Peter Kernel: «Non si pensa che la musica possa essere un mestiere»

Il duo post-punk Peter Kernel, composto dal chitarrista ticinese Aris Bassetti e dalla cantante svizzero-canadese Barbara Lehnhoff, ha compiuto 15 anni lo scorso anno. Sicuramente uno dei gruppi ticinesi più noti nel panorama musicale indipendente nella Svizzera romanda e tedesca, nonché in quello internazionale, in particolare in Francia. Nel 2016 sono stati nominati per il Premio svizzero di musica dall’Ufficio federale della cultura (UFC). I Peter Kernel hanno inoltre creato la propria etichetta discografica rigorosamente indipendente On The Camper Records. Cantano in inglese ma ascoltando attentamente i cori di Aris Bassetti, si sente anche il dialetto ticinese. Keystone-ATS li ha intervistati.
Nel 2020 avete festeggiato i 15 anni di attività di Peter Kernel con, fra le altre cose, un disco di inediti. Cosa rappresenta questo traguardo per voi?
«Festeggiare 15 anni di chilometri infiniti, orari impossibili, posti improbabili, gente pazzesca, sforzi fisici inaspettati, volumi altissimi, sudate copiose ed emozioni indescrivibili è impossibile da fare bene. 15 anni fa non avremmo mai pensato di arrivare a vivere della nostra musica senza scendere a compromessi. Non ci rendiamo conto fino in fondo cosa rappresentino questi 15 anni perché è successo di tutto; ma di sicuro ne andiamo molto fieri. È anche la dimostrazione che l’incoscienza che 15 anni fa ci ha fatto mollare tutto per fare solo questo è stata l’intuizione giusta».
Cosa significa essere musicisti professionisti in Svizzera? Ci potete parlare un po’ della scena indipendente?
«Essere musicisti professionisti in Svizzera è molto particolare perché non abbiamo una tradizione musicale influente a livello internazionale quindi è una scena ancora un po’ involuta su se stessa, anche se ci sono parecchie realtà che hanno varcato il confine con risultati eccellenti. Probabilmente siamo penalizzati dal fatto che la nostra società favorisce altri tipi di attività piuttosto che quelle legate alla cultura. In Ticino poi è ancora più complicato. Se vuoi diventare un musicista professionista è fattibile, ma devi sapere che dovrai combattere contro un sacco di pregiudizi e commenti inutili. Qui non si pensa che la musica possa essere un mestiere, ma solo un hobby. Eppure i dati dimostrano che negli ultimi anni la cultura in Svizzera ha fatturato di più che il mercato dell’industria orologiera. L’altro lato della medaglia è che non essendo un mestiere agevolato, chi insiste e lo fa in modo professionale ha un forte motore personale e di solito la proposta creativa è di qualità. C’è ancora più fame di condivisione di un certo tipo di visione».
Siete una vera e propria band indipendente avete infatti la vostra propria etichetta discografica On The Camper Records. Perché questa scelta?
«Inizialmente, come un po’ tutti, abbiamo scritto a delle etichette discografiche perché eravamo convinti si facesse così. Per fortuna però, quasi subito abbiamo capito che volevamo avere il totale controllo di qualsiasi aspetto del nostro lavoro, anche a costo di essere il nostro stesso limite. Non abbiamo una grande struttura e non abbiamo grandi mezzi finanziari, ma fondare un’etichetta ci ha permesso di essere più concentrati sul nostro percorso senza dover aspettare risposte o fare qualcosa che non ci andava di fare. Abbiamo vinto per ben 3 volte il premio di migliore etichetta svizzera indipendente del Percento culturale Migros, quindi siamo fieri anche di questa scelta».
Avete fatto numerosi tour in Europa e anche altrove. Perché a volte sembra più difficile farsi conoscere nel proprio Paese che all’estero?
«Nemo propheta in patria, un classico. Forse perché qui ci si conosce tutti e ti vedono come una persona qualunque che incontri al bar o a fare la spesa o in posta e non ti prendono sul serio. Non godi di quell’alone di mistero, carisma e prestigio che hai su un palco lontano da casa».
Quale canzone del vostro repertorio ha più successo oltralpe?
«Penso che sia la canzone «Men Of The Women» a livello di ascolti in rete, ma dal vivo, ovunque andiamo in Europa, tutti cantano ‘‘Panico! This is Love’’», spiega Aris Bassetti.
Una curiosità: in alcune vostre canzoni si possono sentire i back vocals in dialetto ticinese. Avete già fatto una canzone interamente in dialetto o pensate di farla?
«Guarda, proprio in questi giorni sto studiando la musica popolare ticinese per un progetto che voglio realizzare nel 2022 interamente in dialetto - spiega Aris Bassetti -. È un’influenza forte il dialetto, che per ora abbiamo dichiarato solo timidamente, ma è nostra intenzione approfondire perché il risultato è impressionante. La canzone più ascoltata di cui vi parlavo prima ha il ritornello in dialetto, ed è davvero bello vedere quanta gente da tutta Europa ci scrive ogni settimana per chiedere il testo».
Di Simona Foletta, Keystone-ATS