Salute

Il vaccino anti-cancro a mRNA, «il frutto buono della pandemia»

Il prodotto di Moderna, testato sul melanoma in combinazione con un farmaco immunoterapico, ha dato risultati positivi - Il prossimo anno la fase 3 della sperimentazione -Cristina Mangas (IOSI): «Apre a scenari interessanti, ma occorrerà ancora qualche anno»
©JOEL CARRETT
Martina Salvini
15.12.2022 06:00

«È uno dei pochi frutti positivi che la pandemia ci ha restituito». In mezzo a tanta sofferenza, dice la dottoressa Cristina Mangas, caposervizio del Centro dei tumori cutanei complessi all’EOC (Istituto oncologico della Svizzera italiana e Servizio di dermatologia), «il COVID ha infatti anche permesso di dare un’importante accelerata alla ricerca. E a beneficiarne sono stati diversi campi della medicina, tra cui l’oncologia». Quanto comunicato martedì dall’azienda farmaceutica Moderna, in effetti, lo testimonia bene. Per la prima volta, la tecnologia basata sull’mRNA - resa celebre dai vaccini anti-COVID -, se usata insieme a un secondo farmaco già approvato contro il tumore, ha dimostrato di essere efficace contro una forma mortale di cancro alla pelle, il melanoma.

Cosa cambia

Innanzitutto, premette la dottoressa Mangas, occorre sottolineare che il vaccino in questione non è quello usato finora contro il COVID. «In pratica, viene usata le medesima tecnologia, ma invece che la proteina del coronavirus, qui si utilizzano le proteine del tumore del paziente, in questo caso del melanoma». Di per sé, prosegue l’esperta, la possibilità di utilizzare i vaccini per trattare alcuni tipi di tumore, come appunto il melanoma, è nota da una ventina d’anni. «Prima, però, non avevamo avuto risultati positivi. Ora, invece, combinando i due aspetti - farmaco e vaccino - si è notato che si riesce a stimolare maggiormente il sistema immunitario. E ci si attende quindi un beneficio accresciuto». Non a caso, i risultati hanno indicato che la combinazione dei due presidi ha ridotto il rischio di ricaduta del 44% rispetto alla sola immunoterapia. Benché siamo solo all’inizio della sperimentazione - la fase 3, l’ultima, inizierà il prossimo anno - questa metologia potrebbe quindi rappresentare una svolta. «Si aprono scenari interessanti, sì. Soprattutto per i pazienti oncologici con un rischio maggiore o per i quali i prodotti attualmente in commercio non sono sufficienti», spiega la dottoressa. Insomma, una speranza in più. Anche se non sarà per domani. «Le tempistiche, in questi casi, non sono molto rapide», commenta Mangas. Nel 2023 dovrebbero infatti partire i test di fase 3, quelli decisivi per un’eventuale approvazione da parte delle agenzie regolatorie. «Studi di fase 1 e 2 non sono sufficientemente solidi per un utilizzo standard del medicamento. La fase 3 è invece determinante, e di solito dura almeno un anno». Ma non è finita lì, perché poi devono passare almeno altri due anni per verificare l’impatto sulla sopravvivenza dei pazienti testati. «In totale, quindi, potrebbero volerci almeno dai tre ai cinque anni», dice Mangas.

Melanoma ma non solo

I test, finora, sono stati eseguiti su 157 pazienti con melanoma di stadio 3 o 4 che erano già stati sottoposti a interventi chirurgici. Ad alcuni di loro sono state somministrate nove dosi del vaccino anti-cancro sperimentale di Moderna insieme a pembrolizumab ogni tre settimane per un anno. Altri, invece, hanno ricevuto solo pembrolizumab. «Teoricamente, però, il meccanismo testato sul melanoma è perfettamente estendibile ad altri tumori. È sufficiente trovare i marcatori o le proteine che fanno scattare la risposta immunitaria per ciascun tumore». E, in effetti, la fase successiva della sperimentazione dovrebbe coinvolgere anche altre tipologie di cancro.

Il quarto più diffuso

Ma perché si è partiti proprio dal tumore della pelle? «Perché il melanoma è uno dei tumori più immunogenici, ossia tra i più capaci di indurre una reazione immunitaria», risponde la dottoressa Mangas. Del resto, «la pelle, rispetto ad altri organi - più protetti, come il cuore e il cervello - è molto esposta e ha una maggiore interazione con il sistema immunitario». Il melanoma, lo ricordiamo, è il quarto tumore più diffuso, tanto negli uomini quanto nelle donne. «Negli ultimi anni, inoltre, la sua incidenza sta aumentando, ma nella stragrande maggioranza dei casi la diagnosi è precoce. Purtroppo, però, vediamo ancora troppe persone che sottovalutano le prime avvisaglie. Non bisogna aspettare, ma farsi visitare».

Il nodo dei costi

Tornando alla sperimentazione, una volta concluso il complesso iter dei test e ottenuto il via libera dalle agenzie regolatorie, il medicamento potrebbe essere messo in commercio. A quel punto, però, i prezzi saranno accessibili o rimarrà un trattamento per pochi? «Questa è una nota dolente», risponde la dottoressa. «I prezzi elevati dei medicamenti rimangono un problema. In generale, infatti, si tratta di prodotti estremamente costosi». Fortunatamente, prosegue la specialista, «in Svizzera l’immunoterapia per i pazienti affetti da tumore è approvata e riconosciuta». Eppure, questo non vale per tutti i Paesi. «Basti pensare che anche in Europa abbiamo Stati in cui, di fatto, una fetta della popolazione non può accedere a questi trattamenti. La speranza, quindi, è che il costo dei medicamenti possa in futuro abbassarsi».