Festival di cannes

Tarantino rende omaggio agli outsider del cinema

Il regista statunitense in concorso con l’atteso «Once Upon a Time in Hollywood»
Tarantino e sua moglie Daniella Pick. (Foto Keystone)
Antonio Mariotti
22.05.2019 18:10

CANNES -«È un caso assolutamente affascinante, perché più ci si informa in proposito meno si ha l’impressione di capirci qualcosa. Io stesso ho condotto delle ricerche, da dilettante, ma senza arrivare a nessuna conclusione». Così Quentin Tarantino inquadra durante l’incontro con la stampa il fatto centrale del suo nuovo film Once Upon A Time in Hollywood, presentato martedì sera in concorso: la barbara uccisione della ventiseienne attrice Sharon Tate (moglie di Roman Polanski) da parte dei membri della setta di Charles Manson nell’agosto del 1969. Un episodio che per Brad Pitt (coprotagonista del film con Leonardo DiCaprio, per la prima volta insieme sullo schermo) rappresenta alla perfezione «l’epoca della perdita dell’innocenza per Hollywood e per tutta l’America. È la fine del flower power, della speranza di poter cambiare il mondo pacificamente».

Once Upon A Time in Hollywood non costituisce però tanto l’inizio di un nuovo corso per Quentin Tarantino, quanto piuttosto la conferma di quel filone iniziato dieci anni fa con Bastardi senza gloria. Un periodo che si potrebbe definire «della maturità» per l’oggi 56.enne regista statunitense, che ha ammesso scherzosamente di «essere sempre in procinto di fare il punto sulla mia situazione e sulla mia carriera salvo poi rimandarlo di continuo». Un film quindi caratterizzato da un mix inestricabile di generi (thriller, commedia, western, parodia, horror, action movie, documentario), dall’incondizionato amore per il suo lavoro («Questo film è una lettera d’amore al cinema» ha tenuto a sottolineare DiCaprio) e in particolare per il suo potere, la sua magia in grado addirittura di mutare il corso della storia del mondo, facendo scorrere all’indietro il nastro del tempo fino a giungere a conclusioni diverse da quelle reali. Quest’ultimo aspetto, già emerso nella scena di Bastardi senza gloria durante la quale un’esplosione ordita dai partigiani fa strage dei vertici del nazismo nel 1943 durante la proiezione di un film in un cinema parigino, torna in questo caso per un avvenimento meno fondamentale per la storia mondiale ma che ha colpito profondamente il regista e tutta la sua generazione. Per Tarantino questo tragico evento diventa il fulcro del cambiamento vissuto da Hollywood alla fine degli anni Sessanta, ma anche per creare due personaggi indimenticabili che per puro caso saranno capaci di cambiare il corso della Storia. Se DiCaprio dice di essersi «identificato immediatamente con il personaggio di Rick perché è un attore che vuole adattarsi ai cambiamenti in corso nel mondo del cinema», Brad Pitt evidenzia come i due uomini (lui è Cliff, controfigura di Rick ma anche suo grande e fedele amico) «sono la stessa persona, si completano a vicenda: Rick è depresso ma riesce a riprendersi, mentre Cliff è in pace con se stesso e accetta quel che gli offre la vita». Il terzo polo della vicenda è costituito dalla figura di Sharon Tate, che vediamo ad esempio mentre compra una copia per il marito del romanzo Tess di Thomas Hardy, alla quale offre il suo volto limpido Margot Robbie che dice di aver considerato il suo personaggio «come un raggio di sole nel film, così come chi l’ha conosciuta definisce la stessa Sharon».

Alla fine, anche se durante le sue 2 ore e 40 di durata non mancano le digressioni e gli incisi alla Tarantino, Once Upon A Time in Hollywood regala molti momenti di grande cinema. Anche se paradossalmente si può considerare un omaggio più agli outsider che alle star del grande schermo. DiCaprio e Pitt sono in forma smagliante e hanno entrambi la possibilità di dare il meglio in scene che sembrano disegnate su misura per loro. Tarantino si conferma quindi anche un grande direttore d’attori e non è roba da nulla con la materia che aveva a disposizione.