“Quante volte ho detto a Labranca: vieni a vivere in Ticino”

LUGANO - Ha da dire la sua, Milo Miler, antiquario e fondatore con Julia Kessler della Casa d'arte a Capolago, sulla scomparsa dello scrittore Tommaso Labranca, avvenuta lo scorso 29 agosto.
Miler, prima facciamo un po' di pulizia sui fatti. È stato detto da più media che Labranca è deceduto in Ticino, dove abitava da anni, ostracizzato dall'Italia, che non lo capiva.
«Un paio di errori e una grande verità. Labranca è morto in casa sua a Pantigliate, un comune a ovest di Milano. Il codice di avviamento postale del paese era finito nel nome della casa editrice con cui si auto-pubblicava, la 20090 Editoria e Comunicazione. È stato trovato senza vita dalla madre. Dicono che negli ultimi tempi accusasse strani malori, che disarticolasse le parole. Che sia stato un infarto».
Lei che idea s'è fatto?
«È morto di tristezza».
Spieghiamola.
«Labranca – che in Italia era molto isolato dal punto di vista intellettuale, che era colmo di amarezza, che aveva eliminato ogni sua traccia dal web – veniva spesso in Ticino perché a Casa d'arte gli avevamo affidato la creazione e la direzione della rivista Tipografia Helvetica, chiamata così in onore dell'antica tipografia di Capolago e del carattere omonimo. Dalle confidenze che mi faceva, sono venuto a conoscenza dell'enorme stato di – potremmo chiamarla così – meschinità economica in cui versano gran parte degli editori italiani».
Aveva problemi di soldi?
«Non lo pagavano, o saldavano con ritardi indegni, con strani trucchi contabili, una volta mi raccontò che lo fecero figurare come apprendista. Era invece un gran professionista. E un gran signore, corretto e intransigente».
Di conseguenza, «un rompiscatole»?
«Per certi ambienti piccolini, fatti di fumo e di favori reciproci, sì. Non scendeva a compromessi. Preferiva compilare biografie di qualche popstar trash piuttosto che piegarsi a logiche di micropotere che gli avrebbero fruttato di più. Fu un apprezzato autore tivù – tutti ricordano Anima mia di Fabio Fazio – ma rinunciò a una paga sicura perché non voleva soggiacere a scalette edulcorate e alle solite laudationes. So che ci rimise parecchio».
Cos'era per lui il Ticino?
«Una piccola patria, anche se non ci viveva. Quante volte gli ho detto: trasferisciti qui, non sarà il paradiso culturale, ma permette di vivere. Tipografia Helvetica stava raccogliendo abbonati, più in Svizzera che in Italia. Come Casa d'arte ed editori noi avevamo iniziative adatte a sostenerlo, ci siamo dati da fare. Niente, era affezionato ai suoi luoghi, ai pochi amici».
Alla Sala del Commiato, nel quartiere di Rogoredo a Milano, gli hanno dato l'ultimo saluto scrittori come Biondillo e Genna. C'erano Michele Monina, Marco Drago, Stefano Bartezzaghi. Pure Orietta Berti. Ma brillavano le assenze. Quella di Fazio, ad esempio, e Daria Bignardi. Non c'era nessun editore.
«Un buon ritratto dell'isolamento intellettuale in cui viveva Labranca. È stato lui a decodificare a colpi di ironia e con un occhio sociologico da fuoriclasse il post-postmoderno in cui viviamo. Qualcuno riconosceva il debito e ne ammirava il pensiero, altri hanno saccheggiato le sue idee senza averne stima».
Che ne sarà dei titoli di Labranca, della 20090 e del suo lascito?
«Ripubblicheremo assieme a Luca Rossi, cofondatore della 20090 e di Tipografia Helvetica, e la persona più vicina a Tommaso da dieci anni, alcuni suoi libri, a partire da Vraghinaroda: viaggio allucinante fra creatori, mediatori e fruitori dell'arte. Vogliamo anche chiudere il prima possibile il prossimo numero, curato da Biondillo, di Tipografia Helvetica. Lo dedicheremo al direttore scomparso».