Ecco come il Ticino ha conquistato l'America

Negli Stati Uniti, è schizzata direttamente al primo posto fra le serie più guardate su Prime Video, la piattaforma di Amazon. A conferma della bontà del progetto, verrebbe da dire. Stiamo parlando di Citadel: Diana, un prodotto del multiverso Citadel girato, in parte, anche in Ticino. Un prodotto che, fra gli altri, ha potuto contare sul sostegno e sul talento di Giancarlo D’Erchie, supervisore degli effetti visivi cresciuto a Riva San Vitale ma, da anni oramai, attivo Oltreoceano (e nel mondo). Lo abbiamo raggiunto via Teams a Los Angeles, dove sta lavorando a un altro progetto. Sorridente, ha srotolato il film della sua vita.
Riavvolgiamo il nastro, per
cominciare: chi è e che cosa ha fatto, finora, Giancarlo D’Erchie?
Riformuliamo: come ci è arrivato un esperto di effetti visuali a Citadel:
Diana?
«Sono cresciuto a Riva San Vitale, ma da
quindici anni circa sono un cittadino del mondo. Sono stato in Canada, a
Pechino, in Australia. Di recente, invece, mi sono concentrato sul progetto Citadel:
Diana. Una serie che, fra i produttori, vanta i fratelli Anthony e Joe
Russo. Famosi per aver lavorato a molti film dell’universo Marvel».
Citadel
è un progetto di serie interconnesse che toccano vari Paesi. È questo che rende
il tutto così speciale e unico?
«Sì, direi di sì. Anche perché, in questo
caso, l’idea era di creare qualcosa che unisse, da una parte, la mentalità
europea e, dall’altra, il know-how di Hollywood. Di per sé, è qualcosa
che non è mai stato fatto. Perlomeno, non in maniera così netta».
Citadel: Diana
è una serie italiana, ma girata (anche) in Ticino. Il passo, in questo senso, è
stato breve?
«Non è stato né breve né semplice, per
certi versi. Leggendo lo script per la prima volta, nel 2021, notai ovviamente
la presenza di Lugano e delle montagne svizzere. Fra me e me, pensai subito che
quelle scene si sarebbero girate in Ticino. E per questo ne parlai sia con
Amazon sia con Cattleya, due delle case di produzione che hanno lavorato alla
serie. Spiegai che c’era la possibilità di parlare con la Ticino Film
Commission e che girare direttamente nel nostro cantone sarebbe stato meglio,
molto meglio che puntare su Como e Lecco come inizialmente previsto. Como e Lecco
che, per inciso, avrebbero poi subito un ritocco per sembrare svizzere. Così,
ho messo in contatto l’intera struttura con Alberto Meroni. Il processo è stato
lungo, sia in termini di logistica sia di contratti, ma dopo sei o sette mesi
siamo infine arrivati a Lugano per girare».
Da ticinesi, fa un certo effetto
vedere luoghi a noi noti e cari, come il Lungolago di Lugano, immersi nel
tipico glamour hollywoodiano. Come ha reagito l’America rispetto al Ticino? Il
nostro cantone si è guadagnato un posto di rilievo nelle scelte dei produttori?
«Dopo i recenti scioperi, è vero, le case
di produzione hanno investito molto in Europa. Proprio nell’ottica di spostare alcuni
progetti. La Svizzera, devo dire, non è, o forse è meglio dire non era, così
conosciuta. Non come l’Italia, la Francia, la Germania o la Spagna. Paesi che,
anche a livello diplomatico, spendono molto per promuoversi presso gli studios
di Hollywood. Ma il potenziale, quello, c’è. Eccome se c’è. La Svizzera, detto
del tocco che abbiamo dato a Citadel: Diana, ha un suo glamour. Non
solo, pensando alle produzioni internazionali può fungere da hub. Da centro
nevralgico. È qualcosa che ho detto anche alla Ticino Film Commission».


Come è stato, personalmente, lavorare
a questa serie?
«È un progetto che aspettavo da tutta la
vita: sin da quando mi sono interessato al cinema, mi sono detto che un giorno
sarebbe stato bello fare qualcosa nei luoghi in cui sono cresciuto ma con uno
stile hollywoodiano. Perciò, Citadel: Diana è stata una delle esperienze
più belle e gratificanti in carriera. Anche perché ho aiutato il regista e lo
showrunner della serie a inventare, diciamo così, tutta la tecnologia utilizzata
dai cattivi: dalle lenti a contatto alle armi. Durante le riprese, in Ticino,
ho avuto molti scambi con studenti e persone interessate al cinema. Ho potuto
far vedere che cosa faccio e facciamo. È stata un’opportunità magnifica».
Finora, è emersa con forza la
capacità umana. Il cosiddetto talento. Cinema e televisione, tuttavia, temono l’avvento
dell’intelligenza artificiale. È uno dei motivi per cui sono stati indetti i
vari scioperi…
«Non parlerei di minaccia, però. L’intelligenza
artificiale è uno strumento che aiuta i vari protagonisti del cinema e della
televisione a essere più efficienti. Nel mio mondo, quello dei visual effects,
l’intelligenza artificiale è entrata già da diversi anni. Aiuta in
post-produzione, velocizza molti aspetti e permette agli umani di concentrarsi
su ciò che conta di più. In ogni caso, dietro a ogni aspetto di un film o una
serie ci sarà sempre un essere umano. Per carità, il sogno di ogni produttore
esecutivo probabilmente è poter tirar fuori un progetto senza pagare attori,
registi, sceneggiatori e via discorrendo. Ma, detto questo, non penso che lo
stesso produttore esecutivo possa semplicemente chiedere a ChatGPT di scrivere
una sceneggiatura. L’intelligenza artificiale è entrata nel cinema per cambiare
l’industria, ma non significa che l’uomo scomparirà del tutto».
Il fatto che sempre più produzioni vengano
spostate lontano dagli Stati Uniti è sì una conseguenza degli scioperi ma,
immaginiamo, anche un effetto Netflix: le piattaforme hanno fatto capire all’industria
che per avere successo, globale, non è necessario avere il marchio made in
USA. Giusto?
«Sì, Netflix in particolare ha portato
questo punto di vista differente. E questo trend, beh, è diventato ancora più
forte dopo gli scioperi. A Zurigo, durante il Film Festival, le maggiori case
di produzione americane hanno insistito sul voler portare sempre più produzioni
in Europa. Per questo dicevo che la Svizzera dovrebbe diventare, un domani, un
vero e proprio hub. Il potenziale, come spiegavo, c’è».
E per i professionisti come Giancarlo
D’Erchie ha ancora senso rimanere negli Stati Uniti o in Canada?
«Dipende. Al momento, mi trovo a Los
Angeles per un progetto. Poi vediamo dove mi porterà la prossima
collaborazione. È chiaro che, proprio per quello che ci siamo detti sin qui, il
mondo dei film e delle serie è oramai globale. Citadel: Diana è stato
apprezzato dalla stampa americana e internazionale. I critici hanno
sottolineato la qualità delle scene e degli effetti visivi, dando quindi un
senso anche al mio lavoro».