Superare i propri limiti? È un piacere

Su Netflix è da poco stata aggiunta una nuova serie, «Living with Yourself». Il protagonista, scontento della propria esistenza, accetta sin dal primo episodio di sottoporsi a una terapia, attraverso la quale gli viene promessa un’implementazione: ne uscirà migliorato, la miglior versione possibile di sé.
I limiti
Ma davvero esiste una miglior versione di noi stessi? Non siamo semplicemente ciò che siamo? Ne abbiamo parlato con il dottor Filippo Ongaro, esperto di alta prestazione, già medico degli astronauti presso l’Agenzia spaziale europea (ESA). «Ci sono dei limiti ovviamente insuperabili – ammette – Se hai le spalle di una certa dimensione ossea, non è che potranno cambiare, neppure con tutto l’allenamento del mondo. Tanti dei nostri limiti sono però comportamentali, quindi superabili. La ricerca ha stabilito che non abbiamo certe abitudini perché abbiamo un determinato carattere: è vero l’opposto. Questi risultati hanno aperto un panorama più flessibile sull’analisi delle nostre caratteristiche, convincendoci per l’appunto che i nostri limiti sono superabili. Dirò di più: tutti noi superiamo i nostri limiti, di tanto in tanto, tutti noi sperimentiamo delle giornate fantastiche. Poi il giorno successivo però è tutto diverso. Ecco, l’obiettivo allora deve essere il seguente: trasformare le cose belle che avvengono un po’ casualmente in un sistema, essere in grado di suscitarle, un po’ come fanno gli atleti professionisti nei grandi appuntamenti agonistici. Tutti noi abbiamo enormi risorse, di tanto in tanto riusciamo a usarle al meglio: ne vengono fuori dei capolavori. Comprendendo le variabili, che fanno sì che una giornata funzioni benissimo e l’altra no, ottenendo una metodologia, renderemo tali capolavori sistematici. Insomma, possiamo davvero andare oltre».
Il «metodo»
Si arriva insomma a quello che il dottore ha definito «Il Metodo Ongaro» – è questo il titolo del suo nuovo libro – «È una sintesi delle competenze che ho acquisito nel corso degli anni, prima da medico, poi attraverso le esperienze successive. Sono tutte competenze scientifiche; io le ho assemblate in modo da renderle fruibili lungo un percorso di coaching, che prevede determinate tappe, fondate proprio sul miglioramento della propria salute e delle proprie abitudini. Ci sono da una parte i fondamenti di una vita sana, la parte ovvero più concreta, classica – alimentazione, allenamento fisico, meditazione –, ma dall’altra anche vari approfondimenti su nuove aree delle neuroscienze, attraverso le quali capire come fare a cambiare le nostre abitudini. Si era sviluppata un’enfasi eccessiva sul discorso della forza di volontà, della disciplina. Ma queste sono risorse a breve termine. Io piuttosto sottolineerei il ruolo del piacere, quale elemento fondante. Le persone sanno quasi sempre ormai cosa dovrebbero fare, ma faticano a farlo. Bisogna capire perché».
Le responsabilità
In termini generali, la tendenza al miglioramento, all’implementazione, ha portato a una iper-responsabilizzazione di sé. Siamo sicuri che sia una tendenza sana fino in fondo? «Per tantissimo tempo in effetti ci siamo sentiti dire cosa sarebbe giusto fare. Nel frattempo sono anche cresciute le distrazioni, le tentazioni; con la stanchezza e lo stress in cui viviamo, diventiamo meno capaci di dare risposte razionali a tali tentazioni. Tutta questa informazione allora rischia di diventare una frustrazione, se non ti viene proposto come proteggerti da eventuali scelte sbagliate». Può tornare utile allora l’interazione con altre persone, con degli esperti. «Lo specialista è fondamentale ogni volta che il disagio, fisico o psichico, diventa invalidante rispetto alla vita quotidiana. Poi è vero che, comunque, anche con l’aiuto di uno specialista, ognuno di noi deve metterci pure del proprio, adottando la responsabilità nei confronti delle proprie scelte. Le persone di cui ci circondiamo hanno comunque un peso sulla riuscita dei nostri progetti, come supporto o come freno».
