"Oggi la libertà non è mai abbastanza"

È uscito Libertà di Giulio Giorello (Bollati Boringhieri, pagg. 176, euro 11), un saggio appassionato, compatto e ritmico, combattivo e ragionato, ben scritto, in cui il filosofo della scienza racconta di cosa è fatto quel che potremmo chiamare «il genoma della libertà». Tre filamenti ad elica lo compongono: Liberty, Freedom ed Enfranchisement, ciascuno con la sua storia. Tre filamenti, tre postazioni di battaglia per un'idea che, a parole, tutti amano. La pratica della libertà, tuttavia, resta un po' più complessa e coraggiosa.
Alla domanda «Quanta libertà c'è in Europa?» alcuni rispondono: «Ce n'è quanto basta». Non è forse vero?
«La libertà non è mai abbastanza. Apparteniamo a un unico popolo, quello degli esseri umani, e forse di tutti i viventi. Democrito: "La patria, per uno che ragiona, è il mondo intero". Il problema della libertà non può essere confinato in isole felici su un pianeta che gronda, nel migliore dei casi, parecchie difficoltà, nel peggiore sangue e impoverimento. Quando si è coinvolti, lo siamo tutti. Davanti a problemi globali complessi c'è sempre la tentazione di tagliare i nodi con la spada. John Milton: "Non c'è peggior argomento retorico per un despota che ricorrere allo stato di necessità"».
L'espressione corre molto negli ultimi tempi, insieme a «non ci sono alternative». Cosa ne pensa?
«Corre perché in Occidente la libertà è minacciata, non solo dall'esterno. Prendiamo la questione rifugiati, io li chiamo così, non profughi o migranti. Si tirano su reti, fili spinati, mattoni, dimenticandosi un'ovvietà: quando si fa un muro si escludono gli altri e si imprigiona se stessi. L'immagine emblematica delle seconda metà del secolo scorso è la foto dei berlinesi che abbattono il Muro. Mi chiedo: perché quella del presente dev'essere una barriera, ovunque sia, tra Stati Uniti e Messico, Israele e Palestina, Ungheria e Serbia? Che contrasto tra le speranze del 1989 e i cupi timori d'oggi!».
Può definire la libertà di cui parla?
«È la piena fioritura della donna e dell'uomo, del riconoscimento e delle differenze, cosa difficilissima questa, ma nel genoma della libertà c'è anche il rispetto per tutti. Non mi sono mai allontanato dal principio che animava, nel 1776, i padri fondatori di quelli che sarebbero diventati gli Stati Uniti: mai arrecare danno agli altri, il resto è lecito».
Ma allora siamo messi bene.
«Dice? Nei Paesi avanzati la libertà è minacciata dal fondamentalismo, dal conformismo, dalle burocrazie. Basta andare in un ufficio per constatare da soli quanto la burocrazia sia diventata ramificata, oppressiva, dittatoriale, inconcludente. Per non parlare dei fanatici religiosi, dei violenti, delle varie esclusioni per lingua, razza, genere. Persino nella scienza l'altra metà del cielo non è adeguatamente rappresentata».
C'è però nell'aria una sorta di pentimento della liberazione. Sesso, tabacco, alcol, velocità, avventura sono stigmatizzati e banalizzati. La domanda del nostro tempo secondo Baudrillard: «Che si fa dopo l'orgia?»
«La domanda "Che si fa dopo l'orgia?" presuppone la libertà che ci siano orge, cioè, fuor di metafora, il dispiegamento dei propri gusti, l'articolazione delle proprie preferenze, il lavoro paziente della ragione. Il piacere del cibo, del sesso, persino quello della rappresentazione, come il teatro o il cinema, sono sovente violentati o censurati da coloro che pretendono di fare il nostro bene. Ecco, non voglio più avere qualcuno intorno che ritenga di farmi fare quello che lui considera un bene per me. Tecnicamente, questa mia volontà si chiama "sovranità del consumatore"».
Si colloca tra gli ormai rari difensori del consumismo?
«No, perché la mia è una difesa anche dal consumismo, dai persuasori occulti che brigano per farmi scegliere ciò che non voglio. A questo punto, è meglio un'espressione rozza della propria libertà che una servitù più o meno sofisticata. Harriet Taylor, la compagna di John Stuart Mill, che la definì "la miglior ispiratrice del mio impegno intellettuale", sosteneva che "solo chi gode è massimamente virtuoso". C'è la tendenza a biasimare questo tipo di libertà. Preciso che il mio individualismo non è la fondazione di un liberismo selvaggio. Luigi Einaudi: "Un giorno scriverò un articolo per dichiararmi liberale, non liberista"».
Dal suo libro: «Solo chi è capace di ribellarsi all'oppressione è davvero una persona responsabile». Affermazione irta: è più apprezzata l'obbedienza, a tutti i livelli. Ce la può spiegare?
