L'intervista

La neuroscienza che distrugge il razzismo: «Il cervello funziona per tutti così»

A tu per tu con il professor Giacomo Rizzolatti, neuroscienziato di fama mondiale, scopritore dei neuroni specchio — Il 20 marzo sarà a Lugano per il simposio «Noi vs loro: il cervello razzista», organizzato da BrainCircle Lugano all'USI
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Capire come funziona il cervello umano — fra linguaggio ed empatia — può rivelare come e perché il razzismo si radichi all’interno di gruppi e società umane, aiutandoci così a combatterlo. È questa l'idea alla base del simposio «Noi vs. Loro: il cervello razzista» in programma lunedì 20 marzo all'USI e organizzato da BrainCircle Lugano. Oltre al genetista Guido Barbujani e al neurolinguista Andrea Moro — intervistati negli scorsi giorni da Dario Campione —, all'evento parteciperà il neuroscienziato Giacomo Rizzolatti, scopritore dei neuroni specchio. Con lui abbiamo parlato di neuroscienza e razzismo, facendo un vero e proprio viaggio nel cervello umano e capendo così come, dal sorriso allo sbadiglio, i neuroni reagiscano sempre allo stesso modo, indipendentemente dal colore della pelle o dall'appartenenza etnica.

Il professore Giacomo Rizzolatti. © Wikipedia
Il professore Giacomo Rizzolatti. © Wikipedia

Uno specchio motorio

Partiamo dal principio. Perché uno scienziato ci può parlare di razzismo? Probabilmente, ci spiega il professor Rizzolatti, proprio perché è tramite la scienza che i concetti razzisti possono essere combattuti: «Il razzismo è un fenomeno molto complicato, perché a generarlo ci sono degli aspetti culturali molto forti. Ma dal punto di vista biologico non esiste alcuna differenza sostanziale tra uomo nero, uomo bianco, uomo giallo o uomo rosso». La biologia e, in particolare, la neuroscienza è, in sostanza, unanime: «Siamo tutti identici. E questo lo si può dimostrare per esempio con le strutture che si attivano quando proviamo certe emozioni, le stesse per qualsiasi individuo della popolazione umana». E qui, su questo aspetto, arriviamo all'importante scoperta effettuata da Rizzolatti, e dal suo team dell'Università di Parma, fra gli anni '80 e gli anni '90: l'esistenza, negli animali, dei cosiddetti "neuroni specchio". Neuroni che si attivano sia quando un animale agisce, sia quando questo osserva la stessa azione compiuta da un altro. Un processo utilissimo non solo per l'apprendimento del linguaggio o di determinate azioni, ma anche per la comprensione delle emozioni e la conseguente empatia. «Quella dei neuroni specchio è stata una scoperta estremamente interessante», ci spiega il professor Rizzolatti. «Ormai molti anni fa, abbiamo trovato dei neuroni motori (inizialmente motori, ma non solo, ndr) che nel caso della scimmia rispondevano sia quando l’animale afferrava un oggetto, sia quando vedeva una persona afferrarlo». Una scoperta che, in breve tempo, è divenuta interessante anche e soprattutto per l’uomo. «Per nostra fortuna, proprio in quel periodo ha avuto inizio la diffusione di tecniche di brainimaging (o neuroimaging, ndr)», metodi per mappare il cervello come la PET (tomografia a positroni) o la RM (risonanza magnetica). «È proprio l’utilizzo di questi nuovi strumenti che ha permesso di dimostrare l’esistenza dei neuroni specchio anche nell’uomo». Proprio così: anche nell'uomo, esattamente come nella scimmia, «sollevare un bicchiere o guardare un ragazzo che compie questa azione, attiva le medesime aree motorie». Insomma, la celebre espressione “guardando si impara” ha più di un fondo di verità.

Siamo tutti identici. E questo lo si può dimostrare per esempio con le strutture che si attivano quando proviamo certe emozioni, le stesse per qualsiasi individuo della popolazione umana
Professor Giacomo Rizzolatti

E non finisce qui. Un esempio che tutti avranno provato è la contagiosità dello sbadiglio. Anche in questo caso, interviene il professor Rizzolatti, si tratta di un comportamento dovuta ai neuroni specchio. «Il mio team ed io non ci siamo dedicati in dettaglio a questo fenomeno, per questo motivo non sappiamo quale sia l’area che determina lo sbadiglio, ma senz’altro è fortemente contagioso e causato dai neuroni specchio. Addirittura, ci sono degli altri studi che sostengono come anche solo leggere di qualcuno che sbadiglia spinga automaticamente a fare altrettanto».