Le maschere
Un altro rischio, in questi casi, è quello del macchiettismo, dell’esagerazione, della cattiva gestione dei vari strumenti a nostra disposizione. «L’introspezione è fondamentale. La domanda da porci: ciò che sto facendo, mi fa diventare più felice o è solo una recita? Quando si esce da un determinato contesto per entrare in un altro, a volte si esagera nel tentativo di farlo subito proprio. Si diventa allora delle maschere. Tutto sta davvero, allora, nel riconoscere tale lavoro come fonte di felicità. Quando è fonte di ansia, allora bisogna capire che più probabilmente si sta recitando una parte. Unico metro di onestà è il rapporto con sé stessi, la profondità che siamo in grado di raggiungere. Io insisto sull’uso di un diario, ma anche in quel contesto si può mentire a sé stessi. È allora una questione di serietà e di onestà. Il lavoro che facciamo deve portarci a qualcosa di tangibile, a essere più leggeri ed entusiasti nella vita che facciamo».
Il clic
Uno dei momenti più complessi è quello del clic iniziale. È la parte più difficile: iniziare, iniziare a lavorare, accogliere e affrontare le prime sfide. «Consigli? Non esistono consigli che valgano per tutti. La cosa importante è non silenziare il proprio clic. Non ci sono ricette magiche. Molti sentono questo clic, ma tanti, per paura, per evitare di uscire dalla propria zona di confort, fingono di non sentirlo. Mi rivolgo a costoro: se sentite il clic, qualsiasi sia la ragione, ebbene, è comunque più importante di qualsiasi ragione per non muoversi. Quel clic rimarrebbe sempre, sotto varie forme, attraverso tanti campanelli. Inutile non rispondere subito alla sua chiamata. Inutile, se non dannoso, anestetizzare questa necessità con una sigaretta o con un aperitivo o ancora con una chiacchierata superficiale. Quando arriva quel segnale, va ascoltato sul serio».
Lo stress
Spesso, in questi casi, si fa riferimento a superuomini e superdonne, agli atleti d’élite, addirittura nel caso di Ongaro agli astronauti. La gente comune però, forse, non ha la stessa predisposizione al cambiamento, all’analisi. «Nel momento in cui analizziamo una persona, oggi, non siamo tutti uguali, no. Ma, mi chiedo, questo è frutto di qualcosa di congenito o di un condizionamento iniziato in una fase precoce della nostra vita? La ricerca oggi indica la seconda come risposta più plausibile. Esistono delle predisposizioni, ma in larga misura si manifestano con un impatto che dipende da cosa è accaduto nella vita di ognuno. Ciò vale anche per la predisposizione alle malattie, quelle non genetiche. Lo stile di vita può attivare o disattivare determinati meccanismi. Lo stesso vale per l’umore. La maggior parte del nostro essere è plasmabile, modellabile». Interessante l’argomento delle malattie, dei dolori, dei mal di testa e di pancia e di schiena. Sfoghiamo anche lì il nostro stress. E l’impressione a volte è che non possiamo farci nulla. «A volte ci sono delle ragioni mediche che portano a questi dolori. Spesso però c’è anche un fattore che dipende dalla nostra gestione dello stress. Qualche meccanismo di sfogo, l’organismo lo trova sempre, questo è chiaro. Ma in realtà ci sono degli interventi che possono permetterci di gestire meglio tale stress, senza arrivare a sviluppare delle sintomatologie tanto fastidiose, quando non invalidanti. Non risolveranno la situazione, ma magari allenteranno le frequenze e i volumi di questi sfoghi».