Stroppini fa rivivere il mito di Guglielmo Tell

La frase chiave di Comunque.Tell, l’ultima fatica letteraria di Flavio Stroppini (con illustrazioni di Luca Pennella, edizioni Gabriele Capelli, Mendrisio) è incastonata nel capitolo 7 del libro: «L’autore di questo testo – scrive – tiene a precisare che talvolta, per raccontare bene una storia, uno strappo alla descrizione fedele dei fatti lo si può anche fare».
La storia è quella del nostro mito nazionale, quel Guglielmo Tell che è già stato passato ai raggi X da storici e intellettuali svizzeri alla ricerca della verità ultima sulla sua figura e sulla sua leggenda. Uno su tutti, Max Frisch nell’imperdibile Guglielmo Tell per la scuola, pubblicato per la prima volta nel 1971.
Come dire che nella sua rivisitazione della vicenda più iconica dell’identità elvetica Stroppini cammina in buona compagnia. E se la gioca senza complessi, attingendo a piene mani al registro del paradosso e dell’ironia: «Alcuni azzardano che Guglielmo Tell sia nato il primo di agosto del 1291, giorno in cui venne siglato, tra le comunità alpine di Uri, Svitto e Untervaldo, il ‘‘Patto federale’’ (considerato ufficialmente, ma solo dal 1891, l’atto fondatore della Confederazione Elvetica). Questa ipotesi, però, è alquanto strampalata anche perché – se così fosse – avremmo un Guglielmo Tell sedicenne e alquanto precoce, padre di molti figli, alle prese con balestra e mela già nel 1307 (anno della grande prestazione dell’eroe nazionale svizzero, stabilito con certezza da ogni storico e narratore che si rispetti). Comunque».
Una frase che dà l’imprinting all’intero volumetto che, di capitolo in capitolo, snocciola e mescola storia, aneddottica, invenzioni e divagazioni che si concludono sempre, puntualmente, con lo stesso avverbio: «Comunque».
Il ritmo è quello del monologo apparentemente improvvisato, intercalato da una sfilza di «comunque» che rilanciano il racconto, scanzonato e smitizzante.
L’autore gioca col lettore fingendosi uno storico rigoroso: «È stata scartata, nell’ultima revisione di questo testo, la possibilità di raccontare come Guglielmo Tell mandò in frantumi alcune catapecchie abbandonate in riva al lago dopo una notte insonne». Salta su e giù tra fonti letterarie autentiche, come quando cita il «Chronicon Helveticum» di Aegidius Tschudi (1505-1572), e notizie d’attualità vagamente connesse alla vicenda. Ride e se la ride. Scrive un capitolo, il nono, che consta di una sola parola «Tschacck!» (il suono della mela colpita dalla freccia) e nel decimo spiega che «per definire l’onomatopea che contraddistingue il dardo scagliato dalla balestra che centra la mela, l’autore di questo testo ha passato diverse settimane munito di microfoni, mele, dardi e balestre».
Un grande spettacolo su carta, quindi. Che è la premessa allo spettacolo vero, quello che ha debuttato al Sociale di Bellinzona lo scorso 2 maggio. «È la società liquida, quella in cui i confini e le distinzioni sembrano annebbiati, ma anche quella che per controreazione erge muri e si chiude sulle proprie certezze in un movimento reazionario quella descritta in Tell, il nuovo spettacolo firmato da Flavio Stroppini e Monica De Benedictis», scrive Laura di Corcia nella recensione su questo giornale. Stroppini, conclude, «ha messo in scena una commedia dell’assurdo, dove alla contemporaneità degli spostamenti in aeroporto, dei gate, del complottismo e delle battaglie di rivendicazione femminile vengono accostate le ossa dell’eroe nazionale svizzero, Guglielmo Tell, prima ritrovate e poi scomparse di nuovo, rubate».
Un libro e una pièce per ragionare sull’attualità. Partendo da Tell, comunque.
