Il trend

Se i bambini «da grandi» vogliono fare gli influencer

Sempre più giovani desiderano intraprendere una carriera nel mondo dei social media – I rischi, però, sono diversi: ne abbiamo parlato con Luca Botturi, professore in Media in educazione della SUPSI
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Federica Serrao
04.03.2023 09:30

Fino a qualche anno fa, tra i desideri più grandi dei bambini c'era quello di diventare astronauti. Molti altri, invece, avevano il sogno nel cassetto di diventare cantanti, attori. Ma anche calciatori, oppure veline. Negli ultimi tempi, però, le cose sembrano essere cambiate. Sempre più bambini, oggi, «da grandi» vorrebbero diventare influencer o youtuber. Una tendenza che sta prendendo piede soprattutto in Occidente, comportando - va da sé - anche alcuni rischi per i più piccoli, affascinati da queste nuove professioni. Ne abbiamo parlato con Luca Botturi, professore in Media in educazione presso il Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI.

Mentre fare il cantante richiede almeno l'essere intonati e conoscere la musica, nel caso dell'influencer non è determinante avere particolari abilità
Luca Botturi, professore

Una questione di fama e soldi

«È vero» esordisce il nostro interlocutore. «Al giorno d'oggi tantissimi giovani sognano di diventare influencer. È sufficiente parlare con un gruppo di ragazzini per rendersi conto dell'esistenza di questo trend. Un trend che, per certi versi, ricorda quello che si riscontrava anni fa, quando tutti sognavano di diventare calciatori, attori o veline». Quello dell'influencer, senza dubbio, è un mestiere che piace. E i motivi sono presto spiegati. «Ho la sensazione che siamo sempre stati affascinati da mestieri che portano fama e ricchezza. Nessuno vuole fare un mestiere che non viene riconosciuto o che è pagato male. Penso però che negli ultimi tempi il tema dei soldi e della fama siano esplosi». Ed è qui che entra in gioco il lavoro dell'influencer. Questo perché, come ci spiega l'esperto, si tratta di una professione che sembra non richiedere particolari competenze, pur facendo guadagnare bene. «L'influencer è tale perché è famoso. Mentre fare il cantante richiede almeno l'essere intonati e conoscere la musica, nel caso dell'influencer non è determinante avere particolari abilità. Non che sia sempre così, chiaramente, però ciò che è certo è che non è possedere una particolare competenza a definire il mestiere». L'illusione che tutti possano riuscire a coronare il loro sogno di diventare influencer senza bisogno di faticare o studiare granché fa dunque facilmente gola ai più giovani. «Grazie al mio lavoro sono in contatto con tantissimi e tantissime adolescenti. E quello che noto, dalle loro parole, è che l'idea di diventare ricchi senza dover fare la fatica di imparare qualcosa di specifico, affascina molto». 

Come dico sempre, statisticamente è più probabile diventare calciatori professionisti che influencer
Luca Botturi, professore

Sacrifici invisibili

Le insidie, tuttavia, sono dietro l'angolo. Anche se fare l'influencer può sembrare un lavoro semplice ma che fa guadagnare molto, la realtà dei fatti è molto diversa. «Per capire come tutto questo pensiero si basi su un’illusione di spontaneità e facilità è sufficiente chiedersi se fare l'influencer sia davvero un mestiere. E secondo me sì, lo è. Ed è un lavoro difficilissimo, sia per la sua natura tecnica (saper apparire non è facile!), ma anche perché ti espone in maniera completa. In un certo senso, è l'apoteosi del personaggio pubblico. Quando ne parlo con i ragazzi spiego sempre loro che la Chiara Ferragni che loro seguono - per citare la più famosa - non è una persona, ma un personaggio. Il lavoro dell'influencer è quello di vendere un prodotto che è la loro persona debitamente “impacchettata”. È un mestiere che porta con sé una pressione enorme, in realtà. Anche se questo non si direbbe, perché il sacrificio che c'è dietro spesso sembra invisibile». Ci si illude, dunque, che scegliendo di diventare influencer si possano ottenere fama e soldi facendo poca fatica. «Ma questa è una menzogna. E per questo motivo, non auguro mai ai ragazzi di diventare influencer». 

Non solo. Diventare influencer acclamati e conosciuti a livello mondiale è un'impresa quasi impossibile. «Come dico sempre, statisticamente è più probabile diventare calciatori professionisti che influencer», ci spiega il professor Botturi. «Questo perché si tratta di un fenomeno globale e dunque, per certi versi, i posti sono "limitati". Oltretutto, si tratta con probabilità anche di un fenomeno passeggero. Infatti, io non credo che in futuro ci sarà una nuova Chiara Ferragni. Piuttosto, avremo un'altra forma di persona famosa, con modalità differenti».

