Arte

Oltre le verticali armonie dei «kakemono» giapponesi

Da oggi il Museo delle Culture di Lugano ospita una multiforme esposizione dedicata alla pittura nipponica - Tra il XVI e il XX secolo un ricco percorso in cinquecento anni di storia attraverso un centinaio di rotoli dipinti o calligrafati
Kaburagi Kiyokata, 1878-1972, Una geisha con parasole, sotto un acero con foglie autunnali. (1920-1939). Dipinto a inchiostro e colori su seta. Collezione Perino.
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
17.07.2020 06:00

«Cosa appesa»: questa la traduzione letterale di kakemono, i tradizionali dipinti o calligrafie giapponesi, su seta, cotone o carta elaborati a guisa di rotolo e destinati ad essere appesi alle pareti delle nipponiche dimore. Da questo concetto prende il via la notevolissima nuova mostra visitabile da oggi al Museo delle Culture di Lugano che grazie all’inedita Collezione Perino rappresenta un’occasione unica per avvicinarsi ad una cultura del tutto altra rispetto a quella occidentale.

La mostra, curata dall’esperto olandese Matthi Forrer(professore di Cultura materiale del Giappone pre-moderno all’Università di Leida) , ripercorre cinque secoli di tradizione figurativa nipponica tra il XVI e il XX secolo, attraverso un centinaio di kakemono, ordinati lungo un percorso tematico che permette di esplorare in profondità la sostanza dei linguaggi pittorici, provenienti dalla collezione, raccolta con cura filologica dal medico torinese Claudio Perino.

Il kakemono, genere molto diffuso in Asia orientale, consiste appunto in un prezioso rotolo di tessuto o di carta, dipinto oppure calligrafato, che è appeso alle pareti durante occasioni speciali o è utilizzato come decorazione in base alle stagioni dell’anno.

A differenza delle tele o delle tavole occidentali, i kakemono hanno una struttura morbida, e sono concepiti per una fruizione cronologicamente limitata: sono infatti opere che partecipano al tempo e al movimento, poiché esposti nell’alcova delle case giapponesi o lasciati oscillare per qualche ora all’esterno, magari in giardino, per la cerimonia del tè. Opere che, nella varietà dei loro soggetti, descrivono la bellezza ineffabile e lo scorrere del tempo, riflettendo una concezione estetica e filosofica tipicamente orientale.

La filosofia del «tokonoma»

Tra i soggetti maggiormente utilizzati vi erano animali feroci come draghi e tigri, o piante, fiori e uccelli, tutti carichi di significati simbolici che contribuivano a stabilire e a consolidare lo status sociale dei possessori delle opere.

In tutto il Giappone si creò una diffusa rete di accademie di pittura, che dal XV secolo alla fine del XIX secolo godettero del sostegno delle classi dominanti. I samurai, il clero buddhista e i benestanti si affidarono infatti a loro per la realizzazione di kakemono, seguendo la moda del periodo. Il percorso espositivo si articola in cinque sezioni tematiche (Fiori e uccelli; Figure antropomorfe; Animali; Piante e fiori vari; Paesaggi) e propone le opere dei maggiori artisti del tempo, quali Yamamoto Baiitsu (1783-1856), Tani Bunchō (1763-1840), Kishi Ganku (1749-1838), Ogata Kōrin (1658-1716).

Per suggerire al visitatore il valore più profondo della pittura giapponese, gli attenti allestitori hanno ricreato, alla fine del percorso espositivo, un vero e proprio tokonoma, una sorta di alcova, con il pavimento di tatami, che si trova ancora oggi incassata nel salotto (washitsu) della casa giapponese. Concepito originariamente come luogo per fare accomodare gli ospiti di riguardo, il tokonoma assunse alla fine del XIII secolo una funzione religiosa, per poi essere adoperato, dalla metà del XVI secolo, con l’esclusiva funzione di luogo di raccoglimento e di meditazione di fronte all’opera d’arte, sintetizzata nella triade formata dal dipinto verticale - il kakemono, per l’appunto, che dà il nome alla mostra - dal vaso di fiori e dal bruciatore d’incenso. Secondo la tradizione, il modo corretto di porsi di fronte a un kakemono è seduti per terra a distanza della larghezza di un tatami. In tale posizione, dopo aver attentamente esaminato la firma e il sigillo dell’artista, oggetto a loro volta di una specifica forma d’arte (rakkan) chiamata a convivere con la pittura, l’osservatore può predisporsi ad avviare un percorso contemplativo individuale. L’atmosfera di silenzioso isolamento dal contesto circostante è delicatamente ravvivata dalla sensazione di serenità e di armonia comunicata dai fiori.

Pace interiore

Per godere sino in fondo della ricercata semplicità del linguaggio pittorico, l’uomo deve prima divenire, lentamente, parte di un universo intriso di quella speciale quiete che porta alla pace dell’anima; la stessa che i giapponesi riassumono con l’intraducibile concetto di shizuka. A quel punto, l’opera d’arte può esercitare il suo compito primario: mettere in circolo il «sentimento che anima la natura delle cose» (kokoromochi). A prescindere da quale sia il soggetto prescelto – fiume o lago, roccia o montagna, albero o fiore, uccello o pesce - il gesto creativo dell’artista è chiamato a tradurre l’essenza della natura attraverso l’incanto della sua arte, in modo da restituire a coloro che osservano le medesime sensazioni che egli ha provato durante l’esecuzione. Un circolo senza fine di bellezza che, attraverso l’opera d’arte, coinvolge eternamente una cultura, giudicando l’eccellenza del singolo in misura della sua capacità di restituire pace e benessere a chi gli sta intorno. E anche questo aspetto «filosofico» è un merito della mostra da non trascurare.