Per Leonardo Pieraccioni è sempre questione di donne

Le donne e l’amore: è questa l’eterna equazione di Leonardo Pieraccioni che da anni, possibilmente per Natale, cerca di trasformare le proprie passioni femminili e le proprie confusioni sentimentali in una commedia cinematografica di successo della quale ovviamente, è il protagonista, l’autore ed anche il regista. Quindi Se son rose... il suo ultimo film, è una divagazione «veritiera», così ci ha detto, sulla sua situazione attuale di scapolo ultracinquantenne con una figlia a carico (che vediamo in un piccolo cameo), e la vita ancora ingombra di oggetti e abitudini della sua lunga e amata adolescenza.
Il suo protagonista e suo alter ego fittizio è Leonardo Giustini, di professione giornalista, al quale ha dato anche la sua pigra bonomia; una Fiat ottocentocinquanta spider ereditata dal nonno e una «frequentazione femminile» un po’ sopra le righe. Si tratta di una ragazza carina (Elena Cucci), un po’ scombinata, ma decisamente ricca e innamorata, che lui si rifiuta di chiamare fidanzata, amica, o con qualsiasi altro termine che definisca una relazione a base di sesso e di sentimenti ondivaghi. Anzi non la chiama neppure con il suo vero nome, ma «48», perché secondo lui, quello sarebbe il numero di neuroni della ragazza, decisamente un po’ eccentrica. Leonardo Giustini ama la sua vita com’è, il problema è che la figlia quindicenne Yolanda (Mariasole Pollio), alle prese con i primi amori, vede nella libertà del padre solo solitudine; infantilismo nel suo attaccamento gli oggetti del passato; paura nella sua incapacità a trovare una donna da amare per sempre, e decide di dargli una mano.
Grazie all’aiuto della nonna e di internet, rintraccia tutte le ex fidanzate di papà e a sua insaputa, invia loro un messaggio: «Sono cambiato: riproviamoci». Leonardo Giustini non sa se essere più preoccupato, sorpreso, o incuriosito da questa iniziativa che in effetti sembra risvegliare l’interesse di alcune delle interpellate e, per non deludere la figlia, decide di accettare e andarle a trovare. Ecco, che nella storia sino a quel momento un po’ banale di quest’uomo insipido, fanno il loro ingresso cinque personaggi femminili affatto scontati, interpretati da Caterina Murino, Gabriella Pession, Claudia Pandolfi, Michela Andreozzi e Antonia Truppo, che per Leonardo Giustini costituiscono inquietanti «appuntamenti al buio» e per il pubblico sono l’occasione di altrettanti godibili siparietti. Nel film il protagonista rimedia un occhio nero, una notte di passione, una paura da scampato pericolo e una sbronza, ma deve fare anche i conti con delle scomode verità che avrebbe preferito non sapere. Ispirato vagamente a L’uomo che amava le donne di François Truffaut, e ai vari remake americani del genere, Se son rose... è un film bonario che non tenta divagazioni escatologiche, o teorie filosofiche sulle relazioni amorose, piuttosto s’interroga in modo serafico, su quale debba essere la giusta durata di un amore: se possa essere eterno, o come tutti i fuochi, effimero; e quanto sia possibile «resuscitarlo» dopo anni di forse-giusto-oblio. Il tutto senza andare a fondo della questione, lasciando le frasi migliori sull’amore ancora una volta ai bigliettini dei biscotti della fortuna e a quelli dei baci Perugina.
Vero punto di forza del film invece sono le donne, luminose e divertenti, personaggi curati e realistici che reggono la storia, e che ci fanno perdonare anche i momenti più esili, quali lo sketch del malato interpretato da Vincenzo Salemme, e gli intermezzi di odio –amore tra Leonardo Giustini e la sua curiosa vicina di casa, la signora Coscia. In compenso il regista Pieraccioni, che con questo film, a suo dire, inaugura il «nuovo corso» delle proprie commedie sentimentali, ci mostra per la prima volta una campagna toscana bellissima, immortalata in una serie di immagini artistiche che, se pure sembrano uscite da un calendario di paesaggi toscani di un qualche fotografo rinomato, rendono il film visivamente più piacevole.