«Quell’antica arte di reclamizzare i libri»

Esperto di pubblicità e bibliofilo cultore di storia dei volumi cartacei, Ambrogio Borsani nel delizioso «La claque del libro» appena edito da Neri Pozza, ripercorre nei secoli le tappe fondamentali delle operazioni di sostegno al libro intrecciandole con la storia della pubblicità. Si ricostruiscono le «case-histories» di lanci clamorosi come quello di «Fantomas», l’esempio più sorprendente di marketing tra i libri seriali del primo Novecento, e altri eventi straordinari come «Via col vento» e «Il Piccolo Principe». Ne abbiamo parlato con lui.
Ambrogio Borsani, ci può spiegare come le è venuta l’idea di questo singolare, curioso e irresistibile libro?
«Per anni ho passato le giornate a fare il pubblicitario e le notti a scrivere libri. Poi ho pensato di mettere assieme il giorno e la notte, la pubblicità e il libro. Prima ho insegnato questa materia in varie università, l’Orientale di Napoli, la Statale di Milano e Brera. Alla fine ho raccolto il materiale che avevo, ho cercato in tutte le bibliografie sull’argomento e ho lavorato un anno per trasformare queste esperienze professionali e didattiche in un libro».
Può sorprendere il neofita scoprire che la pubblicità editoriale nasce in pratica con il libro stesso: come comincia questa multiforme e secolare vicenda?
«Si deve tutto a Peter Shöffer, uno stampatore che aveva lavorato alla Bibbia del 1455, il primo libro stampato. Quando Gutenberg fu costretto a dichiarare fallimento, dopo aver portato a termine l’impresa più importante della storia del libro, perdette soldi e macchinari. Peter Shöffer aprì una tipografia con Johann Fust, suo suocero, e nel 1469 ebbe l’idea di stampare un foglio con 19 titoli e attaccarlo ai muri per pubblicizzare la sua produzione. Un gesto fondamentale nella promozione del libro. Naturalmente il libro è il primo prodotto a essere pubblicizzato semplicemente perché gli stampatori avevano le attrezzature per comunicare il proprio lavoro».
Il suo saggio è costellato di episodi bizzarri, incredibili e spesso molto divertenti: ce ne può ricordare qualcuno particolarmente significativo?
«La più grossa sorpresa è stata quando ho scoperto la storia del Vin Mariani. Nel 1863 un certo Angelo Mariani, francese di origine corsa, inventò un vino alla cocaina che mandava in estasi i consumatori. Arrivai al Vin Mariani seguendo le tracce degli scrittori che si erano prestati a fare della pubblicità. Scoprii che Jules Verne, Alexandre Dumas, Émile Zola e altri autori testimoniavano sui giornali la bontà del vino alla cocaina. Ma il colpo che mi lasciò tramortito fu scoprire che anche un papa, Leone XIII, autore dell’enciclica progressista Rerum Novarum, appariva in un annuncio pubblicitario che inneggiava al vin Mariani alla cocaina. La storia della pubblicità del libro è piena di sorprese clamorose. Si conoscono poco perché lo studio della pubblicità nelle università è un fatto molto recente. Tra le cose che mi hanno molto colpito c’è anche la polemica nata in Spagna su un manifesto per pubblicizzare la Fiera del Libro di Zamora. Il poster mostra una ragazza di spalle, nuda, con un libro che fa da ali. L’esibizione del lato B ha suscitato molto scalpore in Spagna. La pubblicità di Zamora è stata accusata di sessismo, anche da Podemos. Per tutti gli altri prodotti si usa il lato B tranquillamente, ma per il libro, no. Scriveva Baudrillard: Le cul n’est plus qu’un effet special».
Come evolve nel corso della storia il rapporto tra il valore artistico e il valore commerciale di un’opera letteraria e che ruolo gioca l’autore in questa complicata vicenda?
