Sanremo 2020

Rita Pavone: «Torno al Festival grazie a mio figlio»

A colloquio con la cantante che si ripresenta in gara a 42 anni dalla sua precedente esibizione.
Red. Online
03.02.2020 06:00

Mancano poche ore all’inizio dell’evento televisivo (e musicale) italiano dell’anno, il 70, Festival di Sanremo che, tra dimostrazioni d’affetto, critiche e polemiche , catalizzerà come sempre per una settimana l’attenzione generale. Quest’anno tra i 24 partecipanti anche un volto di casa nostra, Rita Pavone, che torna su quel palco a 48 anni dalla sua ultima apparizione. L’abbiamo incontrata.

Qualche anno fa lei fu protagonista alla RSI di uno show d’addio con cui disse di voler concludere la carriera e ritirarsi un po’ nella sua Lattecaldo, e un po’ in Spagna. Oggi però la ritroviamo a Sanremo. Cosa è successo?
«Che la musica è un qualcosa difficile da lasciare. Nel mio caso devo ringraziare Renato (Zero - ndr) che 5-6 anni dopo quell’annuncio ed il mio trasferimento in Spagna mi invitò allo show in tv con cui celebrava i suoi 60 anni. Io inizialmente declinai l’invito, poi decisi di andarci per cortesia. Una volta arrivata lì, però, non solo fui stupita dell’accoglienza del pubblico, ma mi resi conto che ero ancora in grado di cantare bene. A quel punto mi sono chiesta: perché devo privarmi di un qualcosa che mi dà gioia? Soprattutto adesso che sono libera da contratti discografici e posso fare ciò che voglio. Ed è così che tutto è ripartito».

Ed ora eccoci a Sanremo. Una chiamata inaspettata, per il pubblico, ma credo anche per lei...
«Si. Tutto è cominciato quando un giorno mio figlio Giorgio (George Merk - ndr) mi ha fatto ascoltare una sua canzone in italiano, una cosa strana in quando di solito lui scrive in inglese. L’ho ascoltata, l’ho trovata davvero bella e gli ho detto: proviamo ad inciderlo e a mandarlo a Sanremo. Se va bene, ok, altrimenti, amen. E così abbiamo fatto. Poi non abbiamo più sentito nulla. E quando è uscita la lista dei partecipanti, mi sono messa il cuore in pace. Peccato, mi sono detta. Poi due giorni prima dell’Epifania suona il telefono. Era Amadeus che mi diceva: sei al festival. A quel punto c’è stato un attimo di panico, visto il poco tempo a disposizione. Però siamo partiti: con la ricerca dei vestiti, le prove con l’orchestra, le scenografie. E adesso siamo qui».

Che effetto le ha fatto ritrovarsi in questo ambiente dopo così tanti anni?
«Bellissimo, anche perché durante le prove ho riscontrato un grande affetto nei miei confronti da parte dell’orchestra, del coro... E questo mi ha ulteriormente galvanizzato. Tanto più che sono convinta di avere un brano con cui ben figurare».

Brano, intitolato Niente (Resilienza 74), scritto da suo figlio Giorgio, che da tempo, fa musica di grande qualità. Come mai ci avete messo così tanto a fare qualcosa assieme?
«Perché sia lui che io abbiamo sempre cercato di non cadere né nel nepotismo né nel cliché della famiglia musicale , in cui, di solito a pagare lo scotto sono sempre i figli che vengono caricati di eccessive pressioni e confronti. Ed è per questo che in tutti questi anni lui ha collaborato una sola volta con me: quando era piccolo in un disco in cui c’era bisogno della voce di un bambino. Poi nient’altro, fino a questa canzone, che ho immediatamente amato. Ecco forse per tornare a Sanremo era necessario che mio figlio mi scrivesse una canzone».

In questi anni di assenza da Sanremo, il festival e la musica italiana sono cambiati. In meglio o in peggio?
«C’è molta meno melodia. Si parla molto e si canta meno. Ma si tratta di un mio modo di vedere la musica che non è quello dei giovani di oggi. Comunque credo che sia una normale evoluzione dei tempi, anche se credo che prima o poi si finirà a tornare al passato: la musica, infatti, segue dei cicli, un po’ come la moda».

Nella musica di oggi si parla molto e si canta meno. Ma si tratta di una normale evoluzione dei tempi, anche se credo che prima o poi si finirà a tornare al passato: la musica, infatti, segue dei cicli, un po’ come la moda

Chi le piace dei musicisti di oggi?
«Mi piace Morgan, un musicista vero, intelligente. E Vinicio Capossela. Ma anche chi nel suo modo di fare dimostra di avere una grande conoscenza della musica».

Parliamo ora del suo rapporto con il Ticino, di cui è a pieno titolo la più qualificata esponente musicale, visto che l’ha eletto a sua dimora da mezzo secolo...
«È un legame nato grazie al mio matrimonio che dura ormai da 52 anni ma a seguito del quale all’epoca io e mio marito fummo massacrati da tutti. Allora ci trasferimmo in Ticino e da allora provo per questa terra un gran senso di gratitudine perché mi ha dato la possibilità di realizzare il mio sogno di donna; di vivere, al di fuori della mia attività artistica una vita normale, tranquilla, non spiata, non seguita, con grande affetto da parte di chi mi frequenta, ma sempre con una certa discrezione. Poi, è vero, ho anche un grande affetto per Torino, città dove sono nata, dove ho ancora tanti parenti, dove la mia carriera è cominciata e della quale continuo a sentirmi parte. Ed è proprio questo mio amore per Torino che, ultimamente, mi ha provocato qualche problema sui social network dove, come è sempre accaduto nella mia vita, ho espresso pacatamente ma chiaramente le mie idee e dove ho avuto anche degli scontri. Però quando parlo di casa, parlo di Lattecaldo e del Ticino».

Proiettiamoci nel futuro. Cosa accadrà dopo Sanremo?
«Stiamo preparando un cofanetto di preziose rarità. Ossia di canzoni che ho cantato ma solo al di fuori dall’Italia e che in alcuni casi sono state anche riprese da altri (come Wenn Ich Ein Junge War, mio maggior successo in tedesco, poi ripreso anche da Nina Hagen). E poi stiamo lavorando su un tour, che spero tocchi anche il Ticino, dove è un bel po’ che non canto. E la cosa, lo ammetto, mi manca».

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