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Riscoprendo Luigi Pericle, tra erudizione e spiritualità

Nella sede di Palazzo Reali a Lugano, il MASI ospita per la prima volta in Svizzera un’originale retrospettiva che svela l’universo enigmatico e affascinante di un personaggio a lungo dimenticato della scena culturale del Novecento
Luigi Pericle, The Veil of Maya III (Matri Dei d.d.d.), 1963, Tecnica mista su tela, 35 x 44 cm. Foto Marco Beck Peccoz.
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
15.04.2021 19:24

Lasciati alle spalle gli aspera di un lungo oblio, non poteva che intitolarsi «Ad astra» la mostra che il MASI, da domani nella sua sede di Palazzo Reali, dedica, e si tratta di una prima retrospettiva completa a livello svizzero, alla complessa ma affascinante figura di Luigi Pericle, un artista nel cui processo di riscoperta (iniziato un po’ per caso alla fine del 2016), i nostri lettori sono stati coinvolti fin dal principio. Una mostra che certo rappresenta un riconoscimento importante, proprio nel Ticino che lo aveva a lungo dimenticato, per un personaggio dal carisma poliedrico e difficilmente sintetizzabile così come per coloro (i coniugi Greta e Andrea Biasca-Caroni) che con passione, competenza ed entusiasmo ne hanno salvaguardato l’eredità materiale e intellettuale.

Ma anche una mostra che è destinata giocoforza ad essere un semplice punto di partenza per qualsiasi discorso approfondito sulle infinite e suggestive ramificazioni della «periclità». Come ci ha spiegato bene l’ottima curatrice della mostra luganese Carole Haensler, giunta a Pericle attraverso le chine e le illustrazioni nel Museo Villa dei Cedri di Bellinzona che dirige, «è difficile racchiudere l’opera di Luigi Pericle in un’unica parola, movimento o addirittura espressione artistica. La molteplicità dei suoi interessi e della sua permanente ricerca -spirituale, scientifica, filosofica - l’hanno portato ad esplorare l’arte - pittura, disegno - ma non solo, anche la scrittura (aforismi, poesia, le novelle, il romanzo). Questa mostra tenta di dare la misura di un percorso umano e umanistico a 360 gradi partendo dall’esperienza artistica», che, per inciso, è soltanto la punta dell’iceberg di una figura che può ricordare quella di un Athanasius Kircher novecentesco depurato dalla cialtroneria (anzi!) ed arricchito (e quanto!) dalla spiritualità. L’unica critica che dunque si può muovere all’esposizione è forse quella della troppa sintesi anche se è ovvio che al cospetto di un personaggio così debordante (e in buona parte ancora da scoprire e studiare) ogni approccio è un punto di partenza e uno spunto per ulteriori analisi in una serie potenzialmente infinita di rimandi. D’altronde la retrospettiva del MASI ha il merito con opportuni spazi di approfondimento dedicati all’«altro» Pericle di evidenziare che la ricerca artistica e pittorica in particolare è soltanto una delle sue enigmatiche sfaccettature. Di questo outsider sui generis (la definizione di outsider anzi non gli sarebbe nemmeno pertinente perché a lungo fu ben inserito nelle più importanti correnti europee dell’astrattismo pittorico del secondo dopoguerra), di questo atipico/tipico, sappiamo che nacque a Basilea (su questo si è ormai fatta chiarezza definitiva) il 22 giugno 1916 come Luigi Pericle Giovannetti da padre italiano (originario di Monterubbiano nelle Marche) e da madre francese. Talento precoce, sin da bambino inizia ad interessarsi alla pittura, si iscrive ad una scuola d’arte ma ben presto mostra una certa insofferenza per i metodi classici d’insegnamento e cerca nuove vie. Si interessa alle filosofie orientali e studia le antiche civiltà greche, egizie e cinesi, nelle quali trova ispirazione per la sua arte.

Negli anni Cinquanta si dedica all’illustrazione, iniziando a collaborare con alcune riviste satiriche, come la svizzera Nebelspalter e l’inglese Punch, per la quale inventa la marmotta Max, che viene pubblicata per la prima volta nel 1952 e che ha subito un grande successo procurandogli fama e agiatezza economica. Poi distrugge tutta la sua produzione figurativa risalente agli anni Trenta e Quaranta ma continua a dedicarsi alla pittura, preparandosi da solo i colori, così come si facevano gli antichi maestri, e utilizzando anche resine e inchiostri speciali cinesi. Nel 1959 entra in contatto con il collezionista basilese Peter G. Staechelin, che diventa suo mecenate e che da quel momento acquisisce un numero importante di opere (ancora oggi nella Collezione Staechelin vi sono un centinaio di dipinti realizzati da Giovannetti). Per farlo lavorare in grande tranquillità, Staechelin acquista per Giovannetti e la moglie Ursula la Casa Halla (che in spagnolo significa «scoperta»), alle pendici del Monte Verità ad Ascona. Con il nome di «Luigi Pericle», tra il 1962 e il 1965 espone varie volte in Inghilterra, principalmente alla Tooth Gallery di Londra, galleria d’arte contemporanea specializzata in alcuni dei grandi nomi dell’astrattismo e dell’informale europeo, quali Karel Appel, Antonio Saura, Jean Dubuffet, Corneille e Asger Jorn. Molte sue opere finiscono in collezioni private inglesi e americane. Ancora nel 1965 riceve ad Ascona la visita di Herbert Read, già curatore del Victoria and Albert Museum di Londra, professore ad Harvard e consigliere personale di Peggy Guggenheim.

L’isolamento volontario

Un incontro che potrebbe davvero cambiare la vita dell’artista se non subentrasse una decisione che ancora oggi resta inspiegabile. Per delle ragioni che ci sono infatti ignote, Luigi Pericle si ritira dalle scene e il centro del suo mondo diventa l’abitazione (Casa San Tomaso) di Ascona, dove continua a dipingere solo fino agli anni Ottanta, finendo per dedicarsi esclusivamente alla meditazione, allo studio delle scienze umanistiche, alla ricerca e alla scrittura (in mostra è esposta lasua copia personale del leggendario romanzo Bis ans Ende der Zeiten mai pubblicato integralmente) mantenendo però contatti epistolari con studiosi e intellettuali in tutto il mondo. Nel 2001 muore senza eredi ad Ascona e la sua casa rimane chiusa per una quindicina d’anni fino alla riscoperta quasi casuale da parte dei coniugi Biasca- Caroni suoi dirimpettai che lo considerano a ragione un «maestro spirituale» e che, passando dalla fondamentale mostra veneziana Beyond the visible alla Querini Stampalia nel 2019, oggi lo riportano sotto i riflettori del MASI. Dove in cinque sezioni cronologiche che ne delineano l’orizzonte spirituale e artistico (dalla tela all’amata masonite) Pericle si rivela rigorosamente contemporaneo nella sua pittura e nel suo vocabolario rivelandosi all’altezza dell’astrazione lirica della seconda École de Paris e dell’arte informale del suo tempo e dei suoi maggiori esponenti da Dubuffet a Hartung, da Soulages a Bissier. Il tutto seguendo un individualissimo fil rouge che racconta passioni smisurate per la calligrafia, l’astrologia, la teosofia ,la filosofia, la cabala, l’alchimia, ma anche le macchine, i motori, l’astronautica, la fantascienza e chi più ne ha più ne metta. Una mostra dunque che non invita soltanto a riflessioni di valore estetico ma che induce il visitatore, come sempre dovrebbe fare l’arte, a porsi delle domande sul significato della condizione umana.