«Dipende dal potere contrattuale dell’autore. Se un autore vende molto può imporre molte cose all’editore. Mentre un autore di grande valore letterario ma con pochi lettori, sarà costretto ad accettare contratti poco vantaggiosi o addirittura rifiuti. Oggi il marketing è entrato pesantemente nelle case editrici. I marketing-men dovevano risolvere il problema delle vendite, ma le vendite del libro continuano ad arretrare. Quale è stato allora il loro apporto? In alcune case editrici ci sono regole secondo le quali se un libro recupera meno del 95% di quello che è stato investito, scatta il divieto di fare un altro libro di quell’autore. Così non si costruisce un catalogo, non si investe sul futuro. Gadda, Manganelli, Landolfi con queste regole non sarebbero esistiti. I loro primi libri non vendettero niente. Eppure sono ancora in catalogo e sostengono i bilanci delle case editrici che investirono su di loro. Oggi il lavoro di scoperta della qualità è possibile nelle piccole case editrici, che hanno pochi costi e possono lanciare scrittori che non garantiscono un bestseller ma propongono qualità letteraria».
Infine almeno un inevitabile accenno dobbiamo farlo alla promozione libraria nella nostra epoca tutta social, like, follower ed emoticons: che spazio rimane al nostro caro vecchio libro cartaceo in tutto questo rutilante tumulto digitale?
«Per quanto riguarda il digitale, quando si legge Delitto e castigo, il problema non è se lo si legge su E-book o su carta. L’importante è che lo si legga. Il discorso dei social invece è più complesso. Facebook, Twitter, Instagram prendono sempre più spazio nella giornata dei ragazzi, e non solo. Anche molti adulti e anziani cercano disperatamente contatti come rimedio alla solitudine e all’isolamento. Ma il problema naturalmente riguarda prima i giovani. Per i ragazzi molto del tempo passato a postare, a chattare e a contare i like, è tutto tempo sottratto alla lettura. Si chatta anche sui libri e sulla cultura in generale, ma il discorso rischia di essere frammentario e superficiale. La critica ufficiale va piano piano indebolendosi a favore di pareri espressi in rete da critici improvvisati, a volte anche bravi. Può essere un lato positivo dare la possibilità a appassionati della lettura di esibire in rete le proprie capacità critiche. Ma questo avviene in un diluvio di pareri frammentari, improvvisati, blaterati, da drammaturgia del cazzeggio, come si è espresso felicemente Arbasino. I numeri dei social sono comunque in mano alle star di mondi estranee al libro. Per questo lavoro sono andato curiosare sulle classifiche dei followers. Come previsto in testa ci stanno i calciatori. Cristiano Ronaldo con quasi 150 milioni di followers. Poi ci sono cantanti e attori. Quando mi sono messo a cercare il primo scrittore per numero di followers, sono partito dalla Rowling e da King, ma non erano loro al vertice, sui 5 milioni entrambi, la Rowling si rifà su Twitter dove supera gli 11 milioni. Ma in testa c’è Coelho, con quasi 30 milioni di followers. È chiaro che per avere un tweet che fa vendere bisogna appellarsi a Ronaldo. Un fenomeno incredibile che ho approfondito sui social è quello di Rupi Kaur. Una canadese trentenne di origine indiane che postando poesie su Instagram ha raggiunto i 3 milioni di followers e un suo libro cartaceo di poesie, Milk and Honey, ha venduto un milione e mezzo di copie. Ma c’è un trucco. La Kaur, qualche anno fa, con le sole poesie, aveva centomila follower, cifra già consistente per la poesia. Ma poi postò una sua foto sdraiata sul letto con macchie di sangue mestruale. Instagram rimosse la foto, lei la postò su tutti gli altri social trasformando il fatto in una battaglia femminista. I like alle sue poesie ebbero un’impennata e ora ai suoi reading ci sono folle da rockstar. Morale: la poesia da sola non basta, e nemmeno la poesia sui social. Un bello scandaletto fa sempre la differenza. Comunque la rete offre anche vantaggi culturali straordinari. Le biblioteche di tutto il mondo mettono a disposizione sempre più libri digitalizzati, e fare le ricerche è diventato più facile. Per chi vuole ricercare la cultura e non gli scandali».