«Scrivendo la frase pensavo a Socrate, su cui la Arendt scrisse un saggio appena pubblicato in italiano da Raffaello Cortina e che è finito subito, lo segnalo, tra i best seller. Ma potrei citare Giordano Bruno, Spinoza, Bertrand Russell: mandati a morte, perseguitati o ostracizzati da una società conformista. È alla loro responsabilità che faccio riferimento: quella di qualcuno che si è ribellato all'ipocrisia e all'ignoranza spacciata come sapere e ha pagato per questo. Per tacer dei prigionieri in quei Paesi tra virgolette "socialisti". Qualcosa riesce a filtrare dalla Grande Muraglia, ma poco. Diciamocelo: non c'è molta libertà intorno a noi e il chinare il capo è contagioso. La libertà non è una malattia per la quale bisogna essere preparati o curati, è la condizione di una vita migliore».
Sulla fascetta del libro c'è una frase di Mill: «Ogni vincolo, in quanto vincolo, è male». Andrebbe spiegata, poiché in controtendenza agli attuali elogi della relazione e delle radici.
«Io vado in direzione contraria a questa retorica della relazione, francamente un po' ripugnante, e mi ritrovo in compagnia di un grande pensatore, Pascal, citato per il suo coraggioso individualismo nelle pagine finali del mio saggio. Certo che siamo nodi di relazioni, chi lo nega, guai se ne facessimo piazza pulita, Spinoza ha ragione, "la solitudine è peggio persino della morte". Ma attenzione: le relazioni me le scelgo io».
Resta difficile scegliersi da sé la famiglia o la patria, che ci toccano a caso.
«Sì, ma il tema delle radici è esasperante, l'essere umano non è una pianta. Non facciamo della relazione una prigione: se lo diventa, è un muro che merita di essere abbattuto. Questo è il senso della frase di Mill. Si sa che vivere senza legge è peggio che vivere con la legge, ma l'operazione di imporre vincoli è sempre l'esercizio dell'autorità di alcuni su altri: è necessario, ma lo si faccia il meno possibile. La libertà, se la si vuole, è un rischio da accettare. Chi per troppo bisogno di sicurezza è disposto a cederla, muore mentre è vivo. Per dirla con Spinoza, sarebbe una vita pacifica, di una pace che ricorda quella dei cimiteri».
C'è un'altra «schiavitù» che avanza: quella dell'emotivamente corretto. Alla Columbia University si censura Ovidio: turba le studentesse.
«Le rispondo con un aneddoto che circolava già all'epoca di Mill. Una vecchietta chiama a casa sua un poliziotto: "Agente, vada sul balcone, osservi anche lei, la mia sensibilità è ferita dagli atti osceni dei miei vicini". L'uomo esce sul balcone e si trova davanti un muro piuttosto alto: "Non vedo niente". E la vecchia: "Ah, signor agente, non sa la fatica devo fare per sporgermi!". Ecco, la fatica della vecchietta è il compendio di tutti questi emotivi che s'inventano i peccati più strani».
Forse Ovidio è davvero urtante.
«Ma per favore. Si censura Ovidio perché è più difficile catturare, attraverso una seria azione di polizia, i violentatori delle suddette studentesse nei campus. E via così. Si censura la parola "negro" e si arriva tardi, a sangue versato, addosso ai suprematisti bianchi fuori di testa. Si pensi poi ai "difensori della vita" che ritengono giusto ammazzare i medici che praticano l'aborto, come è già accaduto. Invece di imporre tanto politically correct si facciano rigorose azioni politiche. Invece che alla pretesa scorrettezza intellettuale, si guardi alle prevaricazioni concrete che ci accadono sotto gli occhi. Di cui sono vittima, ovviamente, i più deboli».
Paradigmatico il caso Charlie Hebdo: ci fu chi, dopo il massacro, biasimò la rivista. Qual è la sua opinione?
«Questi "politicamente corretti" stranamente rigidi nei confronti della civiltà occidentale sono poi corrivi a società più violente, per una forma di multiculturalismo da quattro soldi. Il che dovrebbe spingere i libertari a essere ancora più duri nei confronti di queste censure linguistiche che, è vero, stanno tornando di moda. E a non transigere mai sul principio di libertà di espressione».
Talvolta si è odiati a indicare a chi è schiavo dove sta la libertà.
«Spinoza: "Ogni cosa eccellente è difficile quanto rara". La libertà è difficile».
Ma allora quanto possono andare d'accordo libertà e democrazia?
«È una gran questione. Puo darsi che in alcuni casi libertà e democrazia vadano in conflitto. Rispondo: tanto peggio per la democrazia. Ammetto che lo dico da una posizione di individualismo non dogmatico, ma metodologico».