Personaggi

La vocazione ticinese di Hesse, una terra per trovare la pace

A sessant’anni dalla scomparsa rievochiamo alcuni episodi del rapporto inscindibile ma discreto tra lo scrittore premio Nobel e la sua patria di elezione che ne ispirò i maggiori capolavori e dove ancora oggi riposa
Hermann Hesse alla scrivania nel 1952 in una foto di suo figlio Martin. © Martin Hesse Erben
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
06.08.2022 06:00

Nell’anno del centenario della pubblicazione di Siddhartha, del 145. della nascita e del venticinquesimo dalla creazione del Museo Hesse a Montagnola, si potrebbe correre il rischio di dimenticare che il 9 agosto ricorrono anche i sessant’anni dalla morte del grande scrittore premiato con il Nobel nel 1946. Dopo averci vissuto per quarantatré intensissimi anni, Hesse infatti a Montagnola morì giovedì 9 agosto 1962 a causa di un’emorragia cerebrale che lo aveva colpito nella notte. Aveva 85 anni. La sua ultima moglie, Ninon, gli sopravvisse quattro anni e se ne andò il 22 settembre 1966. Entrambi sono sepolti (vicini) nel cimitero di San Abbondio. Lo scrittore si era sempre espresso con affetto sul suo comune di adozione. «Nutro una grande gratitudine nei confronti del villaggio e del paesaggio. E ho sempre cercato di manifestare questa mia gratitudine», scrisse Hesse poco prima della sua morte. Un legame suggellato, anche giuridicamente, quando Hesse già nel 1959 aveva comprato un angolino per la propria tomba sentendo approssimarsi la fine. «Oggi dopo alcuni decenni - scriveva a proposito di Montagnola - non sono più un uomo nell’età matura o nel fiore dell’età, ma uno dei vecchi del comune fragili e un po’ comici, che non ha intenzione di ricominciare qualcosa, che non lascia quasi più il suo pezzo di terra e si è comprato un bel posticino giù al cimitero di Sant’Abbondio. E così, anche se non sono diventato ticinese, spero che la terra di Sant’Abbondio mi accoglierà amichevolmente, come hanno fatto per tanto tempo il palazzo di Klingsor e la Casa rossa sulla collina». E invece, prima di lasciare questa valle di lacrime, ticinese Hesse lo divenne anche «formalmente» visto che due anni più tardi (cinque settimane prima della sua scomparsa) il 1. luglio del 1962 l’allora Comune di Montagnola gli conferì finalmente la cittadinanza onoraria, con una cerimonia solenne che toccò lo scrittore nel profondo. Meglio tardi che mai, verrebbe da dire, visto che così almeno i funerali, che si tennero l’11 agosto del 1962 furono a tutti gli effetti i funerali di «un grande intellettuale svizzero e ticinese». Anche se una certa distanza rimase sempre. Secondo Regina Bucher, direttrice del Museo di Montagnola e grande studiosa ed esperta dell’autore di Siddhartha , Hermann Hesse era affascinato dalla vita rurale, che tendeva forse ad idealizzare. «Di fatto, però un profondo fossato divideva in principio l’intellettuale e scrittore dalla popolazione locale». Nella prima metà del XX secolo Montagnola era un povero villaggio di contadini che vivevano in case di pietra. Non è quindi sorprendente che gli abitanti non sapessero nemmeno chi fosse il nuovo arrivato, come confermano diverse testimonianze. Anche perché, per molto tempo, i libri di Hesse non vennero neppure tradotti in italiano. Ci volle dunque del tempo (e forse il percorso non è ancora del tutto compiuto) perché in Ticino ci si rendesse conto dell’importanza culturale di Hesse, della sua notorietà a livello mondiale e della sua integrazione quasi simbiotica con la terra in cui scelse di vivere, scrivere e dipingere fin dal 1919. Certo la barriera linguistica e il carattere schivo di Hesse (celebre l’avviso «Per favore, niente visite» che collocò sul cancello della Casa Rossa per tenere alla larga i troppi curiosi dopo il conferimento del Nobel nel 1946 ) non giovarono alla causa ma dell’amore e della passione (anche critica, ci mancherebbe) per questa terra non si può dubitare. «È diventata la mia patria» ebbe a scrivere, un rifugio elettivo di pace e stabilità da cui non seppe mai più separarsi dopo le troppe turbolenze (pochi ricordano ad esempio i suoi tentativi di suicidio durante la tormentata adolescenza) della prima parte della sua esistenza terrena. Come il suo personaggio più celebre, Hesse fu sempre «uno che cerca». «Ha fallito nella vita colui che è invecchiato senza aver trovato nulla di oggettivo, nulla che stia al di sopra di se stesso e delle proprie preoccupazioni, nulla di assoluto o di divino da venerare, servendo il quale egli avrebbe dato un senso alla propria esistenza» così scriveva. E forse qui trovò. La modestia della sua ultima dimora, una semplice stele di granito accanto ad una vasca in pietra per il bagno degli uccellini è il miglior monumento funebre che si potesse dedicare al suo talento e alla sua sensibilità.