L'approfondimento

Quando a farci innamorare è l'intelligenza artificiale

Come accadeva nel 2013 con «Her», film diretto da Spike Jonze, oggi, dieci anni dopo, tantissime persone confessano di provare dei sentimenti per un sistema operativo o per un chatbot — Ne abbiamo parlato con la psicologa Lara Franzoni
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Federica Serrao
18.05.2023 06:00

2013. In un futuro lontano, Theodore Twombly, un uomo single e introverso, inizia a provare dei sentimenti per Samantha, un sistema operativo femminile basato su un'intelligenza artificiale in grado di modificarsi secondo le esigenze, le preferenze e le caratteristiche dell'utente che ne fa uso. Quella che vi abbiamo descritto brevemente è la trama di Her, film scritto e diretto da Spike Jonze dieci anni fa, in cui Joaquin Phoenix veste i panni del protagonista che perde la testa per un chatbot. Facciamo un salto avanti nel tempo. 2023. Dieci anni dopo. Circa due milioni di persone confessano di aver trovato l'amore o un semplice amico grazie a Replika. Un sistema di intelligenza artificiale che si presenta come «il compagno AI a cui importa. Sempre presente per ascoltare e parlare. Sempre dalla tua parte». Questa volta, però, non stiamo parlando di una pellicola cinematografica, e nemmeno di una serie tv. Oggi, lo scenario dipinto in Her è diventato realtà. Sempre più persone, infatti, ammettono di aver trovato nell'intelligenza artificiale un partner, o più semplicemente un compagno, con cui chiacchierare e da cui sentirsi compresi e apprezzati. Alcuni confermano di aver addirittura iniziato a provare sentimenti e affetto per il proprio chatbot, al punto da aver deciso di intraprendere una relazione con il sistema. Incuriositi da quali siano le motivazioni dietro questo fenomeno, abbiamo interpellato la psicologa Lara Franzoni. 

L'importanza di soddisfare i propri bisogni

Dopo la crisi del concetto di amore romantico, i cambiamenti nelle relazioni sembrano toccare confini mai raggiunti prima. «Questo accade perché sta cambiando il modo in cui le persone stanno in coppia e ciò che cercano in una coppia», spiega la psicologa. «In altre parole, questo significa che sta diventando più importante e più urgente trovare nel partner la soddisfazione di alcuni bisogni, la gratificazione immediata e la conferma personale». Per questo motivo, dunque, diverse persone avrebbero iniziato a rivolgere gli occhi verso l'intelligenza artificiale, poiché nelle conversazioni con questi sistemi potrebbero trovarsi le condizioni per soddisfare una serie di bisogni. «Le persone cercano connessioni emotive, intimità e vicinanza con gli altri, ma non sempre trovano queste caratteristiche nelle loro relazioni. Oltretutto, spesso non si è nemmeno in grado di "incastrare" le proprie necessità di vicinanza con il bisogno di sentirsi protetti, sicuri, liberi o adeguati». Non solo. Convivere con le diversità, l'inaspettato, ma anche con le storie di vita quotidiana e con i conflitti tipici delle relazioni, per qualcuno sta diventando sempre più insostenibile. «Queste conversazioni con l'intelligenza artificiale potrebbero quindi essere più soddisfacenti perché confermano la persona e la connessione in corso». 

Sta cambiando il modo in cui le persone stanno in coppia e ciò che cercano in una coppia
Lara Franzoni, psicologa

