Musica negli stadi

Una volta c'era solo Vasco, ma non è tutto oro ciò che luccica a San Siro

Da Cremonini a Springsteen, passando per Lazza e Mengoni, ai concerti del Meazza c’erano anche migliaia di ticinesi – Ma come si spiegano i sold out di artisti di fascia media se, fino a pochi anni fa, simili palcoscenici erano riservati unicamente ai grandi nomi?
Un'immagine di Ultimo. © Massimiliano Di Stefano
Stefano Olivari
19.07.2025 06:00

Che cosa hanno in comune Bruce Springsteen ed Elodie? Almeno una cosa: entrambi si sono esibiti a San Siro nel 2025.

Elodie, per la prima volta, lo scorso 8 giugno; mentre il Boss con i due concerti del 30 giugno e 3 luglio è arrivato a quota 10 soltanto in questo stadio.

Al di là di Milano, sede particolarmente cara agli appassionati ticinesi di musica, l’estate 2025 è stata caratterizzata un po’ in tutta Italia da artisti di livello medio - a essere generosi - che hanno scelto la strada degli stadi e quindi dei grandi numeri. Se negli anni Ottanta e Novanta gli stadi erano per pochi, adesso sembrano alla portata di tutti e non soltanto dei cantanti da mega-adunate come Vasco Rossi e Ligabue, Max Pezzali e Laura Pausini. Un fenomeno interessante e non del tutto genuino, che merita un’analisi.

San Siro

Il cartellone estivo 2025 del Meazza fa impressione, visto che non contiamo i concerti dei vari Duran Duran, Dua Lipa e Linkin Park nei vicini ippodromi: dopo Elodie, i Pinguini Tattici Nucleari, il 10 e l’11 giugno, poi il 12 i rigenerati Modà, il 15 e il 16 Cremonini, il 18 Elisa, il 22 Gazzelle, il 25 e il 26 Marracash, il 28 Gabry Ponte, per arrivare a Springsteen che è non è italiano anche se sua madre Adele Zirilli lo era. A luglio, il 5 e il 7 Ultimo, il 9 Lazza, il 13 e il 14 Marco Mengoni. Tutti artisti conosciuti, certo, ma in molti casi, Elodie e Gazzelle in particolare, con una dimensione al massimo da palasport. Sempre a San Siro, possono essere ricordati Sfera Ebbasta e Tedua l’anno scorso, Blanco e i Måneskin nel 2023, Salmo e Alessandra Amoroso nel 2022. In concreto nello stesso stadio si giocano due campionati: quello degli stranieri (nel 2024 Taylor Swift, per dire) e degli italiani forti che i biglietti li vendono davvero a prezzo pienissimo, e quello degli italiani per i quali lo stadio è una questione di status.

Campionati

Chi è stato a questi concerti sa benissimo che dire San Siro, o Maradona di Napoli, è generico. Perché la capienza calcistica può essere ridotta quasi della metà con pochi trucchi: posizionare il palco sul lato lungo, chiudere l’anello superiore occultandolo con teloni neri, posizionare schermi in maniera strategica. Se poi si aggiungono le limitazioni dei Comuni per motivi di sicurezza si arriva a molto presunti sold out, come nel caso di Elodie, da 45.000 spettatori. Comunque tante persone, ma c’è il trucco nel trucco come denunciato da tanti giornalisti (Michele Monina il primo a farlo) e da artisti come Federico Zampaglione: buona parte del pubblico presente è finto. Non quello del prato, composto dai veri fan, ma quello delle tribune che ha il doping di migliaia di biglietti venduti a 10 euro o addirittura regalati, ad associazioni di vario tipo o a una rete di influencer locali. «Perché stasera non andiamo a vedere Gazzelle? Tanto è gratis»: questo il ragionamento di una buona percentuale degli spettatori.

Conti

Chi paga tutto questo? La risposta è semplice: l’artista stesso. Perché essere a San Siro è qualcosa che cambia il suo status per sempre, qualcosa che si potrà giocare in situazioni inferiori: palasport, teatri, feste di piazza, convention aziendali. Ricapitolando: le case discografiche danno agli artisti anticipi per finanziare i tour e gli artisti, o i loro manager, se non li hanno spesi prima in auto e gioielli li usano per sostenere in qualsiasi modo le vendite dei biglietti. In altre parole li comprano loro, pagandoli il meno possibile, con sconti al limite, ma rimanendo formalmente nella legge, sperando di rientrare dell’investimento grazie agli incassi veri. Questa è la spiegazione di tanti tour con un numero di date incredibili e nei posti più improbabili, senza citare per motivi di immagine (ma Instagram non perdona) matrimoni e compleanni. Vale per chi è da palasport e sogna lo stadio, così come per chi è da teatrino e sogna il palasport: a volte l’ambizione e il repertorio possono giustificare l’investimento, a volte no.

