Fattore d

«Io non ero un talento dello sci, eppure...»

Deborah Scanzio è la nuova protagonista di Fattore D, la rubrica curata da Prisca Dindo pensata per i giovani professionalmente in difficoltà
Foto Zocchetti
Prisca Dindo
19.04.2019 06:00

Ha sempre mantenuto i piedi ben saldi a terra, anche quando volò sull’Olimpo dello sport mondiale. Ecco la storia di Deborah Scanzio, campionessa di freestyle. Una giovane che, malgrado la fama, non ha mai perso di vista gli studi.

Dove nasce la storia di Deborah?

Sono nata a Faido ma ho sempre abitato a Piotta, in alta Leventina, dove i bambini sembrano nati sugli sci. Fino a una decina di anni fa, se amavi lo sport come me, da queste parti non avevi alternativa: d’inverno sciavi o ti buttavi nell’hockey. Io scelsi la prima attività. A due anni misi gli sci e da allora non mi sono più fermata.

Destino segnato il suo?

Non direi. Io non sognavo il freestyle. È successo tutto per caso.

Quando ero piccola, adoravo divertirmi sulla neve, uscire dagli schemi dello sci alpino. Non ero un talento, intendiamoci.

E non lo dico per falsa modestia, era davvero così: basta chiedere a chi mi vide sugli sci da piccolina. Tuttavia, quando un pomeriggio provai il freestyle, capii subito che quella sarebbe stata la mia strada.

Da quel giorno successe tutto molto velocemente: 2 anni nello sci club Airolo (gruppo freestyle), 1 anno nella Federazione Sci Svizzera Italiana e poi dritta nella Nazionale svizzera. Avevo solo 13 anni e mezzo!

Lei dice che da piccola non era un talento: però sapeva cosa voleva....

Si. Anche se giovanissima, ero testona e coraggiosa. Mi piaceva il freestyle e sapevo dove volevo arrivare.

Conoscevo i miei obiettivi, tutto qui.

Cosa le dicevano i suoi genitori?

È stato tutto talmente veloce che non hanno avuto molto tempo per ragionare. Conoscevano inoltre la mia determinazione nel non voler perdere di vista gli studi e ciò li tranquillizzò molto. Quando finii le Medie avevo due possibilità: o iscrivermi alla scuola per sportivi di élite a Tenero oppure alla Commercio di Bellinzona. Scelsi quest’ultima, dividendo gli ultimi due anni in tre a causa delle lunghe assenze per le gare. Ma non mollai.

Come ha fatto a far convivere i due mondi, la scuola e la competizione?

È stata dura. Tuttavia, quando ami quello che fai, i sacrifici non pesano. Mi ricordo che rientravo dalle gare di Coppa Europa la domenica sera tardi e il lunedì mattina ero già seduta sui banchi di scuola. Se ci ripenso, mi chiedo pure io dove sia andata a trovare tutta quella energia.

Non so a quante attività dovetti rinunciare a causa degli allenamenti: la gita scolastica di quarta media, le serate con gli amici.

Tutto ciò è stato necessario? La mia risposta è si. Non l’avessi fatto, ora non sarei una donna felice.

Quale fu il primo ostacolo che dovette affrontare?

Successe quando avevo 15 anni e mezzo. Ero di fronte ad un bivio: o gareggiare per la Svizzera oppure per la squadra italiana. Pensare di infilarmi la tuta di un’altra Nazione non è stato facile, però non avevo altra scelta. In Svizzera non avrei avuto un futuro agonistico. Perciò scelsi l’Italia.

Quanto è stato importante adattarsi?

Ho sempre sofferto in presenza di eventi imprevisti, come il cambio repentino del tempo. Non sono molto flessibile, c’è chi è piu bravo di me ad adattarsi. Devo ammettere che in generale sono felice quando le cose vanno come le ho immaginate.

La cosa più importante di tutta la vita è la scelta di un lavoro, ed è affidata al caso”. È d’accordo con questa frase di Blaise Pascal?

Facciamo una premessa: per me la cosa più importante nella vita è la serenità, non il lavoro. Quanto al caso, trovo che Pascal abbia ragione. Quando le opportunità si presentano, bisogna però essere in grado di coglierle.

Conta più la fortuna o la dedizione?

La dedizione. La tenacia e l’impegno li puoi controllare, la fortuna no. Non puoi dettare i ritmi degli eventi fortuiti.

Lei ha incontrato più ostacoli o piu opportunità?

Dipende come guardo il bicchiere: ci sono giorni che lo vedo mezzo vuoto, altri che mi sembra mezzo pieno.

A 20 anni ero all’apice della mia carriera. Sentivo che avrei potuto dare di più, perciò decisi di assumere un allenatore privato finlandese pagato di tasca mia. Anche queste decisioni fanno crescere. Avrei potuto rimanere con le mani in mano, invece decisi di investire ulteriormente sulla mia preparazione. Nelle scorse settimane hanno mostrato a mia mamma un video su di me, mentre sciavo spensierata a Lüina. “Quanto si diverte sua figlia” hanno commentato.

Tuttavia mia madre si ricorda bene le mie telefonate disperate dagli angoli più disparati del mondo perché le cose non andavano come volevo io.

Diciamo che ho incontrato sia ostacoli, sia opportunità.

Pregiudizi da donna?

Freestyle non è uno sport che discrimina. La pista è la stessa, per uomini e donne. Gli unici pregiudizi che ho vissuto sono stati non perché fossi donna, bensì perché indossai la tuta di un’altra Nazione. Malgrado le spiegazioni, alcuni fecero fatica a digerire la mia decisione. Per loro ero una voltamarsina. Una traditrice. Punto.

Cosa consiglierebbe a una ragazza in difficoltà?

Dapprima di capire cosa desidera per il suo futuro. Di schiarirsi bene le idee. A volte ci si sente in difficoltà perché non si individua l’obiettivo che si vuole raggiungere. In seguito, di elaborare un piano con un punto di partenza e uno di arrivo. Non dico che nulla è impossibile, però conosco tante persone che ce l’hanno fatta grazie alla tenacia. Io ne sono un esempio.

Le difficoltà fanno parte della vita. Io non ero un talento, tuttavia sono diventata una campionessa.

Cosa direbbe la bambina che è in lei dell’adulta che è diventata?

Pur rimpiangendo la spensieratezza della bambina, sarebbe molto fiera di ciò che è diventata.

Il mio motto da ragazzina era “Carpe Diem”. Se cogli l’attimo, non hai rimpianti.

Se la sua vita fosse un hashtag, quale sceglierebbe?

#nevergiveup

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