"Non posso smettere di amarti"

Oggi ricorre il 38. anniversario della morte di Elvis Presley e io sono una delle sue "vedove" - VIDEO
Cristina Casari
16.08.2015 06:00

MEMPHIS - Avevo undici anni. I miei compagni di scuola e i miei amici cantavano "Il torero camomillo" e "Furia", cavallo del West. Tra i più intrepidi c'era chi ascoltava i Beatles e iniziava ad avvicinarsi ai cantautori italiani, guidato dai fratelli maggiori e dai genitori.

In Italia erano gli anni di Sabato pomeriggio di Baglioni, di Parlami d'amore Mariù di Mal, di Piange il telefono di Modugno, di Tornerò dei Santo California e di Buonasera dottore della Mori. Belle canzoni, per carità, ma che tristezza.

In campo internazionale John Miles ci deliziava con la sua Music e Santana schitarrava con maestria Europa, facendo innamorare milioni e milioni di uomini e donne. Stava montando l'era della disco music con la hit Love to Love you baby di Donna Summer, che negli anni '80 avrebbe fatto sfracelli mentre in Italia si ascoltava Sambariò di Drupi.

Figlia unica di genitori divorziati, con la musica che per il papà stava come l'ananas sulla pizza e con una mamma per la quale la maggiore espressione musicale era la Schola Cantorum, ho dovuto inventarmi un personale bagaglio di note. Modesto e istintivo, ma solo mio. Ho immediatamente capito che preferivo le lingue inglese e spagnola a quella italiana e che il ritmo, la solarità, l'estetismo, la voce dell'interprete e l'emozione che essa mi trasmetteva erano le mie linee guida.

L'estate del 1977 fu quella della colonia estiva nei boschi della Val-de-Travers, a Couvet, alla ricerca di un inizio d'indipendenza. Ero fiera di me stessa, perché ero appena riuscita a registrare dalla radio (Radio Campione, tanto per la cronaca) il brano di Umberto Tozzi Ti amo, la canzone più gettonata del momento, con un mangiacassette che a vederlo ora fa venire da ridere. E con quella melodia in testa ero partita ad inizio agosto per tre settimane di socializzazione e divertimento tra adolescenti. Sperando anche in un piccolo flirt.

Il flirt non l'ho avuto. Ma un vero e proprio colpo di fulmine, quello sì. Uno di quelli che ti tramortiscono come un pugno allo stomaco, che ti entrano dentro, per non abbandonarti più. Lui aveva i capelli neri, uno sguardo dolcissimo, era abbigliato con pantaloni di pelle nera attillati ai quali aveva abbinato un giubbino aperto sul davanti. Due braccialetti rigidi affinavano i suoi polsi e tra le dite affusolate teneva il plettro che accarezzava le corde della chitarra che teneva sulle ginocchia. E mi sorrideva dalla copertina di The '68 Come Back Special. Di nome faceva Elvis, di cognome Presley. Consumai la puntina del giradischi, creando i fastidiosi solchi nell'LP in vinile.

Qualche giorno dopo arrivò la notizia della sua morte. Ero nel refettorio, impegnata a sparecchiare i piatti del pasto di mezzogiorno. Sul televisore apparvero le immagini in bianco e nero delle persone che sostavano davanti al cancello di Graceland, depositando bigliettini e fiori, in lacrime. Non ci potevo credere: l'avevo appena trovato e già mi lasciava, ero tramortita. E come tutti gli amori infantili, quello per lui crebbe a dismisura.

Elvis diventò il mio confidente, la sua voce e le sue canzoni la colonna sonora della mia vita, ogni avvenimento importante scandito dalla sua presenza virtuale. Elvis ancora oggi è la mia coperta di Linus, la mia oasi di tranquillità, il mio attimo di serenità. Elvis è uno di famiglia, importante tanto quanto le persone a me care che la compongono. Ho un unico rimpianto: non aver mai assistito ad un suo concerto.

Tra meno di due mesi compio 50 anni. E tra due saranno ormai quaranta che Elvis ha fatto di me una delle tante "vedove" sparse per il mondo. Andrò finalmente a Graceland, me lo sono ripromessa. Chi vuole venire con me?

"Elvis has left the building!" 38 anni fa, ma è presente più che mai.

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