Roberto Rossi: «Il pop è cambiato e gode di ottima salute»

È un personaggio fondamentale del Festival di Sanremo anche se, al di fuori degli addetti ai lavori, pochi lo conoscono. È Roberto Rossi, direttore di Sony Music Italia, la più importante major discografica della Penisola, e quindi uno dei grandi «burattinai» della rassegna. Che però, da oltre trent’anni vive anche dall’interno, nel ruolo di direttore d’orchestra. Lo abbiamo incontrato.
Un alto dirigente discografico che a Sanremo fa il direttore d’orchestra: un doppio ruolo decisamente insolito...
«Vero (ride - ndr) però non va dimenticato che prima di diventare un discografico sono stato per anni un musicista che ha prodotto e suonato con tanti artisti, dirigendoli anche a Sanremo. E questo è un qualcosa che nei limiti del possibile, mi diverte ancora fare, perché produrre e dirigere sono il “cuore” della musica».
Il suo mestiere principale però è il discografico. Ed è al discografico che chiediamo che senso ha Sanremo, nell’era dello streaming e di internet.
«Ha un senso anzitutto perché un’istituzione italiana in grado di aggregare tantissime persone, tanti artisti, la discografia sia delle major che delle etichette indipendenti. Il mercato musicale, è vero, è cambiato, si è molto ringiovanito e gli artisti che hanno una certa età faticano a farsi largo nello streaming rispetto ai beniamini dei ragazzi. Però i loro dischi si vendono ancora. Insomma si tratta di un settore in salute per il quale Sanremo è importante perché crea interesse, genera un notevole giro d’affari sia nella discografia – tradizionale e digitale – sia nel suo indotto. E mi riferisco alle serate ai live. Essere presenti a Sanremo è dunque molto importante».
Quali sono le difficoltà delle case discografiche nel scegliere i prodotti da portare al Festival?
«Le stesse del passato: i meccanismi del Festival, nonostante i già citati cambiamenti, non sono cambiati. Durante tutto l’anno noi lavoriamo per raccogliere informazioni, trovare artisti nuovi collaborando con produttori, arrangiatori, manager. Ma anche utilizzando i nuovi canali digitali come YouTube, dove spesso troviamo molte cose nuove. Però le pubbliche relazioni, il passaparola, la presenza nei concorsi e negli eventi dove c’è musica rimane fondamentale».
Parliamo ora di Sanremo 2020: da discografico come lo giudica?
«Estremamente variopinto, e nel quale mi sto divertendo moltissimo. C’è una bella eccitazione, un’organizzazione perfetta e musica davvero per tutti: da Rita Pavone ai rapper che hanno un ruolo importante in quanto rappresentano il pop di oggi, quello che i giovani seguono . Sì è un festival che – senza nulla togliere a quelli del passato – trovo molto più divertente».
Tolga ora il cappello del discografico e indossi quello del direttore d’orchestra. Che anche in questo caso è importante...
«Vero (e ride ancora – ndr), anche perché sono terzo in classifica come numero di direzioni dopo Peppe Vessicchio e Adriano Pennino. La prima volta ci venni da produttore indipendente con le sorelle Boccoli nel 1989 presentando un pezzo scritto da Jovanotti. Da allora la mia presenza è stata costante e sempre positiva, anche perché, al di là dei tanti cambiamenti intercorsi, l’ atmosfera in cui si lavora non è mai cambiata, è sempre stimolante, eccitante, crea la tensione giusta».
Che grado di difficoltà comporta arrangiare e dirigere un pezzo a Sanremo?
«Non è facile soprattutto perché le produzioni di oggi hanno molti elementi elettronici. Qui invece bisogna fare i conti con un’orchestra di 60 elementi, per cui tutto va adattato. Fortunatamente l’organizzazione ci permette di utilizzare certe macchine grazie alle quali è possibile rendere il suono il più vicino possibile a quello della registrazione discografica. Però è un lavoro complesso che noi direttori facciamo di solito assieme ai produttori originali assieme ai quali creiamo la partitura definitiva».
Un lavoro che quest’anno lei ha fatto per Marco Masini. Per mestiere o c’è dell’altro?
«Soprattutto perché è un amico che conosco da oltre trent’anni, da quando lui suonava con Raf e io con Ramazzotti. E di lui si parlava già bene tanto che l’anno seguente vendette un milione e trecentomila copia del suo primo album imponendosi a Sanremo Giovani. Era esattamente trent’anni fa ed infatti quest’anno la sua presenza è anche per celebrare questo anniversario, anche discograficamente, con un album contenente 15 straordinari duetti con artisti che vanno da Jovanotti, a Nek a Ramazzotti».
E chi è a suo avviso il Masini del futuro?
«Difficile dirlo proprio perché la il pop sta vivendo una fase di grande creatività e i giovani in grado di recitare un ruolo importante (e non parlo solo di della mia casa discografica) sono davvero tanti. Soprattutto nell’ambito di quel settore, che rappresenta un evoluzione del rap e che mi piace definire “new pop” dal quale, soprattutto attraverso lo streaming ci stanno arrivando eccellenti feedback».
Tornando a Sanremo 2020, secondo lei chi lo vincerà?
«Sono sei anni che non si impone una donna per cui io guarderei in quella direzione. E non solo per una questione statistica. Molte proposte delle interpreti femminili in gara sono infatti in grado di ambire al successo».