«Senso del gusto e ragione per analizzare il cinema»

Professore emerito all’Université de la Sorbonne Nouvelle (Paris 3), già docente all’École des hautes études en sciences sociales e autore di ricerche fondamentali sulla definizione dell’estetica filmica, Jacques Aumont è tra i vincitori dell’ultima edizione dei Premi Balzan.
Lo abbiamo incontrato alcune settimane fa a Berna, dove è stato ricompensato quale «fondatore della filmologia come disciplina. Per il suo contributo alla definizione del concetto di estetica del cinema e di figurazione filmica. Per il suo apporto all’interpretazione del linguaggio cinematografico e della sua storia».
Professor Aumont, quando si è iniziato a studiare il cinema?
«Il cinema come pratica, come spettacolo, come media, come istituzione, ha più di cent’anni. I suoi studi razionali e sistematici sono iniziati mezzo secolo fa. Il destino degli studi cinematografici, nel mondo intero, è di non aver mai potuto scegliere completamente fra l’arte, l’industria, il divertimento, i media o l’ideologia, perché il cinema ha incarnato tutto questo, e oggi più che mai, in forme che sono nate nel secolo scorso».
Qual è stato il primo approccio teorico agli studi sul cinema?
«Il primo dotato di una certa coerenza fu quello dello psicologo Hugo Münsterberg nel 1916, sotto il titolo The Photoplay. A Psychological Study. Questo studio pioneristico sugli effetti mentali e psichici dei film faceva sì che la nascente industria statunitense cominciasse a fissarne le regole e ne sottolineava le proprietà essenziali come “vettore di finzione”, in grado di conferire senso a un mondo nel quale regna la casualità e che possiamo investire della nostra coscienza e dei nostri affetti. È anche un “vettore di sguardo”, perché, offrendoci successivamente punti di vista diversi sul mondo reale o inventato, ci procura delle sensazioni e al tempo stesso ci informa».
Negli ultimi decenni nuove scienze come la sociologia e l’antropologia si sono avvicinate al cinema, con quali conseguenze artistiche?
«Il cinema, distrazione e investimento funzionale, ma anche contemplazione, vale a dire, riflessione, mobilita il simbolico, solleva la questione del gusto e quella dell’influenza. Gli studi sul cinema si sono espressi agli inizi come indagini di ordine linguistico ed estetico. Sociologia e antropologia riflettono invece correnti ideologiche dense di significati. Lungi da me il volere contestare la loro legittimità ad occuparsi di cinema ma questi studi non possono aiutare la nostra conoscenza. L’approccio propriamente estetico vede invece nel cinema non tanto un veicolo di idee ma un medium e un luogo d’invenzione».
Quando e dove si è sviluppata un’esplorazione colta e accurata del cinema?
«La prima, tra le due guerre. fu la scuola tedesca con Béla Balazs, Siegfried Kracauer, Rudolf Arnheim, poi nel dopoguerra la scuola francese con Alexandre Astruc, e André Bazin, unitamente a forti personalità statunitensi quali James Agee e Manny Farber, a tentare di definire il cinema come espressione d’arte».
Tutte le creazioni dell’arte, a cominciare dalla letteratura, ci parlano di immagini in movimento. Cosa distingue il movimento delle immagini?
«La mia incrollabile convinzione è che, qualunque cosa si faccia, occorrerà sempre giungere a una riflessione sulla natura e la forma di questo medium partendo però sempre dalle immagini. Qualunque cosa esse sembrano veicolare, non bisogna dimenticare che una forma simbolica è anzitutto una forma. Comprenderne la razionalità significa poterne comprendere i mezzi e i fini. La parola “cinema” stessa designa diverse realtà sociali e simboliche: la produzione e la circolazione di opere fatte di immagini in movimento, in generale narrative, ma talora puramente visuali; l’industria e la tecnica che permettono questa produzione; l’insieme di istituzioni che accompagnano la sua ricezione; infine un contenuto copioso, vario, labile, con effetti diversi, e del quale si è a lungo discusso se fosse arte o comunicazione».
Come è giunto agli studi di cinematografia?
«Privo di formazione accademica nel campo del cinema, come tutti nel 1965, feci le mie prime prove nella critica ai “Cahiers du cinéma”. Vi ho appreso a difendere film importanti; ho provato a mostrare in che cosa e perché lo erano, a distinguervi l’invenzione formale e l’invenzione tout court, e, di sponda, ho imparato a situarle nella loro storia. La cinefilia ha le sue virtù (come la passione) ma anche i suoi limiti: non è un discorso razionale. È quindi ad una seconda fonte che, quasi simultaneamente, ho potuto completare e meglio dirigere la mia formazione: quella della ricerca di una possibile definizione del cinema come arte dell’immagine. Infine, un po’ più tardi, ho intrapreso una riflessione sul cinema come moderno avatar e cioè manifestazione ultramoderna della grande forma simbolica della fiction. Senza dimenticare l’importanza della semiologia e la figura di Christian Metz, il fondatore dei fondatori della mia disciplina per rigore ed inventiva. La critica è legata alla semiologia e ciò mi ha ancorato ad una tradizione contraddittoria con da un lato il giudizio del gusto e, dall’altro, la volontà di operare scientificamente attraverso la dimostrazione delle tesi. Non mi restava da trovare tra le due una via che mi fosse propria e mi permettesse di proseguire nell’esercizio del gusto e della ragione».
Diecimila volumi sulla filmologia al CISA di Locarno
Il lascito di Alfonso Canziani
Per immergersi nella filmologia, la disciplina che Jacques Aumont ha contribuito a definire, non è più necessario recarsi a Parigi o a New York: da qualche mese al PalaCinema di Locarno, grazie all’iniziativa del CISA, è infatti depositata la biblioteca, comprendente circa 10 mila volumi sul tema, di Alfonso Canziani. Quest’ultimo, scomparso nel dicembre scorso all’età di 96 anni, è considerato, insieme a Mario Verdone, il pioniere degli studi sul cinema nell’ambito accademico italiano ed è stato docente di cinema per oltre quarant’anni presso la Facoltà di Magistero e il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Bologna. Dopo gli studi presso la più importante scuola di cinema francese, l’IDHEC, Canziani ha fondato a Bologna l’Istituto di Filmologia. È stato inoltre autore di numerosi saggi analitici su maestri del cinema come Bresson, Renoir, Truffaut, Godard, Pasolini, Visconti e Antonioni. Nel 2014 a Lugano, in eredità del suo pensiero, è nata la «Fondazione Filmagogia - Educazione al film», impegnata nello sviluppo del sapere relativo al cinema in rapporto alla formazione e alla salute.