Il caso

«Baby Reindeer non è una storia vera»: ecco perché Fiona Harvey può far causa a Netflix

Secondo il giudice Gary Klausner, la donna che ha ispirato il personaggio di Martha nella serie di Richard Gadd può far causa alla piattaforma per diffamazione: il gigante dello streaming avrebbe scelto intenzionalmente di indicare come «reale» fatti in realtà romanzati
©Jae C. Hong
Red. Online
30.09.2024 18:30

«Baby Reindeer non è una storia vera». E, per questo motivo, Fiona Harvey – la donna su cui è stato costruito il personaggio di Martha, la stalker della serie – può far causa per diffamazione a Netflix. Questa, in sintesi, la decisione del giudice statunitense Gary Klausner, che si sta occupando del caso. Riavvolgendo brevemente il nastro, tutto è iniziato durante la primavera, quando «Baby Reindeer», la miniserie autobiografica di Richard Gadd – di cui è anche attore protagonista – è sbarcata sul gigante dello streaming. Si tratta di un prodotto che, in sette puntate, racconta la storia di Donny e della sua stalker Martha (nomi di fantasia usati nella serie), basandosi su ciò che Gadd confessa di aver vissuto diversi anni fa.

Da un lato, Baby Reindeer è stata un successo. La serie, in poco tempo, ha scalato le classifiche mondiali e, recentemente, ha conquistato anche numerosi premi, trionfando agli Emmy. Ma, come detto, dall'altro lato non tutti hanno ugualmente apprezzato. Fiona Harvey, in particolare. La donna su cui Gadd ha preso spunto per dipingere il personaggio della stalker. E a cui i fan della serie tv sono riusciti a risalire, andando a curiosare sui profili social dell'autore. Alimentando, va da sé, la voglia della donna di difendersi, facendo causa a Netflix e all'autore. Soprattutto dopo aver ricevuto, addirittura, minacce di morte dagli spettatori. 

Ma torniamo, dunque, alle ultime decisioni di Klausner. A detta del giudice, Harvey può intentare una causa per diffamazione contro Netflix, sottolineando che la serie è stata «erroneamente pubblicizzata come una storia vera». In tal senso, la piattaforma – sostiene Klausner – «non ha fatto alcuno sforzo per verificare la storia di Gadd o per mascherare Harvey come la donna che ha ispirato il personaggio di Martha». Tradotto: Netflix, semplicemente, si è fidato di Gadd. Senza dubitare del suo racconto. O almeno, così potrebbe sembrare. 

Fiona Harvey, dal canto suo, ha dichiarato a più riprese che Baby Reindeer «ha falsamente insinuato che lei abbia aggredito sessualmente Gadd, che gli abbia fatto del male agli occhi, che sia stata mandata in prigione per averlo perseguitato». Ragione che ha portato la donna a intentare, contro la volontà di Gadd, una causa da 170 milioni di dollari. Sostenendo, va da sé, che la serie l'ha diffamata «descrivendo Martha come una stalker condannata, in quanto non era stata condannata per alcun crimine». Un dettaglio, questo, che Gadd aveva però già chiarito a suo tempo. L'unica differenza esplicitamente nota nella serie, infatti, era quella relativa alla condanna: nella vita reale, aveva evidenziato l'autore a suo tempo, la sua stalker non era mai stata in prigione.

Ciononostante, nella sentenza emessa venerdì in California, Gary Klausner ha puntato il dito contro la frase di apertura della serie tv. Che, come detto, riporta la dicitura «questa è una storia vera», invitando gli spettatori, secondo il giudice, a considerare la storia come «un fatto reale». Ma così non sarebbe. «C'è una grande differenza tra lo stalking e l'essere condannati per stalking in tribunale», ha indicato Klausner nella sua sentenza. «Allo stesso modo, ci sono grandi differenze tra toccamenti inappropriati e violenza sessuale, così come tra spingere e cavare gli occhi a una persona. Se le presunte azioni del querelante sono riprovevoli, le dichiarazioni degli imputati sono di un grado peggiore, e potrebbero produrre un effetto diverso nella mente di uno spettatore». 

Non solo. Sulla questione della «storia vera», a giugno, il Sunday Times aveva riferito che Gadd «aveva delle riserve sulla frase utilizzata in apertura della serie». In altre parole, l'autore aveva rivelato che la specifica «Questa è una storia vera» era stata inclusa in Baby Reinder «sotto richiesta di Netflix». Ragione per cui, secondo Klausner, se questo fosse vero, la piattaforma avrebbe scelto di rappresentare la storia come un fatto, pur sapendo che fosse romanzata. Gadd, infatti, avrebbe dichiarato che sia la serie che lo spettacolo teatrale che raccontavano la storia erano romanzati, e per questa ragione non andavano intesi come «una riproduzione fedele della realtà». 

«Netflix avrebbe dovuto sapere che le dichiarazioni e la rappresentazione della querelante attraverso Martha erano false, e che gli spettatori avrebbero scoperto la sua identità e l'avrebbero molestata sulla base di queste false dichiarazioni e rappresentazioni. Eppure, i convenuti non hanno fatto alcuno sforzo per indagare sull'accuratezza di queste dichiarazioni e rappresentazioni, né hanno preso ulteriori misure per nascondere la sua identità», ha dichiarato Klausner, che ha respinto la mozione di Netflix per l'annullamento della causa e ha respinto le richieste di Harvey per negligenza, violazione dei suoi diritti pubblicitari e danni punitivi.

Tuttavia, il giudice ha permesso alla dona di presentare una richiesta di risarcimento per averle inflitto intenzionale stress emotivo. «Sembra che uno spettatore ragionevole possa capire che le dichiarazioni su Martha si riferiscono al querelante», ha ribadito il giudice. «La serie afferma che il querelante è un criminale condannato che ha aggredito sessualmente e violentemente Gadd. Queste affermazioni possono raggiungere il livello di condotta estrema e oltraggiosa».

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