Animazione

Se le arti marziali sono «ad altezza bambino»

È da poco approdato nelle sale e sta già volando alto al botteghino: stiamo parlando di «Kung Fu Panda 4»
© EPA/CAROLINE BREHMAN
Max Borg
02.04.2024 06:00

Pensavamo fosse tutto finito nel 2016: al netto delle ambizioni di Jeffrey Katzenberg, che aveva in mente sei film (e successivamente ha lasciato la DreamWorks Animation, lanciandosi nella sfortunata avventura della piattaforma Quibi), sembrava che Kung Fu Panda 3 fosse la conclusione logica dell’arco narrativo di Po, il simpatico e improbabile eroe doppiato in inglese da Jack Black (e, un po’ meno brillantemente, da Fabio Volo in italiano). E invece no: otto anni dopo, il panda è di ritorno, con quello che dovrebbe essere l’inizio di una nuova trilogia, anche se questo inizio, pesantemente ridimensionato, più che un passo avanti ne fa alcuni indietro (i Cinque Cicloni, alleati di Po nei film precedenti, sono stati ridotti a un cameo muto in Kung Fu Panda 4 perché sarebbe costato troppo pagare tutte e cinque le voci originali, tra cui Angelina Jolie e Jackie Chan).

È rimasto il Maestro Shifu, il quale ritiene che sia giunto il momento di trovare un successore per il ruolo di Guerriero Dragone, mentre Po dovrebbe salire di rango e diventare il consigliere spirituale della Valle della Pace. Il panda, però, non ne vuole sapere, per poi ricredersi quando l’antagonista di turno – la Camaleonte, capace di assorbire le capacità fisiche degli altri oltre a imitarne le sembianze – mette a dura prova tutto ciò che lui pensava di sapere sul proprio rapporto con il kung fu.

Si tratta di un’operazione furba, quella di questo quarto episodio, che sostiene di guardare al futuro ma è anche un inno alla nostalgia (le capacità mimetiche della Camaleonte sono la scusa perfetta per far tornare i cattivi dei tre film precedenti), forse per ricordare al pubblico perché Po è uno dei personaggi più amati della scuderia DreamWorks (che sta anche per far tornare al cinema il suo peso massimo, l’orco Shrek, assente dagli schermi dal 2010).

E se c’è un sentore di cinismo commerciale dietro le quinte (la regia è stata affidata non a Jennifer Yuh Nelson, che ha lavorato agli altri episodi, bensì a Mike Mitchell, forse il più mestierante tra i cineasti dello studio d’animazione fondato da Katzenberg), il risultato è comunque efficace, con la giusta dose di spettacolo e humour per i più piccoli, un pizzico di malinconia per gli adulti, e una cura visiva capace di impressionare tutte le fasce d’età (e per gli appassionati di musica c’è una chicca all’inizio dei titoli di coda, a cura di Jack Black in collaborazione con il sodale Kyle Gass, l’altra metà del gruppo Tenacious D).

Un insieme di ingredienti che, quando le circostanze sono favorevoli, un fattore che rischia di diminuire in futuro poiché è da poco emerso che la Comcast, proprietaria dello studio, intende ridurre pesantemente lo staff e avvalersi il meno possibile degli animatori interni, puntando su collaborazioni esterne meno costose.

Una notizia a dir poco desolante, dopo che, meno di due anni fa, il secondo capitolo delle avventure del Gatto con i stivali aveva lasciato presagire un avvenire più roseo e creativamente felice.