L’opportunità che la rete offre è aiutarci a conoscere il mondo, non fare da palcoscenico per persone che parlano di loro stesse
Luca Botturi, professore

Tra pro e contro

D'altra parte, però, dal momento che sempre più bambini sembrano interessati a intraprendere una carriera da influencer, si stanno moltiplicando anche degli appositi percorsi di studio, volti a realizzare questo desiderio. «Bisognerebbe capire qual è la natura di questi corsi - avverte l'esperto. Perché avremmo molto bisogno di professionisti che sappiano usare in maniera efficace e buona il sistema dei social network, per popolarli di storie che ci ispirino o per promuovere buone cause. L’opportunità che la rete offre è aiutarci a conoscere il mondo, non fare da palcoscenico per persone che parlano di loro stesse. Avere un'informazione di qualità su questi canali, ad esempio, sarebbe davvero interessante». Che ci sia, dunque, la possibilità di offrire corsi, per preparare le persone a questo mondo, è un bene. Questione differente, qualora l'obiettivo di questi percorsi diventasse quello di creare dei protagonisti pubblici. 

Ma arriviamo alle note dolenti. Essendo, quello dell'influencer, un lavoro così appetibile, i rischi spesso possono essere dietro l'angolo. In particolare, il professor Botturi ne individua due. «Il primo, secondo me, è quello di internalizzare un'immagine di successo irrealistica. Questo risulta evidente se pensiamo all'immagine corporea che alcune ragazze pensano di dover ottenere per diventare influencer. Un certo physique du rôle che non tutti hanno, e nemmeno possono avere. E che in certi casi non è neanche per forza desiderabile». Spesso, infatti, quello che viene "messo in scena" dagli influencer è qualcosa di ricostruito o di artefatto. «Ci propongono un modello di vita che in alcuni casi non è realistico». C'è poi un altro rischio, a cui in particolare i più giovani spesso non prestano la giusta attenzione, ed è quello della sovraesposizione. «Lanciarsi nell'impresa e quindi sovraesporsi, lasciando una traccia digitale di sé, con cui poi dovrai fare i conti anni dopo, è un rischio. Può capitare che, a distanza di anni, ci si imbatta in video di se stessi quindicenni, in contesti in cui non ci si riconosce nemmeno più. Bisogna ricordare che il web è un mondo insidioso, difficile da controllare», osserva l'esperto. 

Esattamente come quindici anni fa c'erano le veline, che incarnavano il mito della fama e dei soldi facili, penso che anche quella dell'influencer sia una professione destinata a mutare nel tempo
Luca Botturi, professore

«Il rischio di una prospettiva limitata»

Volendo guardare al futuro, questa tendenza - come tutte le altre - sembra però destinata a esaurirsi, prima o poi. «Esattamente come quindici anni fa c'erano le veline, che incarnavano il mito della fama e dei soldi facili, penso che anche quella dell'influencer sia una professione destinata a mutare nel tempo. Non credo che questo mestiere ci accompagnerà a lungo: piuttosto, penso che quello che rimarrà sarà la stessa sfida, onnipresente. Ossia, quella di riuscire a orientare l'immaginario dei ragazzi in qualcosa che sia profondamente umano, appassionante e gratificante. Secondo me, l'unico antidoto è far conoscere persone che hanno una vita piena e bellissima, che hanno fatto cose importantissime di cui magari non conosciamo nulla, perché il loro obiettivo non era farsi vedere. Ci sono artisti che non si fanno vedere, come Banksy o Cormac McCarthy. Ci sono persone che spendono la vita per aiutare popolazioni in posti che neanche sappiamo che esistono. Medici che spendono la loro vita per salvare altre persone, per un valore che va oltre la fama e i soldi. Ecco, io penso siano queste le esperienze che cambiano la storia. Gli influencer, invece, increspano la superficie, anche se hanno molta visibilità sui media».

Anche se, va detto, esistono anche personaggi pubblici che hanno portato a cambiamenti positivi. «Non voglio demonizzare il mondo del web. Quando si segue una dieta, non è un problema mangiare ogni tanto un bignè, così come non è necessario puntare sempre sulle letture impegnate: ci si può concedere anche qualcosa di più leggero. La stessa cosa accade con i contenuti dei social media. Quello che però è importante, alla luce di quanto appena discusso, è essere consapevoli della natura dei contenuti che consumiamo. Molti giovani pensano che la rete sia completamente popolata da influencer, che quello sia il cuore del web e ciò che ne giustifica l’esistenza. Ma non è assolutamente così. La rete ospita istituzioni internazionali, ONG, artisti, scienziati, ecc. Scherzo spesso con i ragazzi e le ragazze che incontro, e dico loro che non abbiamo creato una rete informatica globale per mandarci gli stickers dei gattini che cadono dalle scale, ma per cercare di rendere il mondo un posto migliore. Il rischio, però, è quello di incanalarsi in una bolla di leggerezza, che a volte può riempirsi anche di spazzatura: si corre il rischio di acquisire una prospettiva limitata e in fondo avvilente su quello che accade realmente nel mondo».