Quella volta che Kurt Cobain venne fermato in dogana a Chiasso

Da una cittadina sperduta negli Stati Uniti fino a Chiasso, un puntino sulla mappa europea. Da Aberdeen, meno di due ore di auto da Seattle, all’estremo sud della Svizzera. Inizia dalla dogana di Chiasso il tour italiano dei Nirvana del 1989. È il 26 novembre, una domenica. Da poche settimane nel Vecchio continente soffia un’aria di cambiamento: è caduto il muro di Berlino. Proprio in quelle concitate settimane, l’Europa inizia a conoscere una band che da lì a poco avrebbe cambiato la storia del rock: i Nirvana. Kurt Cobain, Chris Novoselic e Chad Channing (Dave Grohl non era ancora in squadra) arrivano nel Regno Unito dopo un massacrante tour negli USA insieme ai Tad, altra band che verrà lanciata dai critici musicali nel vasto calderone del grunge o del Seattle sound. Sono sette le date oltre Manica, poi giù verso il sud del Continente a bordo di un furgone consumato dai chilometri. Paesi Bassi, Germania Ovest, Austria, Ungheria, ancora Austria e Svizzera, a Friburgo, con Kurt Cobain malato e sostituito da Tad Doyle.
«Ho conosciuto Kurt Cobain – La storia dei Nirvana in Italia» è un podcast in 7 puntate scritto e narrato dal documentarista Paolo Maoret, con musiche e sound design di Marco Degli Esposti, prodotto da Piombo Podcast. Un racconto denso di aneddoti e testimonianze di chi ai concerti dei Nirvana in Italia era presente, dalla prima data al Bloom di Mezzago del 1989 fino al tour del 1994, nei palazzetti di Modena, Roma e Milano. L’ultimo canto di un bellissimo cigno morente, o meglio, già morto nell’anima.
Ma torniamo al 1989, a Chiasso. A portarci nella cittadina di confine è proprio Paolo Maoret, attraverso una raccolta di voci di chi quella data la organizzò, in particolare Daniela Giombini, ai tempi booking agent e tour manager per la Subway production. Fu lei a portare i Nirvana nella Penisola per la prima volta, quando ancora il loro primo disco, Bleach, era materia per pochissimi appassionati. Maoret racconta: «La guardia doganale ferma un Fiat Ducato bianco, scassato, consumato dalla polvere e dai chilometri. La guardia si avvicina, accende la torcia per guardare all’interno dell’abitacolo. Dentro al furgone sono stipate 9 persone, americani dall’accento. Chiede di preparare i documenti e bussa al finestrino posteriore. Il vetro si abbassa e ne esce un faccione paonazzo, contornato da lunghi capelli neri e una camicia a righe bianche e nere, occupa da solo due posti. Al suo fianco un ragazzo esile, capelli lunghi biondi da hippie e un giaccone color senape di almeno due taglie più grande. La guardia doganale chiede i passaporti. Aveva ragione, sono americani. Il ragazzone corpulento si chiama Thomas Andrew Doyle. Apre il secondo passaporto, del ragazzo biondo, gli occhi di un blu penetrante. Osserva bene la foto, ricontrolla il viso del ragazzo. Sì, è proprio lui. Si chiama Kurt Donald Cobain. Fra meno di due anni sarà la più famosa rockstar del pianeta. Ma ancora non lo sa». Gli aneddoti su quella prima storica performance in Italia sono oro colato per i fan: il soundcheck, previsto per le 17, posticipato alle 20 a causa del contrattempo in dogana e della nebbia lombarda. Il personale del Bloom che viaggia fino a Chiasso per cercare le due band date per disperse. Tad Doyle colpito da un’otite perforante e sostituito da Kurt Cobain. E finalmente lo spettacolo, descritto dalle poche centinaia di presenti come devastante. Un concerto furioso e doloroso, che manteneva in pieno le promesse di quel primo disco dalla copertina così scarna. Urgente e viscerale, come la musica in esso contenuta.

Citando la recensione del critico musicale Claudio Sorge per la rivista Rockerilla, vera e propria bibbia per gli amanti del rock alternativo: «La visione dei Nirvana è crudelmente spartana, spietata, analitica. È puro art-metal, scomposizione e ricomposizione geometrica di riff in acciaio temperato; materiale mai visto in giro, metalli sconosciuti tenuti assieme da collanti ritmici a presa ultrarapida. E i carpentieri che lavorano a queste nuove costruzioni sono individui nervosi e geniali. Bleach è il manifesto dell’hard rock moderno che apre ufficialmente gli anni 90. Inchinatevi». Dopo quel concerto al Bloom, i Nirvana si esibirono al Piper Club di Roma (con Kurt Cobain che mostrò i primi segni di cedimento per i ritmi forsennati del tour), per poi tornare in Svizzera, all’Usine di Ginevra e alla Rote Fabrik di Zurigo. Da lì a pochi mesi, la band americana non avrebbe più potuto permettersi di suonare in locali del genere, perché una folla in delirio li avrebbe seguiti nei palazzetti di tutto il mondo. La Generazione X aveva finalmente trovato il suo portavoce. Un angelo maledetto, troppo fragile per questo mondo.