Il mio festival

«Quella volta che presi un caffè con Spike Lee in Piazza Grande»

Locarno Film Festival: l'intervista al fotografo Reza Khatir
Prisca Dindo
14.08.2024 06:00

La prima volta che sentì parlare del film festival di Locarno, lui si trovava a Londra. Era l’alba degli anni ’70, e Reza Kathir, oggi fotografo affermato, era un giovane di belle speranze iscritto a un politecnico soltanto per far contenti i suoi genitori. Perché, in cuor suo, sognava il cinema. 

In Gran Bretagna era giunto alcuni anni prima, seguendo le orme dei figli della borghesia iraniana, nati come lui a Teheran. A quei tempi, nessuno nel suo Paese poteva immaginare che una decina di anni dopo lunghe barbe e grandi turbanti avrebbero cacciato lo scià di Persia a suon di versetti coranici, dando vita alla Repubblica islamica guidata dall’ayatollah Khomeini. Allora, spedire la prole nelle più prestigiose scuole in Europa era una prassi consolidata tra le famiglie benestanti iraniane, perciò suo padre seguì la tendenza e lo mandò in Inghilterra.

In una di quelle estati londinesi, il giovane Reza riuscì a realizzare il suo sogno più grande: vivere per alcune settimane su un set cinematografico. Fu un amico che stava lavorando all’opera prima di un certo Mike Leigh - divenuto in seguito uno dei più grandi cineasti inglesi - a offrirgli l’occasione. L’anno dopo, incontrò di nuovo l’amico, il quale gli raccontò con grande entusiasmo che «il nostro film ha vinto il Pardo d’Oro alla regia al Festival di Locarno».

Così Reza Kathir scoprì l’esistenza di Locarno e del suo Film Festival. Destino volle che l’amore lo conducesse, pochi anni dopo, proprio sulle rive del Verbano. «Quando sbarcai in Città Vecchia assieme alla mia futura prima moglie ticinese ero un po’ deluso perché mi aspettavo di vedere una Hollywood svizzera. Invece, mi sembrava tutto così piccolo. Ma poi, quando raggiunsi piazza Grande e vidi lo schermo gigantesco, fu amore a prima vista».

Il legame tra Reza Khatir e il Film Festival fu molto intenso, soprattutto tra gli anni ’80 e gli anni ’90, quando la direzione artistica era dapprima nelle mani di David Streiff, poi di Marco Müller. In quel periodo, i riflettori della manifestazione si accesero spesso sull’Iran. Nel 1989, il film di un regista iraniano allora pressoché sconosciuto in occidente vinceva il Leopardo di bronzo al Festival di Locarno. Si trattava di Dov’è la casa del mio amico?, di Abbas Kiarostami. «Quelli, secondo me, sono stati i periodi migliori del Film Festival», racconta Reza, il quale lavorò spesso per la manifestazione come traduttore e moderatore in qualità di volontario.

A Locarno, Reza ha fatto anche molti incontri, «come quando seduto al bar Verbano vidi un ragazzo dall’aria spaesata. Era Spike Lee. Ora è uno dei più significativi esponenti della cultura afroamericana, ma allora era un regista esordiente che nessuno conosceva. Questo era il bello delle edizioni di Müller e di Streiff: Locarno era un vero trampolino di lancio per giovani talenti. Non c’era la necessità dei tappeti rossi. Oggi il Festival ha 77 anni ma ho l’impressione che, purtroppo, abbia perso gran parte di questa sua anima».

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