Cinema

Se tutto il mondo della moda colasse a picco

Non convince «Triangle of Sadness», il nuovo film dello svedese Ruben Östlund, Palma d’oro al Festival di Cannes 2022
Charlbi Dean Kriek è scomparsa il 29 agosto all’età di 32 anni.
Antonio Mariotti
12.11.2022 06:00

Nel maggio scorso, al Festival di Cannes, il regista svedese Ruben Östlund è entrato a far parte del ristrettissimo club di chi può esibire in bacheca due Palme d’oro. La prima, meritata seppur al termine di un’edizione non certo memorabile, è arrivata nel 2017 per The Square, feroce satira sul mondo dell’arte contemporanea che diventa metafora di una società sempre più arida, dominata dall’individualismo più sfrenato. Già su questo film pesava però l’handicap di una durata eccessiva (142’) e per molti versi ingiustificata. Con la sua nuova opera Triangle of Sadness, grazie alla quale si è aggiudicato la sua seconda Palma, frutto di un compromesso in seno a una giuria spaccata chiaramente a metà, Östlund ha cambiato ambiente, puntando il proprio impietoso occhio da entomologo contemporaneo sul mondo della moda. Il suo approccio rimane intriso di una incondizionata ironia, ma ciò non ha influito sulla durata del film che è di 7 minuti più lungo del precedente. Rispetto a quella di The Square completamente incentrata sull’ambigua figura del protagonista, la trama di Triangle of Sadness è più dispersiva e suddivisa in tre capitoli che poco hanno a che vedere l’uno con l’altro. Nel primo, i giovani modelli Carl (Harris Dickinson) e Yaya (Charlbi Dean Kriek, improvvisamente scomparsa nell’agosto scorso a soli 32 anni) vengono invitati a partecipare a un’esclusiva crociera su uno yacht di lusso. Sulla nave si svolge il capitolo più corposo del film, durante il quale i due ragazzotti fanno tra l’altro la conoscenza dello scontroso capitano comunista del vascello (Woody Harrelson). Proprio durante la cena offerta da quest’ultimo, una terribile mareggiata porta al naufragio dell’imbarcazione. Terzo e ultimo capitolo, il più banale e scontato, tra i naufraghi finiti su un’isola non del tutto deserta. Se anche in questo caso Östlund conferma il proprio talento nella messa in scena di sequenze corali e complesse (come quella del movimentato cenone), il suo problema è la prolissità, tanto che non ci resta che rimpiangere la gelida e spietata chiarezza di Forza maggiore (2014) che resta senza ombra di dubbio il film migliore di un cineasta dalle grandi potenzialità ancora inespresse.