Il festival

Quando Sanremo non era provinciale

Il ritorno dei Depeche Mode al Festival potrebbe segnare un’inversione di tendenza, dopo due decenni in cui la musica italiana si è limitata ad autocelebrarsi
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Stefano Olivari
07.02.2023 06:00

I Depeche Mode che tornano a Sanremo, nella serata finale di sabato 11 febbraio, sono uno dei grandi colpi di Amadeus. Non per la loro importanza, comunque grande, ma perché rompono la monotonia autocelebrativa, provinciale ed italocentrica che domina al Festival da vent’anni, cioè da quando sono stati sdoganati i superospiti italiani, quelli che vanno a fare i fenomeni con canzoni straconosciute mentre i colleghi si scannano in gara. C’è stata però un’epoca in cui alla tradizione sanremese si affiancavano grandissimi ospiti stranieri, era normale e non faceva gridare al miracolo. Ed i budget della RAI non erano certo superiori a quelli attuali.

Il saluto dei Bad Manners

L’elenco fa impressione, anche limitandosi all’era moderna, quella inaugurata nel 1980 da Claudio Cecchetto dopo i cupissimi anni Settanta in cui Sanremo fu sul punto di essere cancellato. In quella edizione davvero di svolta, con la co-conduzione di Benigni e di Olimpia Carlisi (nella memoria il loro lungo bacio, 45 secondi), il grande ospite straniero fu Dionne Warwick, che cantò I’ll never love this way again. Nel 1981, con la manifestazione ormai rilanciata dalla RAI (che tornò a trasmettere in diretta tutte le serate, che allora erano tre), fecero la loro esibizione i Dire Straits, Aznavour, Barry White, Robert Palmer, ma i titoli se li guadagnarono i Bad Manners, visto che alla fine dell’esecuzione di Lorraine il cantante Fatty Bloodvessel mostrò il fondoschiena, proprio senza pantaloni né mutande, al pubblico. Nel 1982, terza ed ultima edizione dell’era Cecchetto, altri pesi massimi: Gloria Gaynor, Johnny Hallyday, Marianne Faithfull, gli America, i Kiss, i Van Halen, Hall & Oates, i Village People.

La spallina di Patsy Kensit

La strada era ormai tracciata e memorabile fu anche l’edizione del 1983, con Peter Gabriel che si lanciò sul pubblico, e la presenza di John Denver, Toquinho, dei Saxon, dei Commodores e degli Scorpions: come si nota, al di là della grande fama degli artisti, non proprio generi sanremesi. Il 1984 fu dominato dalla presenza dei Queen, con Freddy Mercury che protestò per il playback (così si esibivano sia gli ospiti sia i concorrenti, per volere di discografici ottusi) e per tutta l’esecuzione di Radio Ga Ga tenne il microfono lontano dalla bocca, come a comunicare che era tutto finto. Da segnalare in quell’edizione anche i Culture Club e Mark Knopfler. Nel 1985 sul palco dell’Ariston salirono sia i Duran Duran sia gli Spandau Ballet, cioè i due gruppi che sin dividevano le perferenze della massa degli adolescenti di tutta Europa: scene di isteria mai viste, fra Wild Boys e I’ll Fly for you. C’erano anche Sade e i Talk Talk, tanto per gradire, nell’edizione forse più anni Ottanta di tutte, anche per i partecipanti alla gara (vinta dai Ricchi e Poveri con Se m’innamoro), condotta da Pippo Baudo. Nel 1986 ancora gli Spandau e i Talk Talk, più Sting, David Bowie e appunto i Depeche Mode, che fecero Stripped (sarebbero tornati nel 1989 e nel 1990). Il livello degli ospiti stranieri non calava mai e nel 1987 si raggiunse forse il massimo: ancora Duran e Spandau, poi Pet Shop Boys, Smiths, Paul Simon, Europe, una straordinaria performance di Whitney Houston con All at Once (l’entusiasmo del pubblico la costrinse al bis, caso unico nella storia sanremese) e quella a suo modo storica degli Eight Wonder, con la spallina del vestito di Patsy Kensit che scivolò lasciando vedere il seno, scatenando gli editorialisti. Nel 1988 metà dei Beatles, con Paul McCartney e George Harrison, i New Order, Bryan Ferry, Joe Cocker, gli INXS, Art Garfunkel, gli A-ha, Ben E. King con i Def Leppard, i Toto, Paul Anka… quasi non ci si crede. Il decennio magico si chiuse in maniera degna, nel 1989, con Elton John, Ray Charles e Enya.

Inversione nei Novanta

Nell’edizione del 1990 si provò, senza un vero perché, un ritorno al passato, con i cantanti stranieri in gara insieme a quelli italiani, con una loro versione (quasi sempre peggiore) dei brani. Memorabili Ray Charles con Toto Cutugno, Nikka Costa con Minghi e Mietta, Toquinho con Paola Turci, gli America con Sandro Giacobbe, ma in generale non fu una grande operazione. Fra gli ospiti in senso stretto però giganteggiavano Liza Minnelli, Rod Stewart e Tina Turner. Nel 1991 il primo segnali di un’inversione di tendenza: era previsto un solo ospite straniero, ancora Rod Stewart, che però litigò con l’organizzazione e fu cancellato. E fra gli stranieri in abbinata pesi massimi non ce n’erano… Nel corso dei Novanta i grandi ospiti stranieri arrivarono, ma certo non con il ritmo del decennio precedente, per non parlare dello status: una scelta che rimane inspiegabile, visti i boom di ascolti e introiti pubblicitari, oltre ai riscontri internazionali. Vanno comunque ricordati Annie Lennox (1992), Take That e Phil Collins (1994), Madonna nel 1995 (e nel 1998 avrebbe incantato con una grande versione di Frozen, seguita da un momento imbarazzante con Raimondo Vianello), Bruce Springsteen e Celine Dion nel 1996, i Bee Gees e le Spice Girls nel 1997, Jimmy Page e Robert Plant, quindi metà Led Zeppelin, nel 1998, ed una chiusura con il botto nel 1999: Blur, Mariah Carey, Lenny Kravitz, R.E.M.

Autocelebrazione

Con il nuovo millennio ed una partecipazione italiana spesso ai minimi termini, per qualità e quantità, si decise di tornare allo straniero: nel 2000 Oasis, Robbie Williams, Enrique Iglesias, ma anche metà U2, con Bono e The Edge, nel 2001 Eminem, Moby, Ricky Martin e la criticatissima esibizione dei Placebo, che distrussero gli strumenti facendo imbestialire il pubblico dell'Ariston; nel 2002 Shakira, le Destiny’s Child e Britney Spears. Poi con il 2003 l’inizio di una strategia pauperistica che è durata di fatto fino all’altro ieri. Da ricordare le prime volte a Sanremo di Katy Perry (2009), degli One Direction (2012, di Cat Stevens (2014), degli Imagine Dragons ed Ed Sheeran (2015), il ritorno di Robbie Williams e di Ricky Martin nel 2017, e quello di Sting nel 2018. Però è chiaro il cambio di filosofia, a prescindere dai conduttori: da vent’anni a Sanremo la musica italiana si autocelebra, ma il problema non sono Venditti o Cremonini, bensì il fatto che gli spazi una volta occupati dai grandi artisti stranieri adesso sono riservati ad attori che promuovono l’ultima fiction, sportivi che non mettono in fila tre parole, personaggi vari con monologo moraleggiante, comici che non fanno ridere. E anche quest’anno, al di là dei Depeche Mode e dei Black Eyed Peas, certo non nel punto più alto della loro parabola, lo schema non cambierà.

 

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