Sganzini: «Il LAC ridefinisce l’identità di Lugano»

Il suo mandato termina formalmente il prossimo 31 dicembre ma in realtà già da qualche giorno Lorenzo Sganzini ha lasciato, in seguito alle dimissioni comunicate fin dal mese di giugno, il suo posto di Direttore del Dicastero cultura del Comune di Lugano. Un incarico di grande importanza da cui sono scaturiti risultati storici, uno su tutti il compimento e la partenza operativa del colossale progetto del LAC. Mentre il nome del suo successore è già stato scelto nella persona di Luigi Di Corato, questo passaggio di consegne è l’occasione per porgere a Sganzini alcune domande sulla sua ormai più che ventennale esperienza nel delicato settore della gestione culturale in ambito pubblico e sul suo futuro professionale e personale.
Lorenzo Sganzini, questa intervista si svolge all’interno dei sontuosi spazi del LAC: mi viene da chiederle, missione compiuta?
«Almeno dal mio punto di vista direi proprio di sì. Lascio soddisfatto di quanto ho fatto. Adesso si apre un nuovo capitolo per la mia vita al quale guardo con curiosità e desiderio di cose nuove».
Le sue dimissioni risalgono a qualche mese fa, posso chiederle quando e perché ha preso questa decisione che immagino non sia stata facile?
«Lo ricordo con precisione. Una sera della scorsa primavera mentre leggevo in un libro dello scrittore Maurizio Maggiani che “bisogna essere capaci a lasciare le cose, prima che siano le cose a lasciarti”. In quella frase c’era tutto quello su cui rimuginavo da un po’. Ho pensato che era arrivato il momento di smettere come con i figli quando capisci che devi lasciarli andare, per loro ma anche per te».
Tuttavia si chiude un capitolo importante della sua vita professionale...
«In fin dei conti ho sempre fatto lo stesso lavoro, cambiando il punto di vista a seconda del ruolo che di volta in volta ho ricoperto. Ho iniziato alla Divisione cantonale della cultura di cui sono poi stato direttore succedendo a Dino Jauch. Di quegli anni ricordo la centralità che aveva la cultura nella visione politica di Giuseppe Buffi, la persona che professionalmente mi ha insegnato di più. La responsabilità della Rete Due della RSI è stata poi un’esperienza molto arricchente, perché aggiungeva una dimensione creativa in un lavoro prevalentemente dedicato a favorire l’operatività culturale di altri. Non sarò infine mai abbastanza grato a Giovanna Masoni per avermi voluto a Lugano. Stavo occupandomi dell’armonizzazione delle diverse stagioni di musica classica in prospettiva LAC ed è in quel contesto che è iniziata la nostra collaborazione».
Una bella soddisfazione ...
«Certamente. Il progetto mi precedeva, mancavano tre anni all’apertura e c’erano già stati alcuni avvicendamenti. Al mio arrivo le questioni sul tappeto erano ancora tante: il LAC richiedeva una nuova politica culturale, bisognava affrontare l’organizzazione, la definizione del business plan, trovare le figure di riferimento per le diverse discipline. Abbiamo proposto di esternalizzare quelli che fino ad allora erano dei settori dell’amministrazione comunale ed è stata la scelta giusta che ha portato alla nascita dell’ente autonomo del LAC e della fondazione del MASI. Unire due musei pubblici per crearne uno solo più grande e più forte non è stata cosa da poco, ma fondamentale. Avevamo anche capito che non si doveva cadere nell’errore di voler fare le cose da soli. Il salto era troppo grande, serviva esperienza internazionale. Con Michel Gagnon, Etienne Reymond, Carmelo Rifici e Tobia Bezzola sono arrivate delle personalità di primissimo piano che, tra le altre cose, stanno facendo crescere professionalmente l’intera squadra dei collaboratori. Qualcuno da Lugano è già stato chiamato per altri incarichi anche a livello federale e questo ci renderà più partecipi alle dinamiche nazionali. Sono stati però anche anni faticosi perché il LAC è il “grande progetto” su cui sono puntati i riflettori e sul quale continua ad agire una sorta di Schadenfreude che lo tiene costantemente sotto tiro, a volte in maniera piuttosto pretestuosa. Ma fin dall’inizio sapevo che avremmo dovuto confrontarci con tutto questo».
Come è stato il rapporto con la politica?
