Storia

Quella fragile Lugano francese tra gli Sforza e i dodici cantoni

Un notevole volume, promosso dall’Archivio storico della Città, ricostruisce nei dettagli la vicenda dimenticata della comunità sul Ceresio nel travagliato periodo di passaggio dal ducato di Milano all’annessione da parte della Lega svizzera
Ricostruzione di veduta dalle colline di Lugano con il castello sul lago nel 1499-1515. © inklink musei, simone boni
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
18.02.2022 06:00

Si dovesse accennare a un periodo di soggezione di Lugano alla Francia, molti, è probabile, lo fisserebbero al tempo dell’occupazione del Ticino da parte del Regno italico napoleonico, dal 31 ottobre 1810 alla restituzione alla libertà il 7 novembre 1813. Pochi forse a un tempo assai più remoto, quando il borgo ancora appartiene al ducato di Milano, e, assieme ad esso, cade in potestà di Luigi XII di Valois-Orléans, il 6 settembre 1499, restandoci, almeno per gli ultimi scampoli – i castelli di Lugano e Locarno –, sino al 26-28 gennaio 1513. Ciò è comprensibile: questa parentesi della vita del borgo e della pieve, benché importante nel suo passato, è stata confinata in genere negli studi a poche righe, lasciandovi, eccetto in uno specifico del 1913, un segno meno marcato di altri episodi.

Ora un corposo tomo, promosso da Roberto Badaracco e Luigi Maria Di Corato, per il Dicastero cultura, e da Pietro Montorfani, per l’Archivio storico della Città, nell’ambito del ciclo dedicato a «Lugano nel Rinascimento», viene a colmare questo vuoto; mostrando tra l’altro quanto un arco di anni limitato abbia influito in modo determinante, proprio allora, nelle vicende della comunità e della regione, passate per circostanze internazionali politico-militari e dinamiche in parte almeno interne, da un dominio all’altro. Passaggio tutt’altro che rapido e lineare, né privo di oscillazioni, viene qui illustrato sia nel testo, sia nella folta appendice di documenti, riportati in buon numero a testimoniare come Lugano, appartata località periferica dello Stato, vi abbia rappresentato una parte notevole.

Rivendicazioni territoriali

Tutto inizia, si legge, quando Carlo VIII di Valois e il cugino e successore Luigi XII, puntando a stabilire la supremazia francese nella penisola italiana, specie sul regno di Napoli, mirano al ducato di Milano, rivendicato in base a pretese dinastiche, come necessaria base di partenza di spedizioni verso sud. Rovesciato il duca Ludovico Sforza da Luigi XII, per tenere la frontiera nord e assicurarsi soldati costui si piega a cedere ai Confederati – installatisi de jure in Leventina nel 1480, de facto in val di Blenio nel 1495 – la val Riviera sino a Claro nel 1499. L’acquisto non placa tuttavia le aspirazioni soprattutto dei Cantoni di Sottoselva, Svitto e Uri, ma anche Lucerna e Glarona, a impadronirsi di Bellinzonese, Locarnese e Luganese, oltre che della val d’Ossola, per garantirsi altre aree di qua della catena delle Alpi e punti d’appoggio sui laghi prealpini, veri corridoi per commerci con l’Italia.

Da qui, profittando di fasi di debolezza del governo a Milano, trovandosi i francesi coinvolti in incessanti conflitti sul teatro europeo, i passi dei cantoni forestali per forzare sempre più verso sud. Col primo risultato alla «dedizione spontanea» di Bellinzona, dopo la disastrosa campagna di Ludovico il Moro per riprendersi il trono nel 1500; un tentativo fallito su Lugano, occupata brevemente nel 1501; il secondo su Locarno, inutilmente assediata nel 1503; il trattato di pace di Arona l’anno stesso con l’acquisizione giuridica di Bellinzonese e Bleniese; i piani di alleanza con Massimiliano I, imperatore dei Romani, per appoggiarne i piani di rovesciare il governo di Francia nella Lombardia ducale nel 1506-1508; calate improvvisate e senza esiti sino a Varese nel 1510, e addirittura alle porte di Milano nel 1511. Per arrivare infine a un’adesione formale della compagine svizzera – ora di XII Orte, decisi a muovere assieme, con obiettivi chiari e condivisi –, nel 1512, alla Lega santa, formata da papa Giulio II tra Stato pontificio, regno di Castiglia e di Aragona, repubblica di Venezia.

