Libri

Quel giovane calciatore rubato ai liberali

Il nuovo volume dell’avvocato e finanziere Tito Tettamanti edito da Dadò
Fabio Pontiggia
Fabio Pontiggia
14.02.2019 06:00

«Ho cominciato a far politica a 18 anni e terminato a 30». All’inizio di una nuova campagna elettorale è di indubbio interesse ascoltare chi, a suo tempo, si buttò giovanissimo in politica. Soprattutto se questo «chi» è una personalità come Tito Tettamanti. Altri tempi, certo. Ma la voce di chi il Paese lo conosce nel profondo e scandaglia con le semplici parole dell’oggi il vissuto di ieri, dall’alto di un’esperienza difficilmente eguagliabile, può risultare preziosissima.

Quando mi buttai in politica è uno dei 18 capitoli che danno sostanza alla più recente fatica che l’avvocato e finanziere ha dato alle stampe presso l’editore Armando Dadò. Non una biografia («Sono un vanitoso ma ho ancora il senso delle proporzioni» scrive l’autore), bensì «alcune istantanee e episodi della mia vita». Di qui il titolo del volume: Flash. «Non sono altro che istantanee, a me sono servite quali ricordi, e alla mia età (classe 1930, ndr) i ricordi sono importanti e un poco ridanno il gusto delle cose vissute e passate per sempre. E riempiono le giornate. Ma ancor più mi servono – scrive Tito Tettamanti – per sottrarmi allo stucchevole, pomposo, inutile rito della biografia». In questo giornale Michele Fazioli ne ha già scritto da par suo nella rubrica «Fogli al vento» (Anche i finanzieri ridono, 14 gennaio). L’occasione della campagna elettorale è però ghiotta per focalizzare l’attenzione sulla più politica di quelle 18 istantanee.

Quando Tito Tettamanti aveva l’età che oggi conferisce il diritto di voto, correva l’anno 1948. Quando chiuse con la politica (che in Ticino, forse più che in altri cantoni, sa anche essere cattiva e ingrata) si era nel 1960. «Un interessante periodo, che mi permise – scrive l’avvocato – di conoscere bene il Ticino, le sue città e le sue valli, i ticinesi come persone e anche quali elettori». Era «un Ticino un po’ sempliciotto, che cominciava ad arricchirsi ma che aveva qualcosa di simpaticamente spontaneo». In quel Ticino il fondatore della Fidinam mosse i primi passi politici. Come? Il mondo è governato dal caso, oltre che dalle sinapsi del cervello. L’avvocato conferma: «La responsabilità per il mio orientamento è in parte del calcio e in parte delle mie ambizioni». Quasi tutti sanno che Tito Tettamanti ha fatto politica per quello che oggi si chiama PPD. Non tutti sanno invece che era di famiglia liberale (del resto la visione politica che guida la sua penna nei lucidissimi commenti, fuori dagli schemi, pubblicati regolarmente su questo giornale è autenticamente liberale). Se il padre non si impegnò mai attivamente, la madre era una «fiera liberale (ma della cotta, cioè cattolica praticante), figlia di un Moccetti e di una Galli liberaloni (i Galli con due consiglieri di Stato padre e figlio) di Bioggio». E allora come mai Tito Tettamanti ha scelto l’avversario storico dei liberali, gli uregiatt? Galeotto fu il pallone. L’associazione Adelfia cercava un giocatore per la sua squadra di calcio. L’allora studente della Commercio di Bellinzona era appassionato del gioco più bello del mondo, militava nella squadra giovanile del Lugano, venne persino convocato nella nazionale. Un amico uregiatton, Antonio Regazzoni, gli fece l’offerta. «Non seppi resistere, aderii ad Adelfia e quindi fui coinvolto nelle attività di una società studentesca cattolica di cui divenni dopo due anni presidente». Il primo passo era fatto. Il secondo lo indusse lo spiccatissimo senso degli affari che già allora lasciava presagire i futuri, grandi esiti. Il giovane calciatore rubato ai liberali (ma non al liberalismo), come presidente dell’Adelfia organizzò una festa da ballo: «Fu anche un successo economico che ci permise di poter offrire ad ogni seduta di Adelfia una cioccolata calda con un sandwich al salame e prosciutto ai presenti. Non ho bisogno di spiegarvi perché venni rieletto all’unanimità presidente» scrive Tettamanti. Fu questo l’ingresso «nel mondo cattolico/conservatore». E quel mondo, se hai cervello, spirito di iniziativa e senso degli affari, ti prende perché sei un investimento sicuro. Valeva ieri, vale oggi, pur nello scombussolamento dei parametri che anche il sistema dei partiti ha dovuto sopportare e affrontare.

All’allora Partito conservatore democratico servivano giovani leve per affrontare l’ondata liberale nella città di Lugano. Il partitone, sanata la scissione e avviata sul piano cantonale l’alleanza di sinistra con il padreterno del socialismo Guglielmo Canevascini, aveva riconquistato la maggioranza in Municipio. L’avvocato Riccardo Rossi affidò la missione al figlio Giancarlo, grande amico di Tettamanti: «Dovete costituire un gruppo di giovani conservatori di Lugano e il presidente lo fate fare al Tito». «Una proposta – scrive Tettamanti – tale da non poter essere rifiutata». «Come noto – autoironizza il finanziere - durante la mia vita ho sempre fatto fatica a rinunciare quando mi offrivano una carica: e da lì dunque iniziò la mia carriera politica».

Arrivarono l’elezione in Gran Consiglio nel 1955 («Ebbi un ottimo risultato piazzandomi secondo a livello cantonale subito dopo il presidente del partito Franco Maspoli, anzi un po’ troppo vicino») e quella in Consiglio di Stato nel febbraio 1959, con 11.514 voti, alle spalle di Alberto Stefani e davanti a Canevascini (inarrivabili i due liberali radicali Franco Zorzi e Plinio Cioccari). Sessant’anni esatti son dunque passati da quel successo. L’avvocato legò subito con il padreterno Canevascini, «il collega con il quale ho umanamente simpatizzato di più (...), uomo di notevole apertura mentale, che era stato di intelligente e ferma opposizione al fascismo (unitamente a Cattori) e oltretutto spiritoso e bon vivant» (il libro ricorda un gustosissimo episodio con l’ambasciatore sovietico). L’esperienza governativa fu brevissima. Un incidente fiscale e una campagna di stampa particolarmente virulenta, poi un voto negativo dell’alleanza di sinistra (radicali e socialisti) in Gran Consglio indussero Tettamanti a dimettersi il 9 luglio 1960. La politica ci perse, la società civile e l’economia ci guadagnarono. E parecchio. «Da allora ho imparato a guardarmi alle spalle - scrive l’avvocato -, a trent’anni avevo raggiunto la maturità di un quarantenne e ho provato gusto a reinventarmi professionalmente, cosa che ho poi fatto, anche se non obbligato, più volte nella vita».

Uscito dal microcosmo politico cantonticinese, l’ex giovane calciatore rubato ai liberali apre la porta sul mondo. Le istantanee del libro edito da Dadò fotografano avventure e occasioni che danno la dimensione globale dell’avvocato divenuto imprenditore e finanziere di successo. Il liberalismo, quello che non conosce le barriere del provincialismo, si riappropria pienamente di un intelletto sopra la media che ancora oggi è una voce di riferimento con la quale, volenti o nolenti, si devono fare i conti se si ama dibattere stando alla larga dai luoghi comuni e dalla superficialità che ignora il passato ed è schiava delle mode.