Una simpatica immagine pubblicata da alcuni studenti dell'Università di Harvard rende bene l'idea del meccanismo mirror: il neurone specchio, normalmente a riposo (immagine A) emette un impulso elettrico quando la scimmia esegue (B) o osserva (C) un'azione specifica (in questo caso, afferrare un oggetto). I grafici in basso mostrano l'aspetto degli impulsi elettrici (ciascuno rappresentato come una gobba) misurati con un elettrodo: identici nel caso B e C. ©Science in the News/Harvard University
Una simpatica immagine pubblicata da alcuni studenti dell'Università di Harvard rende bene l'idea del meccanismo mirror: il neurone specchio, normalmente a riposo (immagine A) emette un impulso elettrico quando la scimmia esegue (B) o osserva (C) un'azione specifica (in questo caso, afferrare un oggetto). I grafici in basso mostrano l'aspetto degli impulsi elettrici (ciascuno rappresentato come una gobba) misurati con un elettrodo: identici nel caso B e C. ©Science in the News/Harvard University

Fra emozioni ed empatia

Ma, dicevamo, l'aspetto motorio è solo l'inizio. Quello dei neuroni specchio (mirror neurons) è un mondo sotto la lente degli scienziati, che ancora oggi ne stanno studiando le profonde implicazioni. «Quello dei neuroni specchio è un meccanismo di base che si trova in molte aree del nostro cervello. Funziona, sì, per le azioni semplici, ma anche per le emozioni e l'empatia». Il prof. Rizzolatti ci racconta il percorso dello studio sulle emozioni umane: «Riguardo a questo aspetto, per noi è stata fondamentale la collaborazione con il reparto di neurochirurgia dell’ospedale Niguarda di Milano, in particolare con il settore dedicato alla chirurgia nell’epilessia che non risponde ai farmaci». I pazienti afflitti da questa patologia vengono tenuti in osservazione per una settimana e la loro attività cerebrale viene monitorata costantemente, così da individuare il focolaio epilettico e permettere una precisa operazione chirurgica. In questo lasso di tempo, gli neuroscienziati hanno la possibilità di effettuare altre osservazioni grazie agli elettrodi (una novantina) piazzati sul capo del paziente. «Uno degli aspetti più interessanti studiati in questa fase è stato quello della risata. C'è una certa area nel giro del cingolo (parte del cervello, ndr) che, se stimolata, "obbliga" il paziente a ridere. In seguito abbiamo mostrato alle stesse persone delle scene divertenti e abbiamo notato che ad attivarsi, nel cervello, è la stessa area precedentemente stimolata con gli elettrodi». Questo, afferma il professore, è «uno degli esempi più belli di mirror», e aggiunge: «Vale per ogni essere umano. Asiatico, europeo, africano: l'area implicata nella risata è la stessa perché siamo tutti della stessa razza». Quella umana.

Dopo le emozioni, viene l'empatia: la capacità di capire e immedesimarsi nello stato d'animo altrui. Dal momento che i neuroni specchio sono responsabili anche emozioni, sarebbe lecito domandarsi se chi possiede più neuroni specchio è, di conseguenza, una persona più empatica, rispetto a chi ne ha meno. «È difficile determinare questo aspetto. In Francia sono stati condotti alcuni studi sulla capacità empatica delle donne rispetto a quella degli uomini. E ciò che è emerso è che sì, le donne sono tendenzialmente persone più empatiche rispetto agli uomini». Statisticamente, nelle persone di genere femminile, «si attivano maggiormente le aree relative alla sofferenza emotiva». Ma, evidenzia l'85.enne, «si tratta di una mera questione di grandi numeri. Esistono ovviamente individui di sesso maschile estremamente empatici e donne che lo sono meno». Tendenzialmente, questa differenza fra uomo e donna si spiega in maniera naturale, dal momento che — dal punto di vista biologico — la donna, oltre a partorire il bambino, ha il compito di nutrirlo già dai primi minuti di vita. Una relazione più stretta di quella padre-figlio che potrebbe spiegare la differenza. «Le donne sono chiamate naturalmente, in un certo senso, ad avere empatia verso un altro essere umano. Questo non significa che gli uomini non possano essere empatici. Al contrario, anche loro sanno essere degli ottimi padri. La differenza è che quella della donna è una necessità biologica, mentre quella dell'uomo è culturale».

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Se la rabbia è contagiosa

Lo abbiamo scritto: la scoperta dei neuroni specchio risale ormai a decenni anni fa, ma gli studi continuano. Recente, recentissima, è la scoperta relativa agli angry mirror neurons, neuroni specchio legati alla rabbia. «Lo studio pubblicato qualche giorno fa sulla rivista Cell è davvero molto interessante. Gli esami condotti all’università di Stanford sui topi ha evidenziato che se un topo — animale territoriale — entra nella gabbietta di un altro esemplare maschio, quest’ultimo si arrabbia molto, attivando una specifica area del proprio cervello. Se si registra l'attività cerebrale di questi animali mentre assistono a un combattimento fra altri esemplari, la stessa area si riattiva». Questo ha permesso di identificare e isolare, appunto, gli angry mirror neurons «in animali più semplici dell'essere umano». 