Discografia

Alla base di ogni discorso sulle scelte dei cantanti c’è che i soldi si guadagnano soltanto con la musica dal vivo o supposta tale. Nel 2024 l’industria musicale italiana ha registrato un fatturato totale di circa 1,2 miliardi di euro e secondo i dati SIAE i concerti hanno generato circa 700 milioni, oltre il 58% del totale, mentre il settore discografico (fisico e digitale, inclusi vinili, CD e streaming) si è fermato a 400 milioni. Purtroppo per gli autori, lo streaming rappresenta il 70% del fatturato discografico, circa 280 milioni di euro, con meccanismi distributivi abbastanza oscuri ma che comunque hanno queste proporzioni: un milione di ascolti su Spotify genera un incasso di 3.500 euro, cui non più di 1.000 (dipende anche dal potere contrattuale) finiscono nelle tasche degli autori, che in certi casi sono un esercito. Insomma, meglio andare in piazza a cantare vecchi successi che scrivere una canzone nuova di successo mondiale. Ovviamente fino alla fine degli anni Novanta e all’inizio dell’internet di massa funzionava diversamente, visto che un cantante poteva prendere il 15% del prezzo di vendita all’ingrosso del disco. E vendere un milione di dischi, traguardo possibile anche per alcuni dimenticati singoli estivi, significava diventare ricchi senza bisogno di fare giri d’Italia in discoteche di quart’ordine.

Svizzera

La polemica sui finti soldout riguarda soltanto marginalmente gli svizzeri che frequentano San Siro: per Springsteen basandosi sui canali di vendita ufficiali se ne sono stimati 2.000, di cui il 70% ticinesi. Non solo Springsteen, comunque: operatori turistici come Eventi in bus hanno stimato in 20.000 gli svizzeri che nel 2024 si sono recati a San Siro per motivi musicali. I biglietti iperscontati o regalati sono in genere riservati a chi risiede vicino allo stadio, potendo decidere all’ultimo minuto: non il «tifoso» ma quello che più o meno conosce quattro canzoni. Va da sé che chi viene da lontano compri il biglietto in anticipo, pagandolo al prezzo di partenza, gli ormai classici (quando va bene) 80 euro. Ragionamenti inimmaginabili il 27 giugno 1980, quando Bob Marley proprio a San Siro inaugurò l’era della musica nei grandi stadi: a quei tempi i biglietti si pagavano e i dischi si vendevano.

Fra i pochi cantanti italiani che riempiono davvero gli stadi, Ultimo fa storia a sé e non solo per i numeri, con oltre quaranta sold out. Prima di tutto perché è nettamente il più giovane fra gli appartenenti a questa élite, con i suoi 29 anni. In secondo luogo perché il cantautore romano, all’anagrafe Niccolò Moriconi, non è ancora percepito come mainstream nonostante sia un frequentatore del Festival di Sanremo: nel 2018 primo fra le Nuove Proposte con Il ballo delle incertezze, secondo fra i grandi nel 2019 con I tuoi particolari, nel 2023 quarto con Alba. Inoltre Ultimo è, fra i grandi della musica italiana, l’unico apertamente detestato da molti giornalisti fin dal Sanremo 2019, quando secondo lui si erano messi d’accordo per far vincere Mahmood. Una situazione che al Festival di quattro anni dopo sarebbe diventata grottesca, con le esultanze sguaiate di mezza sala stampa una volta avuta la certezza che Ultimo non avrebbe vinto. E proprio pochi giorni fa a San Siro durante il concerto Ultimo, prima di cantare Sul finale, ha indicato la tribuna stampa semivuota: «Vedete i posti di quel triangolino bianco lassù al centro? Quando vengo a San Siro sono sempre vuoti. Poi vi spiego perché». Certo è che la connessione di Ultimo con il suo pubblico è unica, senza mediazioni, un po’ come avviene da sempre per Vasco Rossi. Il paragone ci sta tutto, perché martedì in poco più di tre ore Ultimo ha venduto i 250.000 biglietti del suo «Concerto degli Ultimi» a Tor Vergata previsto il 4 luglio 2026: record italiano di ogni tempo, superando di 25.000 spettatori il Vasco di Modena Park 2017. La differenza, non da poco, con il Vasco Rossi anni Ottanta è che il medio ascoltatore generalista non saprebbe indicare una canzone di Ultimo, o comunque distinguerne una dalle altre. E questa paradossalmente è la sua forza: Ultimo bisogna volerlo, non è che ti capita per caso.