Podcast, forza dirompente

Se i millennial hanno puntato quasi tutto su messaggini ed epigoni vari, facendo gridare nutrite pattuglie di massmediologi alla rinascita della scrittura, la generazione Z - i nativi digitali, quelli che hanno urlato i loro primi vagiti nel nuovo secolo - ha decisamente virato sull’oralità. Da un lato, riscoprendo il carico di emozione che una voce può portare con sé; dall’altro, ribadendo l’efficacia comunicativa delle «parole parlate» in situazioni in cui il tempo è poco o le varie appendici tecnologiche non permettono soluzioni diverse.
Senza scomodare il Fedro di Platone, si può forse affermare con un buon margine di certezza che la scrittura, dopo aver perso molte posizioni a danno delle immagini, stia arretrando anche di fronte a un’inattesa rinascita dell’oralità. Audiolibri, messaggi vocali e podcast stanno guadagnando rapidamente popolarità. Il mercato statunitense degli audiolibri, ad esempio, il più grande del mondo, valeva l’anno scorso circa 1,8 miliardi di dollari, ma pare destinato a crescere ulteriormente, a un tasso annuo del 20-25%. L’audio potrebbe essere anche il futuro dei social media. L’ex CEO di Twitter, Jack Dorsey, prima di essere spodestato a suon di miliardi da Elon Musk, aveva dato il primo grande impulso ai social audio, lanciando nell’estate 2020 i tweet vocali e dando modo ai cinguettanti di far transitare la propria voce direttamente nella timeline.
I dati elvetici
La crescita delle varie forme di comunicazione “parlata” riguarda tutti i Paesi, compreso ovviamente il nostro. Secondo l’ultimo sondaggio annuale condotto in Svizzera dall’Interest Group Electronic Media (IGEM), il 5% del pubblico elvetico afferma di ascoltare ogni giorno un podcast, il 20% ammette di scaricare un podcast almeno una volta alla settimana mentre il 40% dichiara di essere «occasionalmente» tentato dai podcast.
Numeri molto significativi giungono anche dalla tedesca Statista GMBH, che lo scorso 25 novembre ha pubblicato i dati di una ricerca sui media elettronici utilizzati nella Confederazione nel 2021 e nel 2022: a detta della società demoscopica di Amburgo, lo scorso anno l’ascolto di podcast aveva interessato il 29% del pubblico elvetico, una percentuale salita quest’anno al 40%.
Tutti gli analisti, poi, concordano almeno su un paio di punti: i fruitori dei podcast sono principalmente i giovani (moltissimi nella fascia d’età tra i 25 e i 34 anni), e l’ascolto avviene soprattutto dallo smartphone.
Avere voce
Alberta Giorgi, sociologa dei processi culturali e comunicativi, insegna all’Università di Bergamo e fa parte del comitato scientifico di Intervistautori.org, il «primo sito italiano di podcast sulla sociologia. Quando abbiamo iniziato a utilizzare questa forma di comunicazione - dice al Corriere del Ticino - ci siamo resi conto di poter approfondire temi e argomenti in modo originale, suggestivo anche. È chiaro che si tratta di usare le parole in forma differente rispetto allo scritto o al parlato radiofonico. Il podcast è sicuramente simile alla radio, ma ha specificità soltanto sue: non è legato a orari e palinsesti, ad esempio, e crea una forte intimità tra chi ascolta e chi parla, è una fruizione emotiva».
L’affermazione dei podcast, aggiunge Alberta Giorgi, sia come forma di comunicazione sia come scelta del pubblico deriva da ragioni diverse: «Chi ha qualcosa da dire e non trova spazi nei mezzi tradizionali, se li crea nel territorio digitale in forma nuova e con una spesa minima. Il costo di produzione è basso, e non sono richieste competenze specifiche. Il podcast ti permette di avere voce. Certo, la questione di come diffondere il proprio messaggio esiste. La progressiva “piattaformizzazione” dei podcast incide sulla loro diffusione, alcuni contenuti sono molto più visibili di altri. C’è un problema di connessione e di pluralizzazione della sfera pubblica. Resta però il fatto che tutti, come detto, possono avere voce e distribuire ciò che producono».
Documenti della fonostoria
Sicuramente, il podcast è ormai entrato di diritto nel novero della contemporaneità informativa e comunicazionale. È diventato, a tutti gli effetti, uno dei tanti “documenti” della nostra storia. E come tale, c’è chi comincia a trattarlo. Günther Giovannoni, direttore della Fonoteca Nazionale Svizzera di Lugano, solleva ad esempio il tema della necessaria «conservazione» dei podcast. «Fino a questo momento - dice al Corriere del Ticino - non c’è ancora un’abitudine dei produttori a inviare alla Fonoteca i propri materiali. A partire dalla pandemia, il numero di podcast nei nostri archivi è sicuramente aumentato, ma forse non quanto avrebbe dovuto. Stiamo lavorando per trovare una specie di automatismo, dobbiamo fare in modo che i podcast prodotti in Svizzera o che abbiano attinenza con il nostro Paese arrivino alla Fonoteca».
La parola al massmediologo
«Il podcast? È uno strumento di comunicazione meraviglioso». Colin Porlezza, docente di Giornalismo digitale all’USI, non ha timore a utilizzare aggettivi “forti” per definire le caratteristiche del podcast. Con l’avvento dello smartphone, spiega Porlezza, «il prodotto audio sta diventando sempre più importante, perché è indipendente dal tempo e dallo spazio. Dopo averli scaricati, possiamo ascoltare i podcast dove e quando vogliamo. E senza avere la necessità di restare connessi».
Non solo. Questo formato permette a ciascuno di costruirsi un proprio «palinsesto orale personalizzato, anche a livello granulare: c’è una tale marea di scelta, pure su tematiche iper-specializzate, che davvero ciascuno sente ciò che vuole». Per i giornalisti, dice ancora il docente dell’USI, «è un’opportunità più che un rischio, perché permette loro di affrontare più argomenti e in modo flessibile, creativo, con maggiore libertà espressiva». Porlezza parla di «una necessità positiva, potenzialmente in grado di garantire ai giornalisti la possibilità di raggiungere pubblici più giovani. Quei pubblici che hanno una concezione di notizia diversa, e cercano nelle news, oltre alle informazioni utili, elementi di intrattenimento».
Questo non significa che il ritorno all’oralità, le cui dimensioni oggi appaiono consistenti, determini necessariamente la morte della scrittura. «Non siamo di fronte a un gioco a somma zero - sottolinea il docente dell’ateneo luganese - se cresce la componente della comunicazione orale, non è automatico che quella scritta debba diminuire di conseguenza. Piuttosto, constatiamo un arricchimento di modalità. Il podcast si adatta molto più facilmente ai ritmi cui siamo sottoposti. Te lo porti appresso, dove vuoi. Ma anche le altre informazioni sono comunque consumate attraverso il cellulare, cui si accede via social e con le app».