Nino Manfredi, l’allegria di un italiano triste

Una verve scenica che univa tristezza ed ironia, drammaticità e umorismo, ma anche una recitazione apparentemente semplice, spontanea, in grado di far breccia su ogni tipo di pubblico. Erano queste le doti di Nino Manfredi, una delle personalità più importanti della cinematografia e della televisione italiana di cui oggi si ricordano i cent’anni dalla nascita. Nato il 22 marzo 1921 a Castro dei Volsci, in Ciociaria, in una famiglia di contadini (il suo vero nome era Saturnino), ma cresciuto a Roma dove la famiglia si era trasferita al seguito del padre, un maresciallo di polizia, Nino Manfredi sin da ragazzo evidenziò quelle caratteristiche che poi fecero la sua fortuna sulla scena.
Un’adolescenza irrequieta
All’apparenza timido, ma in realtà deciso e irrequieto, scappò più volte dal collegio religioso in cui era stato iscritto da semiconvittore, contrasse la tubercolosi che lo costrinse ad un lungo ricovero in sanatorio dove, dopo aver assistito ad un’esibizione della compagnia teatrale di De Sica, si innamorò della recitazione. Guarito si iscrisse all’università, ma senza mostrare particolare interesse, tanto da passare buona parte del suo tempo a recitare in piccoli teatrini. Dopo l’8 settembre 1943 e l’armistizio firmato dal Governo italiano scappò in montagna col fratello fino al termine della guerra, quando tornò all’università e in contemporanea si iscrisse all’accademia d’arte drammatica. Qui trovò in Orazio Costa il suo mentore e, tacitata la famiglia con una stentata laurea in legge, debuttò in teatro con Tino Buazzelli nella compagnia Maltagliati-Gassman, per lo più con ruoli drammatici di autori contemporanei. Passò poi alla scuola del Piccolo Teatro di Milano con Giorgio Strehler e infine, di nuovo a Roma, con Eduardo De Filippo.
Dalla gavetta a Rugantino
All’inizio degli anni ’50, dopo una lunga gavetta che ne forgiò la duttilità d’interprete, la svolta: con gli amici Paolo Ferrari e Gianni Bonagura si impose alla radio in siparietti leggeri, tra varietà e commedia musicale. Alla radio trovò altri maestri come Vittorio Metz, Dino Verde, Marcello Marchesi che ne intuirono il talento comico, specie nelle controscene. Alla fine del decennio gli si aprirono poi le porte del prestigioso Teatro Sistina grazie alla premiata coppia Garinei e Giovannini che lo scelse per la commedia musicale Un trapezio per Lisistrata: la stessa che nel 1962 lo chiamò per il ruolo che, teatralmente, segnò la sua consacrazione, quello di Rugantino.
Benché con il teatro sempre nel cuore, sin dalla fine degli anni Quaranta fu il cinema il principale palcoscenico di Nino Manfredi. Inizialmente con commediole regionali senza pretese; poi, dalla metà degli anni ’50, le sue doti recitative si rivelarono sempre più adatte per una cinematografia che stava lasciandosi alle spalle il neorealismo portando un tono più leggero nella descrizione della gente comune. Un genere all’interno del quale Nino Manfredi sviluppò una serie di caratteri immediatamente familiari allo spettatore: il provinciale timido, il contadino astuto, il piccolo borghese in cerca di fortuna, il giovane e impacciato spasimante...
La stagione della commedia
In quel periodo lo scoprì anche la televisione e fu proprio la popolarità acquisita sul piccolo schermo a fargli guadagnare ruoli cinematografici più importanti, soprattutto nell’ambito della cosiddetta commedia all’italiana. Da Anni ruggenti (1962) a Nell’anno del Signore (1969) la sua carriera è stata un costante crescendo, proseguita di pari passo con l’affermazione dei suoi registi preferiti, da Dino Risi (Straziami, ma di baci saziami) a Ettore Scola (Riusciranno i nostri eroi). È però legato agli anni ’70 il momento d’oro di Manfredi divenuto nel contempo anche regista e in grado di scegliere in piena libertà le sue maschere: il «mostro» Girolimoni per Damiano Damiani, l’emigrante di Pane e cioccolata per Franco Brusati, il baraccato di Brutti, sporchi e cattivi ancora con Scola, il prete di In nome del Papa Re con l’amico più caro, Luigi Magni, con cui ha avuto un lungo sodalizio protrattosi fino agli inizi del nuovo Millennio. Sempre negli anni ’70 Manfredi prese parte a due delle avventure cinematografiche più belle della sua carriera: con Luigi Comencini creò un indimenticabile Geppetto per la versione televisiva di Pinocchio (1972) e due anni dopo con Ettore Scola diede vita a quel ritratto corale di una generazione che chiude un’epoca della commedia all’italiana grazie al magico incontro fra lui, Vittorio Gassman, Stefania Sandrelli e Stefano Satta Flores sul set di C’eravamo tanto amati.
La tv: da Sanremo alla pubblicità
Il grande successo modificò anche il rapporto di Nino Manfredi con la televisione che iniziò a frequentare anche quale entertainer e cantante, portando nella hit parade il classico di Petrolini Tanto pe’cantà e calcando ad un paio di riprese il palco di Sanremo. Dagli anni ’80 in poi invece la sua carriera si è sviluppata in maniera più istintiva: ritrovato il teatro con un paio di testi da lui stesso scritti e diretti, ha abbracciato la pubblicità diventandone un’icona grazie ad una marca di caffè. In tv è stato poi protagonista di alcune fiction di successo, da Un commissario a Roma a Linda e il brigadiere con Claudia Koll. Le sue ultime prove nel 2003: in tv con La notte di Pasquino di Luigi Magni, al cinema con La fine di un mistero di Miguel Hermoso, valsogli il Premio Bianchi alla mostra di Venezia. Il tutto poco prima di un ictus che lo portò in fin di vita e, dopo un rapido succedersi di miglioramenti e ricadute, alla morte, a 83 anni, il 4 giugno del 2004.