Editoria

Playboy come OnlyFans

La rivista per uomini più famosa della storia è tornata in pista, sia pure in versione digitale – Ma l’immaginario e il pubblico di riferimento sono ben lontani da quelli dei tempi di Hugh Hefner
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Stefano Olivari
17.03.2023 20:00

Grande ritorno di Playboy, anche se non in edicola. Una delle riviste più famose del mondo si ripropone in digitale, alla caccia di lettori vecchi e nuovi, sfidando il politicamente corretto, la scomparsa dai radar del maschio occidentale e addirittura OnlyFans. Funzionerà?

La carta

Il Playboy propriamente detto, quello fondato da Hugh Hefner a fine 1953 e poi replicato in tutto il mondo con edizioni locali anche di grande qualità, come quella italiana, è finito nel marzo del 2020, curiosamente in coincidenza con l’inizio dell’era COVID: certo lo spirito di Playboy, giocoso e ironico, mal si adattava alla tristezza delle mascherine e dei lockdown. In edicola però vendeva sempre meno già da anni, a prescindere dal virus, più per la generale crisi dei magazine cartacei che per lo scarso interesse nei confronti di foto di nudo: dalle 7 milioni dei tempi d’oro l’edizione americana era scesa a 300.000 copie (comunque tantissimo). Infatti il nuovo Playboy esisterà soltanto in versione digitale, lasciandosi aperta la strada del print-on-demand, e andrà oltre la vecchia formula: sarà sia un magazine (nella copertina di lunedì la modella Amanda Cerny, fra l’altro Playmate nel 2011, a cavallo di un razzo) sia una piattaforma, dove i cosiddetti creator potranno caricare loro contenuti mettendoli anche in vendita ai loro abbonati. Facile il paragone con OnlyFans, anche se Playboy ha tenuto a precisare che non saranno ammessi contenuti porno. Anzi, si punterà ad argomenti mainstream, alle mitiche storie, e non soltanto a foto di nudo più o meno artistico. Insomma, un OnlyFans ma con un marchio meno squalificante e contenuti meno al limite.

La filosofia

Il Playboy per così dire originale si porta dietro una fama peccaminosa più per lo stile di vita di Hefner, icona maschilista prima che maschile, e per le storie personali di molte conigliette che per i suoi contenuti: spesso si ha la sensazione che chi ne parla non abbia mai preso in mano nemmeno un numero. Perché il Playboy cartaceo non vendeva pornografia e nemmeno le foto di nudo che aveva in copertina e in qualche servizio all’interno: vendeva una filosofia di vita laica, rivolta a un uomo curioso, con uno spirito critico ma anche con la voglia di divertirsi senza sentirsi fare la morale. Un uomo decisamente etero, ma non grezzo: e del resto le copertine spinte erano frequenti anche per Espresso e Panorama. Che poi il medesimo Playboy abbia avuto usi diversi dalla lettura, da parte dei figli di quell’uomo laico e ironico, è un altro discorso, ma certo alle foto di nudo erano affiancati servizi e opinioni di autori pesantissimi: da Saul Bellow a Chuck Palaniuk, da Haruki Murakami a Margaret Atwood, da Kurt Vonnegut a Ian Fleming, da Joyce Carol Oates a Ray Bradbury, da Jack Kerouac ad altri che nessuno assocerebbe a Playboy. L’importante era avere qualcosa da dire e dirlo bene. In tanti compravano Playboy per gli articoli, che del resto in Italia erano scritti fra gli da Moravia, Calvino, Sciascia…

I Democratici

Famose anche le interviste, per molti anni essere oggetto dell’interesse di Playboy è stato un motivo di vanto ed è per questo che dalla rivista di Hefner (scomparso nel 2017, poi la famiglia ha venduto gran parte delle quote) si sono fatti intervistare presidenti degli Stati Uniti, popstar mondiali, premi Nobel, eccetera. Il nudo femminile serviva quindi a due cose: sottolineare che Playboy era rivolto a un pubblico maschile, quando ancora si poteva dividere l’umanità in maschi e femmine senza essere linciati, e che poteva essere letto da persone con una mentalità aperta. Infatti il lettore tipo è stato, almeno in America, un elettore progressista, e la rivista era molto diffusa nei college. E nemici storici di Playboy non sono state le femministe, ma la destra conservatrice e in generale tutte le associazioni religiose. Non è sorprendente che siano stati cattivi i rapporti con i social network, specialmente con Facebook, per la loro propensione alla censura di un nudo invece che di messaggi di odio e violenza.

Copertine VIP

Pensando al Playboy di adesso, che punta sui creator e quindi su quel mondo di piccole celebrità con un proprio piccolo pubblico, è inevitabile il confronto con il Playboy di ieri che aveva assoluta necessità di far spogliare, pagando di fatto qualsiasi cifra richiesta, donne famosissime in tutto il pianeta: storici i servizi di copertina di Kim Basinger, Ursula Andress, Drew Barrymore, Madonna, Joan Collins, Pamela Anderson, Elle Macpherson, Sharon Stone… E la stessa politica era adottata dalle edizioni locali. In Italia per Playboy si sono spogliate sua maestà Edwige Fenech, Ornella Muti, Loredana Berté, Gloria Guida, Alba Parietti, Patty Pravo, Nadia Cassini, Barbara Bouchet, Isabella Ferrari, Alessandra Mussolini, Valeria Marini e tante altre, anche se la copertina più famosa rimane quella con Iva Zanicchi del 1979. Servizi fotografici quasi sempre del genere vedo-non vedo, fra lenzuola e bagnoschiuma, ma che facevano discutere tantissimo. Così come la rivalità con il britannico Penthouse, fondato da Bob Guccione, che aveva immagini leggermente più spinte ed una qualità della scrittura inferiore, e l’americano Hustler creato da Larry Flint, al confine della pornografia.

La concorrenza

A dispetto del suo passato, la sensazione è che il concorrente del Playboy 2023 sia OnlyFans, più dei magazine/siti di informazione (qualche anno fa Playboy venne riposizionato come anti Vanity Fair, in stile metrosexual, con risultati pessimi) e del porno duro ma non esattamente puro di YouPorn, Pornhub, eccetera. OnlyFans che nel periodo pre-COVID vivacchiava con 7 milioni di iscritti in tutto il mondo ma che con la gente chiusa in casa è esploso, arrivando ai 170 milioni attuali, con un marketing dal basso fatto di storie di successo del genere «Commessa si licenzia e adesso guadagna 50.000 dollari al mese sul suo canale». Playboy evoca tutt’altro tipo di immaginario, è un giornale, adesso un sito, per chi già sta bene e vuole continuare a stare bene, non il solito giochino tech in cui si arricchiscono in dieci mentre dieci milioni sono i classici criceti sulla ruota che lavorano gratis. Playboy non è tecnologia, ma un immaginario maschile che esiste ancora anche se non si può dire.