Un passo importante: «La novità sta nel fatto che questa attività cerebrale è sottocorticale, localizzata nell'ipotalamo. È un'ulteriore prova che il meccanismo di mirror non riguarda solo la corteccia motoria, parietale (dove è localizzata anche l'area dedicata alla risata), ma anche altre parti del cervello». Notevole, sottolinea Rizzolatti, anche l'elegantia dell'esperimento: «Con le nuove tecnologie si è riusciti ad attivare e disattivare queste zone del cervello, facendo arrabbiare o "calmando", di conseguenza, i topi».

Parlare di razzismo dal punto di vista biologico è una stupidaggine
Professor Giacomo Rizzolatti

L'impatto socioculturale

Torniamo a concentrarci sul tema principale del simposio: il "cervello razzista". «Parlare di razzismo dal punto di vista biologico è una stupidaggine», chiarisce subito il professor Rizzolatti. «L'approccio biologico non offre alcun dubbio. Come sostengono gli antropologi, tutti noi proveniamo da una specie di primati che ha iniziato a vivere in Africa, emigrando progressivamente nel resto del mondo. La neuroscienza è stata molto importante per dimostrare come il cervello degli individui, se stimolato, risponda sempre allo stesso modo. A cambiare, poi, è il comportamento. E qui, come anticipato, a causare discriminazioni e razzismo possono entrare in gioco fenomeni indipendenti dalla biologia: sociali o culturali». Il professor Rizzolatti fa un esempio: «Negli anni '30, in Germania, la propaganda nazista era riuscita a convincere una porzione notevole di tedeschi, popolo molto avanzato, che la colpa della sconfitta subita durante la Grande Guerra fosse da attribuire agli ebrei, da essa definiti Untermenschen ("sub-umani", ndr). E questo ha portato a fatti tremendi». Quindi il cervello dei tedeschi era biologicamente razzista? Ovviamente no: «A incidere sul pensiero di queste persone, anche su quelle intelligenti e ottimiste (Rizzolatti ricorda la descrizione fatta di Eichmann fatta da Hannah Arendt nel libro "La banalità del male", ndr), è stata la propaganda».

Poi, ammette il neuroscienziato, secoli di discriminazioni e pregiudizi possono aver lasciato un segno anche nel cervello. L'85.enne ricorda uno studio condotto ad Harvard: «A un gruppo di studenti, dichiaratisi liberali e assolutamente non razzisti, sono stati mostrati dei filmati in cui si vedeva una persona camminare furtiva nel buio. Solo quando passava davanti a una fonte luminosa, si riusciva a scorgere se si trattasse di un uomo bianco o nero. Ciò che è emerso da questo esperimento è che le aree della paura nel cervello dei volontari si accendevano molto di più nel momento in cui si vedeva una persona nera camminare». Questo, sottolinea Rizzolatti, «non è un fenomeno biologico in sé, ma è una prova di come la cultura abbia un impatto anche su reazioni e comportamenti».

La scheda: chi è Giacomo Rizzolatti

Giacomo Rizzolatti, 85 anni, è professore emerito dell'Università di Parma (già prof. ord. di Fisiologia umana). Dal 1985 al 1986 è stato presidente della European Brain Behavior Society. È membro di diversi centri, istituzioni e organizzazioni scientifiche internazionali quali l'Academia Europæa, l'American Academy of Arts and Sciences e la Royal Society.

Neuroscienziato di fama mondiale, negli anni '90 i suoi studi lo hanno portato (insieme al team dell'Università di Parma da lui guidato) alla scoperta dei neuroni specchio.

"Come nasce il razzismo nel cervello" è il tema del simposio organizzato nella giornata di lunedì 20 marzo da BrainCircle Lugano (associazione no-profit per la divulgazione della ricerca sul cervello) in collaborazione con l’Osservatorio contro il razzismo e la facoltà di Comunicazione dell’USI, la Fondazione Eccles, la Fondazione Goren Monti Ferrari e l’Associazione Svizzera-Israele. Il Corriere del Ticino è media partner dell’iniziativa. Il simposio, che è aperto al pubblico, si tiene nell’Aula magna dell’USI, a Lugano, dalle 14, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale. Iscrizioni online sul sito www.braincirclelugano.ch. I lavori sono organizzati in sessioni e si concluderanno con una tavola rotonda su «Razzismi e new media». Il professor Rizzolatti guiderà la terza sessione («Io, tu, noi... discriminare è umano?») durante la quale interverranno Antonella Santuccione Chada (neuroscienziata attiva nel Women's Brain Project, Zurigo) e Luca Jourdan (professore di Antropologia all'Università di Bologna).
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