Spike Jonze, quindi, ci aveva visto lungo. In un'intervista avvenuta dieci anni fa, il regista di Her confessava di aver avuto l'ispirazione per il film ben dieci anni prima, nel 2003. A colpirlo, in particolare, fu l'interesse che un sistema operativo poteva dimostrare nei confronti di un essere umano. E come ci spiega la psicologa Franzoni, è proprio questo aspetto a essere centrale per molti utenti. «Nelle conversazioni attribuiamo agli altri delle intenzioni comunicative. Dunque, ogni volta che entriamo in una conversazione, mentre parliamo o scriviamo, sviluppiamo man mano un'idea dell'altro. Di com'è, di cosa pensa di me, di quali siano le sue intenzioni. Se ogni secondo ricordassimo a noi stessi, o semplicemente tenessimo a mente, che ci stiamo rivolgendo a un'intelligenza artificiale, questa fluidità si perderebbe». Questo perché, a detta dell'esperta, probabilmente, una volta accettato di essere dentro uno specifico contesto comunicativo, la premessa recede sullo sfondo. E al suo posto, entrano in gioco modalità comunicative solite e tradizionali per l'essere umano. 

Dai «Catfish» alle relazioni con l'AI

La situazione, per certi versi, potrebbe trovare dei risvolti simili a quelli delle cosiddette «relazioni online» o «Catfish», dall'omonimo show statunitense volto a raccontare e a smascherare le bugie dietro ai rapporti puramente virtuali. Infatti, ancora oggi, diverse persone decidono di intraprendere una relazione sentimentale con qualcuno che non solo non conoscono dal vivo, ma che declina anche ogni possibilità di incontro. Spesso questi individui sono restii a mostrarsi fisicamente anche in videochiamata, a causa del loro aspetto fisico. Il che, in alcuni casi, può confondere chi sta dall'altra parte della tastiera, incapace di dare un volto preciso al suo interlocutore. In queste situazioni, però, spiega la psicologa, «cambiano le premesse, le aspettative e le intenzioni, ma soprattutto il fatto che dall'altra parte ci sia un essere umano portatore di esperienze e sentimenti, si spera in buona fede. Anche in questo caso, però, alcuni fondamenti delle relazioni tendono a venire sommersi da altre dinamiche, a volte con risvolti drammatici». 

Cambiano le premesse, le aspettative e le intenzioni, ma soprattutto il fatto che dall'altra parte c'è un essere umano portatore di esperienze e sentimenti, si spera in buona fede

Se arrivassero anche i robot

Facendo un ultimo riferimento al mondo delle serie tv, l'idea che nel mondo ci siano persone che intraprendono relazioni con chatbot e sistemi di intelligenza artificiale ricorda anche quanto accade in uno degli episodi della celebre serie distopica Black Mirror. In una delle puntate della seconda stagione, intitolata Torna da me, Martha, una donna alle prese con il lutto del compagno Ash, si imbatte in un'offerta che le permette di «rimanere in contatto» con il defunto grazie a un clone. All'inizio, Martha interagisce con un chatbot che, sfruttando tutti i profili di social media del partner, cerca di risponderle come avrebbe fatto Ash. Successivamente, la donna pensa di essere pronta per lo step successivo e riceve un robot fatto di carne sintetica con le fattezze del compagno. Il quale cerca di comunicare e comportarsi come avrebbe fatto Ash, copiandone anche la voce. 

Questo scenario estremo e distopico, seppur dipinto solamente da una serie tv, solleva però alcuni interrogativi, specie alla luce della situazione attuale. Se l'AI continua a fare passi da gigante e le persone si innamorano dei sistemi operativi, è verosimile pensare che, da un punto di vista psicologico, strumenti di questo genere, se mai venissero realizzati, sarebbero in grado di aiutare a superare la morte e il dolore? «Uno dei problemi che si incontrano nei lutti irrisolti riguarda la mancanza di una chiusura», interviene la psicologa. «Per questo non escludo che in futuro ampi utilizzi di tutti gli strumenti tecnologici potrebbero tornare utili allo scopo». Tuttavia, con le dovute precauzioni. «Non dimentichiamo però che proprio per la stessa ragione, un lutto non chiuso, elaborato, ma continuamente rivissuto e sollecitato dal ricordo non permette il recupero e la stabilizzazione del ricordo e del legame. Un'apertura curiosa può permettere di considerare tutti i nuovi strumenti tecnologici nella loro complessità, ma deve essere unità alla complessità della mente razionale».