Grande schermo

«Oggi le immagini cinematografiche si possono modellare come la plastilina»

Pietro Zuercher, il direttore della fotografia di «Atlas», è tra i candidati al Premio del cinema svizzero 2021
Il ticinese Pietro Zuercher (45 anni) si è diplomato all’American Film InstitutEr di Lo Angeles. © IMAGOFILM
Antonio Mariotti
20.03.2021 15:16

Venerdì prossimo, 26 marzo, dalle ore 19 appuntamento online per la cerimonia di premiazione dei Quartz 2021, i premi del cinema svizzero, in onda (su www.quartz.ch) dagli studi RTS di Ginevra. Tra i quattro ticinesi nominati ci sono il regista Niccolò Castelli per il suo lungometraggio Atlas e Agnese Làposi per il suo film di diploma Alma nel branco, ma anche Simone Giampaolo, regista del corto d’animazione Only a Child e Pietro Zuercher (direttore della fotografia di Atlas) che abbiamo intervistato,

Con la pandemia com’è cambiato il suo lavoro?

«L’anno scorso, dopo rinvii e spostamenti, alla fine ho lavorato dall’11 di maggio, il giorno della fine del lockdown, fino a Natale, perciò non posso certo lamentarmi. Sui set, con le misure antipandemia in vigore, le cose non sono cambiate molto, ma il tutto si svolge un po’ più lentamente, a causa dell’uso delle mascherine, del distanziamento e delle misure igieniche. Specialmente quando si gira in interni si cerca di avere sul set il minor numero di persone possibile e il monitor per il controllo delle immagini è riservato solo al o alla regista, mentre gli altri tecnici possono visionarle sul loro tablet o sul cellulare. Gli attori sono testati due volte alla settimana ed è proprio tra loro che si sono verificati diversi casi positivi che hanno scombussolato un po’ i programmi».

Nel 2010, con Sinestesia di Erik Bernasconi, ha partecipato al suo primo lungometraggio ticinese: un momento importante per il cinema nel nostro cantone?

«Sì, è stato un momento importante per la nostra generazione, per una serie dfi persone che allora aveva tra i 30 e i 35 anni e aveva voglia di lanciarsi nell’avventura del cinema. Quando ho lavorato su Sinestesia non conoscevo per nulla la situazione in Ticino perché vivevo negli Stati Uniti e da allora le cose e le persone sono maturate, tutti abbiamo potuto fare tante esperienze diverse. E tra l’altro Sinestesia è stato anche l’ultimo film che ho girato in pellicola, da allora solo digitale».

Com’è stato ritrovare Niccolò Castelli come regista dopo l’esperienza in Tutti giù nel 2012?

«A livello visivo, Atlas si può considerare un approfondimento di Tutti giù, anche perché entrambi i film sono girati in parte a Lugano. Mi piace molto lavorare con Niccolò perché condividiamo lo stesso mondo visivo: tante cose non dobbiamo neanche dircele perché comunque sappiamo che la pensiamo allo stesso modo e quindi per me è molto facile lavorare con lui».

Leggere le sceneggiature dei film che le propongono è un momento importante per accettare un lavoro o rifiutarlo?

«La sceneggiatura ha un ruolo importantissimo nelle mie scelte: se la storia non mi interessa devo proprio essere disperato per dire di sì, mi è capitato di farlo ma per fortuna molto raramente. Il mio è un lavoro bellissimo, ma anche molto duro, che richiede impegno e sacrifici. Si è spesso lontani da casa per dei mesi, con orari pazzeschi anche durante i weekend, e quindi se la sceneggiatura non ti appassiona è difficile trovare la motivazione. Anche con una buona sceneggiatura, comunque, fare un buon film è molto difficile. L’altro aspetto fondamentale è l’incontro con il o la regista, con cui devo sentirmi in sintonia. Se è un regista che non conosco, mentre leggo la sceneggiatura mi preparo un mood board, un diario visivo con fotografie e immagini che richiamano l’atmosfera del film, che di solito è una buona base di discussione».

Pellicola o digitale?

«A chi oggi mi proporrebbe di girare un film in pellicola, proporrei un mix di pellicola e digitale La post produzione è infatti diventata una delle parti creative più importanti del lavoro sulle immagini. Le possibilità di intervenire sul girato sono infinite e si possono passare ore e ore a modificare ogni singola sequenza. Per Atlas, ad esempio, la scena della scalata ci ha posto molti problemi perché il tempo continuava a cambiare, come capita spesso in montagna, e quindi senza post produzione digitale avremmo avuto molti problemi nonostante i nostri sforzi per avvicinarci il più possibile al risultato finale. La tecnologia continua ad evolvere e offre sempre più possibilità per modificare le immagini che oggi si possono “modellare” come si modella la plastilina».

È già stato candidato ai Quartz per Tutti giù, sarà la volta buona?

«Non si sa mai, già la prima volta avevo buone speranze (ride). Scherzi a parte, fa sempre molto piacere essere “nominati” da una giuria di professionisti che apprezzano il tuo lavoro. Vedremo venerdì cosa succede».