Letteratura

Quando Piero Chiara raccontò la fuga in Svizzera del Vate

Nella biografia di Gabriele D’Annunzio opera dello scrittore luinese, pubblicata quarant’anni fa
Gabriele D’Annunzio in una fotografia di fine Ottocento.
Léon Bertoletti
04.01.2019 20:23

Donne! Per una graziosa e pettoruta figura femminile, ennesimo incapricciamento, a inizio Novecento Gabriele D’Annunzio vuole addirittura farsi svizzero. E tanto vale la trentenne vedovella e mamma Alessandrina, «miracolo biondo» ribattezzato Nike, ai sensi dell’estroso, spumeggiante, quarantenne seduttore sciupafemmine, che con lei mette in disparte perfino l’altra amante, la Divina: Eleonora Duse. Ma c’è pur sempre di mezzo un matrimonio, quello riparatore (dopo «il peccato di maggio» della poesia dannunziana) celebrato nel 1883 con la duchessina Maria Hardouin di Gallese. Ecco, allora, lo stratagemma elvetico. Storia intrigante, che merita memoria a ottant’anni dalla morte (1938) del Vate e a quarant’anni dalla pubblicazione (1978) di un testo che la ripercorre con garbo, maestria, scioltezza: Vita di Gabriele D’Annunzio di Piero Chiara.

Anche al Chiara non difetta, è noto, una certa «svizzeritudine». Nato a Luino nel 1913, si stabilisce a Varese e poi, da antifascista, trova riparo nella Confederazione, dove pure insegna al Liceo italiano di Zugo. Redattore e condirettore della rivista luganese «Cenobio», collabora prolificamente con il «Corriere del Ticino». Muore il 31 dicembre 1986. Se la sua produzione narrativa (Il piatto piange, I giovedì della signora Giulia, La stanza del Vescovo) è tutto un indagare sociale, uno smascherare e svergognare vizietti, fariseismi, moralismi ipocriti, la biografia gabrielitica (opera di maturità letteraria) non si sottrae al dovere della rivelazione, cioè di informare il lettore su ingenuità, incoerenze, menzogne, furbate dello scrittore patriota. Procede con sguardo disincantato e con stile icastico, nitido, incisivo, a tratti graffiante. Insomma, è Chiara all’ennesima potenza. Siamo, dunque, nei primi giorni di settembre del 1905. La marchesa Alessandra di Rudinì convive con D’Annunzio da oltre un anno a Settignano, nella fiorentina villa La Capponcina, e ha stilato il contratto d’amore: una specie di atto notarile con cui la coppia si dona reciprocamente. Lei cede «il possesso assoluto del proprio corpo - libero d’ogni vestimento e d’ogni vincolo - dall’unghia del piede forte all’estremità dei capelli leggeri, nessuna parte esclusa, in luce, in sanità e in gioia». Lui «le cede in contraccambio il possesso dell’intero suo corpo, non escluso il suo cervello meraviglioso». A Nike, però, è diagnosticato un tumore uterino. «Venne sottoposta a un terzo intervento, con conseguenze dolorosissime ma con esito pare abbastanza favorevole», racconta il Chiara. Tuttavia Gabriele definisce i medici «verbosi e inetti» e si guarda bene dal pagarli. Invece Alessandrina va «rimettendosi così rapidamente che D’Annunzio il 10 settembre poté andare a Milano»

