«Buttatevi a capofitto nelle vostre passioni»

Le sarebbe piaciuto diventare scultrice, ma optò per Scenografia. «Meglio avere in mano un mestiere» si disse. Oggi Margherita Rota Palli è un’autorità mondiale nel campo artistico. Ha curato innumerevoli spettacoli teatrali, in Italia e nel mondo. «Nel nostro mestiere, se non ti butti a capofitto, non ce la farai mai», racconta.
Margherita da dove parte la sua storia?
Pur essendo nata a Mendrisio e attinente di Pura, parte da Lugano, dove ho frequentato il ginnasio. Da giovanissima volevo studiare medicina veterinaria, perché adoravo gli animali. Purtroppo (o per fortuna) il sangue mi faceva impressione. Perciò un giorno mio padre mi consigliò di seguire la strada del disegno, per il quale avevo una propensione precoce e naturale. Ricordo che mia mamma, quando voleva farmi felice, apriva la scatola di matite colorate sul tavolo di cucina e mi faceva disegnare. Perciò, terminato il ginnasio, mi iscrissi dapprima al liceo artistico, poi a Scenografia in Accademia a Milano.



I suoi genitori appoggiarono la sua scelta di puntare su Milano per studiare arte...
Il fatto che puntassi su una professione che mi potesse piacere non sembrava cosi strano ai loro occhi. Su un punto però mio padre fu irremovibile: «Una volta che scegli, non potrai cambiare idea ogni 5 minuti» mi disse. Perciò quando li chiamai disperata chiedendo loro di tornare, perché il liceo milanese nel quale mi ero iscritta cadeva a pezzi, mi risposero picche. A quell’epoca Milano era un caos, non era certo la metropoli di oggi. Abitarci a 17 anni da sola non fu facile.
Perché scelse Scenografia?
Mi iscrissi non per vocazione, ma perchè mi avrebbero insegnato un mestiere. Ad un certo punto conobbi Alik Cavaliere, scultore e direttore dell’Accademia. Mi trasformai nel suo ragazzo di bottega. Mi sarebbe piaciuto seguirlo nella scultura, tuttavia lui smorzò il mio entusiasmo. “Non vorrai mica fare l’artista??” mi disse, consigliandomi di continuare con Scenografia. Nel 1981 Gae Aulenti, famosa designer e architetta italiana, mi chiese di fare l’assistente allo spettacolo Donnerstag aus Licht di Karlheinz Stockhausen: fu allora che conobbi il grande regista teatrale Luca Ronconi. Per la prima volta entravo in un palcoscenico... e del più grande teatro del mondo, La Scala di Milano.



Quanto è stato importante adattarsi?
Non parlerei di adattamento, perché ho avuto la fortuna di trovare un mestiere che mi diverte. Mi piace quello che faccio, perciò non mi devo adattare. Sono stata fortunata.
«Ognuno di noi è artista della propria vita: che lo sappia o no, che voglia o no, che gli piaccia o no»: È d’accordo con l’affermazione di Zigmunt Bauman?
Sono d’accordo. Indipendentemente dal Credo che una persona possa avere, ognuno di noi ha un destino segnato.
Conta più la fortuna o la dedizione?
C’è quel pizzico di fortuna che ti fa trovare nel posto giusto al momento giusto e con la persona giusta. Se però non sfoderi dedizione, la fortuna va a farsi benedire. Io sono una persona molto caparbia: quando voglio fare una cosa mi impunto per ottenere quello che voglio, qualche volta ci riesco.
Ha incontrato più opportunità o ostacoli?
Direi più opportunità. Nella mia vita ho incontrato persone straordinarie a partire da mio marito, che conobbi quando venni a studiare a Milano. E poi Aulenti, Ronconi, registi importanti, persone straordinarie con cui condividere avventure come Antonio Ricci, per il quale realizzai la scenografia per i 20 anni di Striscia la Notizia, il suo tg satirico. Un’installazione video che entrò nel Guiness dei primati.
Si ricorda la prima volta in cui si ritrovò di fronte ad un grosso ostacolo?
Fu nel 1981, durante la mia prima volta in teatro, lavoravo per Ronconi: lui un regista famoso, io assitente di Aulenti. Durante le prove mi chiese di andare a comprare una pentola di rame enorme. Quando tornai con l’acquisto, mi alzò di peso. Evidentemente avevo sbagliato qualcosa. Lui mi trattò così male, che io volevo andarmene per sempre. «Questo non è un mondo che fa per me» esclamai rivolgendomi a Gae Aauenti, che mi aveva assunta come assistente. Mi spiegò che in teatro ci sono momenti di tensione che si devono accettare. Tornai sui miei passi e lavorai con Ronconi per più di 30 anni.
Ci sono stati pregiudizi che ha dovuto combattere in quanto donna sul lavoro?
Quando ho iniziato a lavorare, ero una delle poche donne a figurare tra gli addetti ai lavori. Farmi ubbidire da uomini grandi e grossi che non erano abituati a ricevere ordini da una donna, non fu molto facile. Poi si adeguarono e tutto divenne più semplice. Oggi non è più una novità intravedere dietro le quinte ragazze elettriciste o macchiniste, scenografe... la situazione è migliorata.
È possibile coniugare la vita professionale con la famiglia?
Penso di si. Bisogna trovare qualcuno che abbia abitudini simili alla tue. Io ho un marito che di mestiere fa l’architetto. È sempre in giro per il mondo, come me.



Cosa diresti ad una ragazza professionalmente in difficoltà?
Noto che i giovani di oggi sono molto fragili. Io insegno anche all’Accademia di Mendrisio e alla Naba di Milano dove dirigo il corso di Scenografia. Capita che quando riprendo alcuni allievi, loro scoppiano a piangere. Si spaventano per niente e, soprattutto, non si buttano, come se fossero ingessati. Non sto parlando di bambini, bensì di studenti universitari! Purtroppo molti genitori peggiorano le cose. Li difendono a spada tratta, vedono in ogni ragazzo un grande artista, pensando di fare il loro bene. In realtà con questo atteggiamento protettivo zavorrano per sempre la loro vita. All’entrata dell’Accademia c’era affisso un cartello che diceva più o meno «Da questo porta i ragazzi entrano nel mondo universitario, preghiamo gentilmente i genitori dei nuovi studenti di attendere fuori». Il percorso di studi è si complicato ma all’inizio è necessario buttarsi a capofitto, senza guardare l’orologio. Il nostro è un mestiere che chiede una dedizione quasi assoluta, altrimenti non ce la farai mai. Insomma, soltanto stringendo i denti si raggiungono risultati. Questo è il consiglio che darei ad un giovane in difficoltà.
Cosa direbbe il bambino che è in lei dell’adulta che è diventata?
Mi direbbe: «Margherita, quando cresci?» Scherzo. Sono molto felice del mio percorso artistico.
Se la sua vita fosse un hashtag quale sarebbe?
#tenacia
Un libro da suggerire...
«Il piccolo principe» di Antoine de Saint-Exupéry