Lo studio del passato ha un nuovo futuro, grazie alle proteine

Macromolecole biologiche costituite da catene di amminoacidi, le proteine sono essenziali per la vita e svolgono una vasta gamma di funzioni. Studiarle, permette di ricostruire tanto, tantissimo, sulla forma di vita che le ha prodotte. Non stupisce, allora, che le proteine annidate nei fossili rappresentino un vero e proprio tesoro per la paleontologia, in grado di carpire da esse una marea di informazioni su creature morte da tempo. Tuttavia, come tutte le molecole, anche le proteine si degradano.
Fino a poco tempo fa, i campioni proteici più antichi analizzati con successo risalivano a circa 4 milioni di anni fa. Ora, due studi pubblicati su Nature il 9 luglio (uno guidato da Harvard e Smithsonian, l’altro dall’Università di Copenaghen) hanno estratto proteine fossili da denti appartenuti ad animali vissuti - si stima - fino a 29 milioni di anni fa. Una vera e propria rivoluzione
Le origini
Le proteine in questione, hanno spiegato negli scorsi giorni i giornali che hanno trattato la scoperta, sono state recuperate dallo smalto dentale, la sostanza più dura nei vertebrati. I ricercatori lo hanno polverizzato e trattato chimicamente per estrarre le molecole, poi ne hanno analizzato i danni causati dal tempo (diagenesi) per escludere contaminazioni moderne. I risultati sono coerenti con l’età stimata dei fossili.
Il team di Harvard ha lavorato sullo smalto di grandi animali africani, come gli elefanti, provenienti dal bacino del Turkana, in Kenya, datati fra 1,5 e 29 milioni di anni. Le condizioni climatiche calde, sfavorevoli alla conservazione, rendono il ritrovamento ancora più significativo. I ricercatori di Copenaghen, operando nel cratere di Haughton nell’Artico canadese, hanno estratto sequenze proteiche da un fossile di rinocerontide (la famiglia alla quale appartiene il moderno rinoceronte) risalente a 24 milioni di anni fa.
Confrontando queste sequenze con banche dati genetiche moderne, gli scienziati sono riusciti a collocare gli animali estinti sull’albero evolutivo. Uno dei risultati più interessanti riguarda un esemplare di 18 milioni di anni appartenente alla famiglia degli Anthracotheriidae, identificato come probabile antenato degli ippopotami moderni. Un altro fossile, di un animale simile al rinoceronte chiamato Arsinoitherium (29 milioni di anni), risulta non avere parenti viventi.
Rivoluzionario
Citato dall'Economist, Enrico Cappellini, coautore dello studio danese, ha spiegato come le nuove proteine scoperte amplino di dieci volte la linea temporale delle proteine disponibili per l'analisi rispetto al DNA antico (aDNA), che dura circa 1 milione di anni. Ciò significa che i paleontologi possono ora comprendere l'evoluzione di organismi troppo antichi per essere analizzati con altre tecniche di analisi molecolare. Le future analisi degli isotopi di carbonio e azoto all'interno delle proteine conservate potrebbero anche fornire informazioni sulla dieta, l'ambiente e il comportamento migratorio delle specie estinte.
Esistono persino indizi di proteine ancora più antiche. Già nel 2009, un team della North Carolina State University aveva recuperato frammenti di collagene da un dinosauro di 80 milioni di anni, il Brachylophosaurus canadensis. Sebbene molto degradate, quelle molecole condividevano tratti con le proteine attuali degli uccelli.
Commentando i nuovi risultati, Matthew Collins, esperto di paleoproteomica a Cambridge, li definisce “spettacolari, se veri”, e suggerisce che potrebbero rivoluzionare la lettura dei fossili. Alcune proteine dello smalto variano tra i sessi, il che potrebbe aiutare a identificare il genere degli esemplari. Inoltre, chiarire i legami genetici tra specie antiche — ad esempio nel caso dell’evoluzione dei cavalli — potrebbe risolvere dispute evolutive di lunga data. Che il futuro della paleontologia risieda proprio nelle proteine?