Porta il padre sul dorso per il vaccino, foto virale

Caricare il proprio padre sulla schiena e camminare nella foresta per sei ore fino al sito di vaccinazione più vicino, affinché anche l’anziano di famiglia possa essere protetto dalla pandemia da coronavirus. E poi... ritornare a casa dopo l’iniezione. Dodici ore di cammino in tutto. E non su una strada asfaltata, ci mancherebbe! È successo nell’amazzonia brasiliana e la foto che ritrae il 24.enne Tawy con il genitore 67.enne Wahu sul dorso ha fatto il giro del mondo, diventando virale attraverso la rete. Lo scatto—a opera del medico Erik Jennings Simões e pubblicato qualche giorno fa sul suo profilo Instagram—è «il momento più commovente e sorprendente del 2021», oltre che il simbolo della complicata situazione logistica in una delle zone più remote del mondo (guarda il video allegato all’articolo).
I due hanno appena ricevuto una dose di vaccino e si preparano per il ritorno, altre sei ore di cammino «attraverso una foresta di colline, ruscelli massi e ostacoli naturali di qualsiasi tipo. Ma siamo nel 2022—scrive ancora Erik Jennings—e ancora nessun caso di COVID-19 è stato riscontrato nella comunità indigena degli Zo’é». Questo gruppo conta circa 325 membri che vivono in relativo isolamento, sparpagliati in decine di villaggi su un’area equivalente a 1,2 milioni di campi da calcio, nello stato settentrionale di Pará. I dati ufficiali dicono che 853 indigeni sono morti di coronavirus, ma i gruppi per i diritti degli indigeni dicono che il numero è molto più alto. Un’indagine di Apib, un’associazione senza scopo di lucro brasiliana, sostiene che 1.000 indigeni siano morti solo tra marzo 2020 e marzo 2021.

Erik Jennings Simões, il medico che ha scattato la foto, ha spiegato che Wahu non vedeva quasi nulla e camminava con difficoltà a causa di problemi urinari cronici: «È stata una dimostrazione molto bella della bella relazione tra loro», riporta il sito BBC News Brasil. La risale al gennaio del 2021, proprio all’inizio della campagna di vaccinazione in Brasile, uno dei paesi più colpiti al mondo dalla pandemia. Ma Simões l’ha condivisa su Instagram solo il 1° gennaio di quest’anno, per inviare un «messaggio positivo all’inizio del nuovo anno».
Gli indigeni, all’epoca, erano stati considerati un gruppo prioritario. E il gruppo di sanitari incaricato di seguire gli Zo’é si è trovato di fronte a una bella sfida: sarebbe stato impossibile andare in ogni villaggio, poiché ci sarebbero volute settimane per vaccinare tutti, a causa della dispersione. La strategia adottata, allora, è consistita nell’allestimento di capanne nella foresta, coordinando le ondate di somministrazione nelle varie comunità via radio.

Lo scorso settembre, tuttavia, Wahu è morto per ragioni che ancora non chiare. Tawy è rimasto in famiglia e di recente si è fatto somministrare la sua terza dose di vaccino. «Nella nostra condotta, cerchiamo di adottare pratiche che rispettano e tengono conto della cultura e della conoscenza del popolo Zo’é», ha ricordato Simões, 52 anni e da venti impegnato nella cura dei popoli della foresta.