«La risposta non è facile. Il LAC è un progetto voluto dalla politica che l’ha sempre accompagnato concedendo i crediti necessari per la costruzione e quelli per i contenuti. Quanto realizzato è quindi prima di tutto il risultato di una visione politica che ha avuto la forza di diventare realtà. Non era scontato pensare alla cultura come elemento per una ridefinizione su scala internazionale dell’identità di una città che cominciava ad entrare in crisi nel suo ruolo di piazza finanziaria e lanciarsi in un intervento architettonico e pianificatorio di tale portata. A volte però ho l’impressione di un certo sfasamento tra la dimensione internazionale del progetto e le dinamiche di funzionamento di una città medio-piccola come Lugano. Fatico a spiegarmi la diffidenza che continuo a percepire, una certa presa di distanza, quando invece ci sarebbe soltanto di che essere orgogliosi. Mi viene da pensare a quel quadro di Goya in cui Cronos divora i propri figli per paura che un giorno avrebbero potuto privarlo del suo trono».
Intanto però il LAC è una realtà consolidata.
«E devo confessare che non avrei mai pensato che sarebbe successo in soli tre anni. Oltre il 30% del pubblico del MASI viene dalla Svizzera interna, da Milano partono i bus per gli spettacoli di danza, c’è costante attenzione da parte sia della stampa svizzera che di quella internazionale. Per raggiungere questi risultati non è sufficiente un maestoso edificio. Bisogna lavorare sui contenuti, perseguire sempre e solo la qualità, garantire indipendenza artistica, avere il coraggio della sperimentazione, mantenere i nervi saldi di fronte alle pressioni ed alle invidie che una macchina come questa può generare».
Una trasformazione di cui il LAC è soltanto l’epicentro?
«Giovanna Masoni ha insistito molto sull’idea di un polo culturale più allargato, con al centro il LAC. Nell’ultimo periodo ho messo l’accento sulla valorizzazione del tessuto storico della città, impegnandomi nel riposizionamento delle ville pubbliche. Ho ancora negli occhi l’immagine di quand’ero bambino e mio nonno che raccoglieva le firme per salvare le scuderie di Villa Ciani poi sacrificate al Palazzo dei Congressi! Presto riaprirà la Malpensata come sede del MUSEC, c’è la nuova destinazione dell’Heleneum, il recupero del Convento di Santa Maria degli Angioli, il restauro della Cattedrale, la ristrutturazione in corso di Palazzo Reali, il progetto di segnaletica monumentale dell’Archivio storico. Resta il rammarico di non essere ancora riusciti a trovare un’adeguata destinazione per Villa Ciani».
Detto che non è ancora tempo di andare in pensione, che cosa ha in mente Lorenzo Sganzini per il futuro?
«Potrei dire come Machiavelli (sorride ndr.) nella lettera all’amico Francesco Vettori dall’esilio dell’Albergaccio che “dimentico lo scorrere del tempo e intanto scrivo un libriccino”. Era “Il Principe”... Ecco, nel mio presente c’è questo e come per Machiavelli che dopo i giorni dell’Albergaccio è diventato il primo freelance della storia, è mia intenzione lavorare su mandati a progetto così da poter cambiare ancora una volta il punto di vista».
Il profilo
Lorenzo Sganzini, classe 1959, ha studiato letteratura italiana all’ Università di Firenze e Management culturale a Bruxelles. Ha lavorato alla Divisione della cultura del Cantone Ticino di cui è stato direttore dal 1999 al 2004. Tra il 2004 ed il 2011 è stato responsabile della Rete Due della RSI. Dal 2012 al 2018 è stato direttore della Divisione cultura di Lugano. Ha promosso e curato le collane di studi «Artisti dei laghi. Itinerari europei» e «Testi per la storia della cultura della Svizzera italiana» nonché le mostre del Bicentenario dell’Indipendenza del Ticino (Villa Ciani, 1998) e «La dolce lingua, l’italiano nella storia, nell’arte e nella musica» (Museo Nazionale Svizzero, Zurigo 2005). È stato consulente per il Consiglio d’Europa e delegato cantonale per la presenza del Ticino ad Expo 02. Tra i dossier di politica culturale si è occupato di quelli relativi alla creazione delle fondazioni dell’Orchestra della svizzera italiana e del Monte Verità, all’edificazione di Palazzo Franscini a Bellinzona e alla sede della Fonoteca nazionale e del Conservatorio a Lugano.
Direttore dal 2012 del Dicastero Cultura del Comune di Lugano per la Città ha seguito il progetto del LAC e la riorganizzazione dell’intero settore culturale con la creazione di enti e fondazioni esterni all’Amministrazione comunale.