Teatro

Quel lungo filo indissolubile tra Glauco Mauri e Dostoevskij

Il grande attore marchigiano racconta il suo legame con i capolavori dell’autore de «I fratelli Karamazov»che questa sera e domani, insieme alla sua storica compagnia, porterà sul palco del Teatro Sociale di Bellinzona
Glauco Mauri (a sinistra) con Roberto Sturno.
Adriana Rossi
18.02.2020 06:00

Un’intera carriera – per non dire una vita – racchiusa tra due «Karamazov» come tra due parentesi: aperte al futuro, naturalmente. Glauco Mauri con l’inseparabile Roberto Sturno, con cui da 40 anni fa compagnia, porta in scena il capolavoro di Dostoevskij: suo l’allestimento e l’adattamento che firma insieme al regista Matteo Tarasco. Una tournée iniziata l’anno scorso e che tocca ora Bellinzona (Teatro Sociale, questa sera e domani). Ancora poche tappe primaverili e poi inizierà a pensare al Re Lear che, dopo un assaggio a Roma e Firenze, interpreterà nella prossima stagione.

Un antico amore

Ma intanto l’amato Fëdor. «Dopo L’idiota, dopo Delitto e Castigo, I fratelli Karamazov: opera monumentale, terribile e tragica, di delitti e amori maledetti, gelosie e vendette. Fu un fatto di cronaca a ispirare, come spesso avveniva, Dostoevskij: la società di allora così simile alla nostra, piena di cattiveria», spiega l’attore. Poi, dopo una breve pausa: «C’è una frase di Dmitrij che riassume tutto: “Satana e Dio sono sempre in guerra tra loro. E il cuore dell’uomo è il loro campo di battaglia”. Con Beckett e Shakespeare, Dostoevskij ha illuminato la mia vita con quella sua capacità di non giudicare l’uomo e la sua libertà di scegliere tra bene e male, di osservarlo e averne pietà».

Se Dostoevskij è autore che ti fa capire la vita, «Karamazov» è il testo che te la cambia. «Avevo 22 anni – racconta Mauri -. Feci il provino per Smerdjakov: messa in scena di André Barsacq e Benassi, Brignone, Santuccio, Salerno in compagnia. Ma venni scartato dal regista. Per intercessione del produttore, venni preso in compagnia come “tuttofare”. Loro intanto continuavano nella ricerca dell’attore per quel ruolo: invano. Le prove proseguivano e io imparavo le sue battute. Le “davo” agli altri attori. Venne Nino Taranto in visita alla Brignone. Si stupì che ancora non ci fosse uno Smerdjakov e soprattutto che non fossi io. “Ma è il più bravo di tutti”. Alla fine furono costretti a ricorrere a me: lo interpretai come volevo io, andando contro le indicazioni di Barsacq». Che, a cose fatte, avrebbe ammesso quasi di malavoglia con il giovane attore ”Pas mal”.

Fu un successo personale che condizionò la carriera di Mauri. «In un momento del teatro in cui la gavetta era la norma, ebbi fortuna: non ne feci. Impressionò questo giovane sconosciuto tra tanti grandi».

Quasi settant’anni dopo ora è lui Fëdor Karamazov che era allora di Benassi («Per me un mito. Nel confronto con il regista mi sostenne, amava la mia autonomia»). Mentre Smerdjakov è oggi Gabriele Anagni. «Ha sostituito un altro attore che ha dovuto lasciare per impegni precedenti. Ha poche prove e poche repliche: ma migliora ogni sera che passa».

Quasi novantenne

Novant’anni tra pochi mesi, «sono felice di poter interpretare ancora grandi testi. Come dice Brecht: “tutte le arti contribuiscono all’arte del vivere. E il teatro è la più grande di tutte”». Nato a Pesaro, nel 1930 sbarcò a Roma per frequentare l’Accademia: fantastici quegli anni. «Oggi viviamo un periodo, diciamo così, disordinato, in cui fare cultura è molto difficile. Ammiro quindi molto chi prende una strada così impervia». Questo anche se rimprovera alle giovani generazioni «la fretta di avere successo, la mancanza di pazienza che porta alla superficialità». Del giovane aspirante attore che era ricorda: «Dormivo sul divano di un appartamento che si trovava dietro al Vaticano: la padrona mi buttava fuori prima delle 7 e non potevo tornare fino a sera. Il mio rifugio allora era la biblioteca dell’Accademia: quanti libri ho letto». Tra i docenti Costa, Tofano, D’Amico. «Che gran fortuna. I giovani oggi non hanno insegnanti di quella statura». Tra i compagni nel corso di recitazione Bosetti, Graziosi; in quello di regia, Camilleri. «Eravamo molto amici. Ricordo la festa quando venne pubblicata la sua prima poesia. Poi ci siamo persi... Le scelte professionali... Mi dispiace».