autocelebrazione del rap italiano

Il genere è ancora antisistema o fa parte del sistema? Domanda di attualità a pochi giorni dallo strepitoso successo del festival organizzato da Marracash a Milano
© Instagram/Marracash
Stefano Olivari
27.09.2023 16:15

Il rap è ancora antisistema o fa parte del sistema? Domanda d’attualità, nel cinquantenario della nascita dell’hip hop e a pochi giorni dallo strepitoso successo del Marrageddon, il festival organizzato da Marracash a Milano e che ha visto sfilare tutti i pesi massimi del rap italiano, da Fabri Fibra a Gué, da Salmo a Tedua a tanti altri.

L'ippodromo della Maura

All’ippodromo della Maura, fino a pochi mesi fa sconosciuto anche ai milanesi più milanesi, si sono radunate ben 84 mila persone provenienti da tutta Italia e anche dal Ticino, sfidando l’impossibilità di parcheggiare e la quasi contemporaneità con Milan-Verona nel vicino stadio di San Siro. Al netto delle polemiche sul traffico e sull’assurdità di far confluire 150 mila persone in una zona con una viabilità già difficile, il Marrageddon è stato un successo: il punto più alto toccato dal rap italiano, in senso mainstream. Perché chiaro che chi è salito su quel palco è tutt’altro che un emarginato ed è tutto da dimostrare che lo sia stato da giovane: i rapper italiani sono infatti i principali inventori di ghetti, di gesta criminose e di adolescenze difficili, e in fondo ai loro fan non importa più di tanto che mentano. L’importante è che un brano racconti qualcosa di noi stessi, che faccia scattare un po’ di identificazione, non è un esame del Conservatorio.

Le generazioni

In un mondo come quello del rap, caratterizzato da inimicizie profonde e da dissing anche nella parrocchietta italiana, per non dire milanese, l’operazione messa in piedi da Marracash per incoronare sé stesso ha messo insieme diverse generazioni, visto che a livello musicale le generazioni cambiano ogni quattro o cinque anni. I grandi nomi, quelli mainstream, uniti a gente conosciuta poco oltre i centri sociali: Salmo e Shiva, Fabri Fibra e Paky, Tedua e Kid Yugi, Anna e altri sconosciuti ai genitori di quegli 84 mila ma che potremmo trovare nell’ultimo Sanremo di Amadeus come in un locale di tendenza. Di sicuro la percezione dell’importanza del rap cambia a seconda della classe di età e del contesto: nel 2022 gli ascoltatori di musica in streaming in Italia hanno premiato il rap nella fascia 16-24 anni, ma meno del vituperato pop. Il 54% di quelli che potremmo chiamare «giovani» ascolta pop, il 45% addirittura pop italiano, e solo al terzo posto con il 43% arriva il rap, che ovviamente crolla nelle fasce di età successive.

Marra

L’evoluzione del rap in Italia è sintetizzata dalla storia dello stesso Marracash, dalla Barona (zona Sud di Milano, non ricca ma nemmeno popolata soltanto da delinquenti) alle zone più cool mantenendo però sempre l’aura di rapper vero che ad esempio un Fedez non ha mai avuto. «Sono vero e serio, ecco la novità», cantava Marracash nella celeberrima Badabum Cha Cha, eseguita alla Maura insieme ad altri suoi successi. Ma è una canzone del 2008, che fu presentata su MySpace: sembra di parlare dei dinosauri e anche Marracash in un certo senso lo è, visto che il palco del Marrageddon a un certo punto è diventato quasi sanremese con Mahmood, Blanco, Lazza e Madame. Certo è che il rap, anche quello riveduto e corretto per passare in radio e quindi far scattare il click compulsivo sulle piattaforme di streaming, è il linguaggio più vero dei giovani di una periferia non soltanto geografica ma anche psicologica. Non è un caso che il giovanissimo Max Pezzali sognasse di essere un rapper, cosa che del resto in tante canzoni degli 883 si capisce benissimo, e che quasi nessuno degli 84 mila della Maura faccia parte di una baby gang.

Golden Age

Insomma, il pubblico del rap ruota e rimane mediamente giovane, mentre i rapper sono invecchiati (Marracash ha 44 anni, per dire) e quindi si autocelebrano con operazioni come il Marrageddon e mitizzano il passato. Facendolo però iniziare dalla Golden Age degli anni Novanta e non ad esempio dal Jovanotti di Jovanotti for president, rap in tutto e per tutto tranne che per la considerazione in certi circuiti (che a Jovanotti, dai pensieri sempre positivi, è sempre importata zero). La storia del rap italiano mainstream è proseguita con Assalti Frontali, Almamegretta, 99 Posse, Frankie HI-NRG, e gli Articolo 31 di Così com’è, l’album di rap italiano più venduto di sempre. Senza metterci a fare un elenco che occuperebbe tutto il web, è chiaro che il rap italiano mainstream debba tanto sia agli Articolo 31 sia al successivo Fabri Fibra, anche lui spintosi fino al confine oltre cui non è più considerati veri e seri. Un mondo molto maschile e maschilista, con un’omofobia e una misoginia latenti (neppure tanto) e del tutto paragonabili a quelle, ad esempio, dell’heavy metal.

Futuro di coppia

Ma come sarà il rap italiano del futuro? Sui testi non si può scommettere, visto che bene o male hanno riferimenti all’attualità, ma dal punto di vista degli interpreti la tendenza è chiara ed è simile a quella del pop da tormentone estivo: duetti, collaborazioni, progetti comuni, unione di diversi pezzi di pubblico con la speranza di avere un pubblico vero. Insomma, un immenso Renga-Nek ma volendolo anche far passare per una genialata. Già abbiamo avuto esempi recentissimi con Ensi e Nerone, Coez e Frah Quintale, Luché e Geolier, fino ad arrivare sul palco del Marrageddon con Salmo e Noyz Narcos. E altri ne arriveranno, in un delirio in cui non si capisce più chi sia ospite di chi. Il rap italiano si rivolge ancora ai giovanissimi, ma è diventato adulto. Ai confini del vecchio.