È allora, nella coalizione alla quale si aggiungerà nell’autunno l’Impero, che gli elvetici, in virtù della potenza militare, colgono i maggiori successi: la vigilia di accedere al trono ducale tramite quest’appoggio, Massimiliano Sforza, figlio del Moro, si vede costretto nel settembre a cedere loro Ossola, Maggia, Locarnese e Luganese, sancendo uno stato di fatto poiché ormai tengono Locarno dal 26 e Lugano dal 30 giugno, Domo dal 15 agosto, benché le rocche sul Verbano e sul Ceresio, difese dai francesi, si consegnino su ordine del re solo nel gennaio 1513 in vista di accordi con i cantoni. Fallito da Luigi XII il tentativo di riprendersi Milano, riuscito al cugino e successore Francesco I di Valois-Angoulême nel 1515, la riconfigurazione delle frontiere non muta: riconquistata Domo, l’ambiguo trattato di Friburgo del 1516 dove si riconosce al nuovo sovrano la facoltà di riscattare dagli svizzeri per denaro le ultime loro conquiste, lascia in realtà ad essi, con altre terre, il Luganese.

La vicenda del castello

Vicende in apparenza ai margini della grande storia, il bel libro Lugano francese ne sottolinea il ruolo invece di peso, e non solo nelle contese lombardo-svizzere; confermando inoltre che il regime francese si fa, pure per il fiscalismo, involontariamente decisivo nel sospingere comunità sotto il dominio elvetico, avvertito come più blando. Lugano e la valle, da Sonvico a Riva San Vitale, terre-cerniera tra alto e medio ducato, appaiono del resto in queste pagine affatto considerate dal potere centrale, utilizzate per gratificare, infeudandoli, i rispettivi fiancheggiatori, e lasciate in balìa quindi di estranei e in preda a faide feroci per rancori arcaici. Tra gli altri temi, non per caso spicca la ripresa all’irruzione dei francesi delle fazioni dei Ghibellini, prevalenti a Lugano, e dei Guelfi, a Sonvico, tra saccheggi, e rappresaglie, causa di ulteriori miserie: «Lugan c’est le plus pouvre lieu et les pyres gens là où je fus auecques», arriva a scrivere nel 1500 il castellano Yves d’Alègre a un suo generale.

Ben delineata anche la vicenda del castello luganese, voluto dal Moro nel 1498, abbattuto dagli svizzeri nel 1517 per demotivare una riconquista francese: la fisionomia al tempo del secondo assedio del 1512 vi è ipotizzata in base ai radi documenti, agli scavi archeologici del XX secolo, a magnifiche tavole attuali a colori, che tanto animano il libro. Per finire, si è chiesto agli autori del volume, Roberta Ramella e Marino Viganò, se possono raccontarci almeno un aneddoto tra i più curiosi tra quelli incontrati. «La vicina pieve di Campione», ci dicono, «è feudo non dei duchi di Milano ma dell’abate di Sant’Ambrogio. Fedeli cattolici – la riforma entrerà dal 1522 –, gli svizzeri non solo non toccano i privilegi ecclesiastici ma, ricevuto aiuto dai campionesi nel blocco della rocca luganese, rinnovano loro le prerogative antiche con diploma dato in Lugano il 16 marzo 1513: data da allora, formalmente, l’enclave italiana di Campione, rispettata da 500 anni da ogni successivo regime».