Recensione

Quando Bob Dylan incontrò George Harrison

Arriva nei negozi «1970», tre dischi con le registrazioni delle leggendarie session che cinquant’anni fa portarono l’artista alla realizzazione di «Self Portrait» e «New Morning» ma che includono anche nove inedite collaborazioni tra il menestrello di Duluth e il «Quiet Beatle»
Quella fra George Harrison e Bob Dylan è stata una lunga e proficua amicizia.
Alessio Brunialti
24.02.2021 21:53

Ricordate i Traveling Wilburys? È stato l’ultimo grande supergruppo, davvero grande e davvero super quanto può esserlo una band che coinvolge un Beatle – George Harrison – il futuro Premio Nobel Bob Dylan, un grande del rock come Tom Petty, un alchimista del pop come Jeff Lynne (leggi Electric Light Orchestra) e, infine, un padre putativo del rock’n’roll come Roy Orbison.

Correvano gli anni Ottanta e quel quintetto (ridotto poi in formazione a quattro dalla prematura scomparsa di «The big O») snocciolò un paio di album divertenti e deliziosi. Ma i semi di quel progetto risalgono a molti anni prima. A quando i Fab 4 incontrarono un Dylan particolarmente stupito che quegli abili inglesi confezionatori di hit non avessero mai provato le delizie più... stupefacenti. E se si può pensare che lui e Lennon fossero intelletti affini, invece tra i due scattò immediata la competizione. Fu il quieto George a conquistare uno Zimmerman lieto di finirgli una canzone (I’d have you anytime), di regalargliene un’altra (If not for you) e di apparire al concerto per il Bangladesh quando le esibizioni di Dylan si contavano sulle dita di una mano, a cavallo tra il 1970 e l’anno successivo. Non che Bob se ne stesse con le mani in mano: stava registrando due delle sue opere più controverse, ovvero il pasticciato e detestatissimo Self portrait e un New morning accantonato troppo in fretta da critica e pubblico.

E proprio 1970 si intitola la raccolta di inediti dylaniani che raccoglie non solo brani di quel periodo del cantautore, ma anche la leggendaria session che lo vide in studio proprio con Harrison, un’era geologica prima dei Traveling Wilburys. Attenzione, leggendaria per la caratura dei due musicisti: i risultati sono gradevoli, ma si tratta pur sempre di canzoni estemporanee, con versioni improbabili di Da doo ron ron delle Ronettes e l’uomo di Blowin’ in the wind che presta tutta la sua nasalità a una Yesterday che suona più come una parodia. Però si tratta di un documento storico che va a completare la revisione di quel periodo già operata dal box della «Bootleg series» intitolato Another self portrait. In entrambi i casi si dimostra che il meglio di quelle sedute di registrazione non venne pubblicato e restò a prender polvere sugli archivi. Esce oggi solo per una questione di rinnovo di copyright, ma i numerosi fan di entrambi questi pezzi da Novanta del rock non hanno di che lamentarsi.