Musica in TV

Nuova Scena, il rap politicamente corretto

Il talent show di Netflix con Rose Villain, Fabri Fibra e Geolier mostra come i tempi siano cambiati e i temi annacquati
Stefano Olivari
19.03.2024 06:00

Può il rap essere politicamente corretto? Fino a pochi anni fa i cultori di questi genere musicale e stile di vita, fondati sulla rabbia e sul desiderio di farcela, avrebbero risposto con un grosso no. Di più: non avrebbero nemmeno compreso la domanda. Ma i tempi cambiano e soprattutto nella loro versione italiana temi e parole del rap e dell’hip hop (spesso usati come sinonimi, pur essendo il rap una parte dell’hip hop) in generale si sono annacquati. Una situazione che è stata involontariamente ufficializzata da Nuova Scena, il talent show di Netflix in cui Rose Villain, Fabri Fibra e Geolier hanno giudicato le nuove leve rap di Milano, Roma e Napoli.

Fabri Fibra vecchio saggio

Un talent show musicale non è certo una novità, ormai ci escono dagli occhi con tutte le loro varianti: junior, senior, gruppi, imitatori, eccetera. Ma una novità è il fatto che riguardi il rap, con i suoi protagonisti sempre in bilico fra la parte degli anti-sistema e quella degli integrati, che nella logica degli altri (di solito di chi non ce l’ha fatta) sono traditori di molto presunti valori. Il paragone con l’X Factor o con l’Amici della situazione è in ogni caso perdente, al di là del genere musicale: su Netflix tutto è più compresso, non si ha il tempo di affezionarsi ad alcuno, nemmeno ai giudici, l’effetto finzione arriva anche al telespettatore meno avvertito. Le uniche parti guardabili sono quelle in cui i giudici interagiscono con i colleghi (da Guè a Rocco Hunt), più che con gli aspiranti rapper. Nessuno dei quali ci è sembrato un personaggio di rottura: tutti imitatori di altri con oltretutto la zavorra del politicamente corretto, per temi e modo di esprimersi. Tutti rispettosi, tutti grazie ad Amadeus con l’obbiettivo del mainstream sanremese più che della nicchia di culto, di cantori di un immaginario ghetto. Significativo che questa deriva ‘perbene’ del rap abbia come sacerdote officiante lo stesso Fabri Fibra accusato di omofobia e sessismo per tanti suoi testi del passato, ed anche condannato a risarcimenti (famoso quello per A me di te, con riferimenti tremendi a Valerio Scanu). Ora nel nome di Netflix chi cantava «Giù le mutande, liquido fuori da questo glande» fa il vecchio saggio.

Dal ghetto al mercato musicale

La data di nascita della musica hip-hop è oggetto di controversie, molti la collocano nel 1973. Ma è di sicuro un po’ più tardi, del 1979, la nascita del rap mainstream, con l'uscita di «Rapper's Delight» della Sugarhill Gang. Da quel momento è iniziato il lungo inseguimento al rock, raggiunto e superato nel 2017 fra vendite e streaming. Nel corso degli anni la musica rap ha affrontato i temi della brutalità della polizia, della sessualità, della povertà sistemica, del traffico di esseri umani e del razzismo, ovviamente sempre quello dei bianchi verso i neri e mai viceversa. Negli ultimi anni, il rap è diventato ancora più progressista e politicamente corretto, con artisti come Snoop Dogg che hanno modificato i loro argomenti per riflettere su questioni sociali con toni meno da ghetto e più digeribili per i non afroamericani. Proprio lo stesso Snoop Dogg che esaltava la cultura del pappone, essendo lui stesso un ex pappone (i rapper americani possono non piacere, ma sono credibili), a colpi ‘Bitch’ per qualsiasi essere di sesso femminile. Poi ha visto la luce, cioè che il mercato stava andando in un’altra direzione, e da bravo ex pappone ha rispettato il mercato. Snoop Dog è solo uno dei tanti, come Eminem, costretti a riposizionarsi pur senza negare il passato.

L'odio per la polizia

L’unico grande punto in comune fra i rapper di oggi e di ieri è l’odio per la polizia, ormai una delle poche cose che si possono criticare. Memorabile ai Grammy 2016 l’esibizione di Kendrick Lamar, salito sul palco con una tuta da carcerato mentre dietro di lui la sua band suonava all'interno di gabbie. Lamar si inseriva nel filone di KRS-One e Public Enemy. Nel 1993 la sua Sound of da Police conteneva frasi come «Woop-woop/ That's the sound of da police/ That's the sound of the beast« e paragonava gli agenti di polizia ai sorveglianti delle piantagioni di schiavi. Nel 1988 i Public Enemy suscitarono polemiche con F*ck tha Police, in cui Chuck D e Flavor Flav ne dicevano di tutti i colori sui poliziotti, oltretutto in un’America che ancora li rispettava. Un’eccezione, nella sua assoluta follia, è Kanye West, di recente ‘non’ visto nel suo ‘non concerto’ (tutto playback, lui mascherato) a Milano in cui ha provato senza riuscirci, a portare sul palco la Curva Nord dell’Inter da cui ha preso un paio di cori per il suo disco. Sostenitore di Trump (in vero tabù è questo) già nel 2016, l’ex marito di Kim Kardashian ha affermato che la schiavitù dei neri fu una scelta. Nel mirino dei media politicamente corretti lui c’è da tempo, ma se fosse bianco lo sarebbe ancora di più.  

Il rap a Sanremo

Nel rap è difficile distinguere la vita dalle opere, perché almeno nelle intenzioni coincidono. Difficile, per fare esempi italiani, chiedere a Simba La Rue, Baby Gang e Shiva di cambiare i loro testi come faremmo se li proponessero a Orietta Berti o a Nek. Ma certo il sempre maggior numero di violenze sulle donne hanno fatto cambiare il vento e così anche Emis Killa (nella sua 3 messaggi in segreteria racconta una storia dal punto di vista di uno stalker) e Ghali hanno dovuto riposizionarsi, sia pure con idee politiche diverse: Emis Killa più destra, Ghali più di sinistra, ma entrambi proponibili a Sanremo. Dove si invitano i rapper, ma questi quasi mai osano fare rap. Esempi recenti: nel 2022 Dargen D’Amico, Rkomi, Aka7even, Highsnob e Achille Lauro, nel 2023 Lazza, Madame, Rosa Chemical, Mister Rain e gli Articolo 31, nel 2024 Geolier, Ghali, Il Tre, e ancora Dargen D’Amico e Mr. Rain. Tutti con varie gradazioni provenienti dal rap, qualcuno a Sanremo con canzoni valide ma nessuna rap per metrica e temi. Certo la donna trattata come un oggetto è alla base di tanti testi rap, soprattutto americani, ed è per questo che questo genere musicale si trova in una situazione paradossale: fuori dai temi sociali (povertà, droga, delinquenza) propone testi profondamente maschilisti e violenti, ma non può essere criticato più di tanto per la sua origine black, per l’estrazione sociale ed etnica di alcuni dei suoi protagonisti e per la sua capacità di adattarsi al mercato.