Consigli legali in trasferta

Dalla città lombarda prosegue per la Svizzera: «Per consultare l’avvocato Giraud di Friburgo sulla possibilità di ottenere il divorzio dalla di Gallese, forse a seguito delle insistenze della famiglia di Rudinì che desiderava una regolarizzazione del rapporto di convivenza, per quei tempi scandaloso, tra il Poeta e Alessandra». Da quello che riferisce l’accompagnatore di Gabriele D’Annunzio, Tommaso Antongini (che all’insaziabile appetito creativo del compagno fornirà una garçonnière milanese e un’infelice consulenza editoriale), la trasferta elvetica tralascia gli impegni e si trasforma in «una settimana di spassi». Scrive Piero Chiara: «Tanto per cominciare, a Bellinzona, sceso dal treno per comperare della frutta, Gabriele restò a terra e dovette raggiungere l’amico il giorno dopo a Lucerna, meta alla quale erano diretti per ragioni rimaste ignote. L’appuntamento con l’avvocato Giraud, infatti, era previsto all’Hôtel Bristol di Lugano, dove D’Annunzio arrivò in ritardo perché tornando da Lucerna si era addormentato sul treno». Incorreggibile. La stampa non manca di coprire ogni passo, ogni mossa del divo (fa vita mondana, ha firmato popolari novelle, poemi, tragedie, romanzi come Il piacere, siede nel Parlamento italiano e ha pure effettuato un clamoroso spostamento dai banchi della Destra a quelli della Sinistra pronunciando l’illustre «vado verso la vita»). Il «Giornale d’Italia» del 17 settembre mette su carta che D’Annunzio ha «in progetto di cambiare nazionalità, per poter divorziare». Il «Corriere della Sera» dà notizia perfino del suo pisolino ferroviario. La «stampa clericale», chiamandolo «Gaetano Rapagnetta detto Gabriele D’Annunzio», commenta «la sua situazione di farsi svizzero coprendolo di contumelie e rinfacciandogli il falso patriottismo ostentato in Parlamento». Sul quotidiano genovese «Il Caffaro» si legge: «Le Odi Navali saranno scritte da un ammiraglio svizzero». La giornalista e scrittrice Matilde Serao, intervistata a Parigi dalla rivista Eclair, chiosa in questo modo la voce (errata) che D’Annunzio e Maria di Gallese abbiano avuto la cittadinanza elvetica per potersi dividere dopo un anno: «Il nostro D’Annunzio naturalizzato svizzero, per di più nel Cantone di Friburgo! Capite? Il paese dei formaggi!». Maria di Gallese, che vive nella capitale francese «in un elegante appartamento di rue Andrieux», interrogata dal «Risveglio Italiano» sostiene che le pratiche di separazione sono state avviate da lei. L’avvocato Giraud, da parte sua, conferma al «Journal de Genève» che l’iniziativa dell’iter procedurale va attribuita a «Madame d’Annunzio». Spiega che il Vate si è recato da Lugano a Friburgo per le scartoffie necessarie a prendere la residenza, che formalmente deve durare un biennio. Abitazione, passaporto elvetico, divorzio: sembrano le intenzioni di Gabriele, atti da compiere per legalizzare l’unione con Nike. Forse davvero la vicenda poteva chiudersi definitivamente in questo modo, anche se appare poco credibile valutando il temperamento incostante e focoso, il carattere mutevole e bizzarro dell’artista. Comunque l’idea che lo spirito dannunziano trovasse accoglienza in Svizzera, che la bandiera rossocrociata servisse da lenzuolo a una delle sue tante avventure di letto, incontra un ostacolo ben maggiore, quello delle autorità federali: per niente lusingate, infastidite anzi (secondo quanto riportato dal «Courrier Europeén») dall’apprendere che si cercava protezione straniera a un coinvolgimento sentimentale, una liaison, una scappatella, una faccenda di corna. Narra ancora il profilo biografico di Piero Chiara che «la naturalizzazione gli venne infatti negata», probabilmente «per l’eco eccessiva che la notizia aveva suscitato in mezza Europa». Inoltre, «rientrato a Settignano il 20 settembre dopo l’allegra settimana in Svizzera», D’Annunzio scopre «l’orrenda verità»: Alessandra «era diventata morfinomane». Successivamente, nel Solus ad solam, l’indomito appunterà: «La morfina, il mostro vorace, aveva fatto una nuova vittima». L’invaghimento si spegne, un’altra passione dannunziana s’incammina sul viale del tramonto. Sei anni dopo, Alessandrina veste l’abito di monaca carmelitana. Nike diventa Suor Maria e Gabriele non rinuncia all’italianità.