L’intervista

«Spero di aver fatto le scelte giuste per far divertire il pubblico di Locarno»

Il direttore artistico Giona A. Nazzaro illustra alcuni aspetti del programma della 74. edizione del Film Festival
Giona A. Nazzaro è al suo primo anno come direttore artistico di Locarno.
Antonio Mariotti
02.07.2021 06:00

Si è sentito particolarmente sotto pressione dovendo curare l’edizione che viene dopo l’«annus horribilis» 2020?

«La pressione lo avvertita, ma non relativamente alle condizioni oggettive nelle quali ho lavorato. È stata piuttosto una pressione benevola, che mi ha spinto a dare il massimo per trovare quei film che potessero veicolare la nuova visione che avevo in testa per Locarno. Detto così sembra quasi un po’ presuntuoso, ma - rispettosamente - volevo segnare una differenza con le precedenti edizioni e - altrettanto rispettosamente - volevo segnalare il desiderio di avvicinarmi al pubblico attraverso una serie di scelte non prevedibili».

Sono un appassionato di cinema americano. Amo i generi tradizionali, ma anche le variazioni sul tema

Dove e come potrà individuare il pubblico questi segni di cambiamento?

«Non voglio fare il vigile della programmazione e quindi indicare le strade più brevi. Quello che mi piacerebbe in primo luogo è che il pubblico si divertisse grazie ai film che abbiamo scelto. Non a caso ci sono tre commedie in programma in Piazza Grande, ci sono aperture verso il cinema di genere, ma c’è anche il film d’autore tradizionale e ci sono autori riconosciuti come Abel Ferrara nel Concorso internazionale. E c’è anche l’attenzione verso quelli che un tempo si chiamavano i Paesi emergenti, ma ci siamo inventati anche un Fuori Concorso dove abbiamo operato volutamente lungo una sola biforcazione che va alla ricerca del cinema d’autore più radicale ma anche del cinema di genere più radicale».

Un festival inclusivo dunque?

«Sì, se inclusivo significa non chiudere la porta in faccia a nessuno e in particolare a persone che provengono da altri emisferi e sono quindi portatrici di altre filosofie anche a livello cinematografico. È solo attraverso questa diversità che un festival come Locarno può abbracciare tutto il cinema».

Un obiettivo non facile da raggiungere quest’anno, vista la ricchezza dell’offerta, vero?

«Sì, i film si sono continuati a fare, i film c’erano e lasciarne andare alcuni è stato molto doloroso. Il cinema italiano, ad esempio, ha dimostrato grande curiosità ed apertura nei nostri confronti, mentre ho trovato un cinema svizzero in ottima salute, soprattutto per ciò che riguarda i giovani registi».

E il cinema americano invece?

«Sono un grande appassionato di cinema americano, anche nelle sue manifestazioni più tradizionali. Mi piacciono i generi classici del cinema americano, ma anche le piccole variazioni sul tema. Come Ida Red, che vedremo in Piazza Grande, che è un western-noir banditesco; ma vedremo anche la biografia di Aretha Franklin (Respect) o il nuovo blockbuster del regista di Una notte al museo (Free Guy). Non ho nessuna preclusione quindi nei confronti del cinema americano: l’importante è lo sguardo del cineasta».