L’evento

«Noi, amanti dell’arte, ci sentiamo rinascere»

La fiera dell’arte di Basilea, Art Basel, dopo un anno di sospensione per la pandemia riapre i battenti e fino a domenica ospita 272 gallerie d’arte tra le più importanti al mondo - Ecco come reagisce il pubblico: «Finalmente, torniamo a vivere la normalità» - VIDEO
La città sul reno accoglie questa manifestazione, la numero uno al mondo, dal 1970
Jona Mantovan
25.09.2021 10:31

Art Basel ritorna. Dopo un anno sospeso a causa della pandemia, la fiera dell’arte che dal 1970 si svolge nella città renana ospita, fino a domenica, 272 gallerie d’arte più importanti al mondo con una selezione di opere di altissimo livello e su qualsiasi media o supporto. Capolavori rari, storici, ma anche nuove opere delle voci artistiche emergenti di oggi. Ma non solo. La sezione «Unlimited», come dice il nome stesso «Senza limiti», propone 62 lavori sconfinati, giganteschi, particolari. Ma come ha reagito il pubblico di fronte a questa rinascita? Un giro tra i visitatori conferma il clima disteso e felice, nonostante lo «zigzagare» causato dalle procedure introdotte per far fronte al coronavirus: controlli del codice a matrice per avere il «passi», costituito da un braccialettino in tessuto e l’obbligo di indossare la mascherina all’interno della fiera espositiva. (Guarda il video allegato a quest’articolo). Alle porte del «magico mondo dell’arte» venerdì sera c’è, tra gli altri, anche Carlotta, che potrebbe essere il ritratto del frequentatore medio della manifestazione.

Giovane, occhiali da sole, vestito verde e borsa in tessuto rigorosamente in tinta, oltre che «a tema», ha raggiunto Basilea dalla Spagna e spiega di essere presente alla Liste (una grande esposizione parallela che si svolge in uno stabile industriale oggi in disuso) e che ha grandi aspettative. «Anche il mercato sembra iniziare a respirare, vediamo molti collezionisti e acquirenti interessati». Insomma c’è proprio voglia di ricominciare.

Anche Natan, sviluppatore e designer di Zurigo, è un frequentatore abituale della «Messe». Dopo un anno di stop, gli fa piacere tornare a vedere un po’ di vita. «Sono sempre stato legato al mondo dell’arte. Beh, d’altronde mia moglie lavora proprio qui per Art Basel», esclama. «Di professione è critico d’arte». Qualcosa che ha colpito più di altri qui alla mostra? «Ho trovato molto affascinante l’installazione di Ryoji Ikeda ‘Data-verse’. L’artista si esprime con un’estetica retrò ma lavora su temi molto attuali. Come la raccolta e l’analisi di dati, l’intelligenza artificiale, l’ambiente...».

Marina, collezionista («microbica», come si autodefinisce) che è arrivata dall’Italia, avverte però qualche differenza rispetto agli altri anni: «È molto diversa. Anche perché mancano gli americani come pure gli asiatici, proprio a causa del coronavirus... e le opere maggiori, quelle più importanti, beh, non le hanno portate. Mancando questa importante fascia di acquirenti, i galleristi non hanno, giustamente, voluto rischiare». Ma qui stiamo parlando della manifestazione «numero uno al mondo!», esclama con entusiasmo. «Ed è sempre meraviglioso vedere tutta questa arte!», conclude.

Jeorges, invece, dalla Grecia era stato alla manifestazione soltanto nel 2019. E apprezza l’attenzione e la precisione nell’organizzazione: «Hanno fatto davvero un ottimo lavoro. È una cosa positiva interagire con le persone.

Più avanti c’è Ladina, che si è appena cambiata dal costume di scena. Lavora infatti come «performer», è danzatrice professionista e ha frequentato un anno di scuola a tempo pieno a Tanzwerk101, un istituto di Zurigo che offre una formazione professionale: «Eseguo le coreografie qui alla Messeplatz (la piazza di fronte all’entrata principale della fiera, ndr.) all’interno di questi ‘occhi’ che costituiscono il cuore dell’installazione di Monster Chetwynd. È una delle attrazioni «per tutti» dell’edizione di quest’anno. I bambini, poi, fanno a gara per poter entrare in queste gigantesche sfere semitrasparenti, le quali, dall’interno, possono essere spinte verso la direzione desiderata. Cadute attutite dal materiale gonfiabile assicurate, insomma. Ma non per Ladina e i suoi colleghi. «Siamo qui allo scadere di ogni ora per eseguire la performance. Ogni giorno per tutta la durata della rassegna». Anche lei fa notare il braccialetto dell’avvenuta verifica del codice a matrice contro il coronavirus: «Eh, da qui si vede che non abbiamo ancora detto addio a ‘Corona’, ma sono super contenta del fatto che possiamo tornare ad esibirci. Non potrebbe essere meglio di così, anche il tempo meteo è ottimo!», dice entusiasta. Ovviamente, Ladina è anche una visitatrice: «Ho visto tantissime cose e mi sento molto ispirata da tutte le opere che coinvolgono la luce. Ho trovato, ad esempio, questa ‘Pink Room’. Sembra fatta su misura per me e come danzatrice potrei davvero realizzarvi numerose idee di coreografie». Ladina è affascinata soprattutto dalle forme che la luce può avere quando è «incanalata» da lampade al neon. «Sono stupita e trovo molto entusiasmante vedere opere d’arte così diverse tra loro!», sottolinea.

Camila si sta rilassando ai bordi della fontana, forse metabolizzando la gran quantità di immagini viste durante la visita, e scruta con sguardo assorto i tram verdi che sfrecciano a qualche decina di metri di fronte a lei. «Com’è per me?», ripete la domanda come se fosse stata riportata all’improvviso alla realtà. «Ha! È come essere a New York!», sorride. «C’è un’atmosfera internazionale, si vedono persone da tutto il mondo... e anche l’abbigliamento riflette questo spirito. Sembra proprio di vivere una ‘settimana della moda’!». Ma al di là di questo, c’è un aspetto che le è saltato subito all’occhio: «Ho visto molte donne in veste di curatrici che qui rappresentano le gallerie. Molte opere, poi ho visto che erano incentrate sul tema della condizione della donna. Lo trovo un tema importante, perché oggi ci sono molti problemi su quel fronte. Vediamo anche solo quel che succede in Afghanistan. Trovo forte che l’arte possa dare supporto alle donne e mostrare quel che sta succedendo. In passato, alle donne era pure proibito accedere al mondo dell’arte. Questo non era loro concesso in nessun modo», dice. E ancora: «Ho l’impressione che qui ci sia un giusto equilibrio. Metà e metà: un cinquanta per cento di opere maschili e un cinquanta femminili. E, come dicevo, molte opere esposte mettono in luce questa serie di temi», conclude Camila.

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