Il fenomeno «The Bear», fra cucina e sensi di colpa

Le serie televisive di cui parlano tutti generano un’antipatia epidermica in chi non le guarda e The Bear sta diventando proprio una di queste, visto che piace alla nicchia della nicchia. Lanciata negli Stati Uniti sulla piattaforma Hulu lo scorso giugno, soltanto da quando è su Disney+ è diventata un fenomeno anche da noi. Pur virgolettando ‘fenomeno’, visto che in ogni caso i numeri non sono quelli della finale dei Mondiali. Ma non diciamolo all’hipster che spera sempre di sorprenderci.
Di che cosa parla
Raccontare il contenuto di The Bear è già una piccola impresa, perché al di là dell’agilità della visione (8 episodi, piuttosto corti per gli standard di oggi) i piani di lettura sono diversi. Per citare il primo: l’ambientazione è un ristorante di basso livello in una brutta zona di Chicago, locale che il giovane Carmen Berzatto si ritrova a gestire dopo la morte del fratello Michael. Carmen è uno chef di serie A, che a New York ha frequentato altri ambienti e ha ben altre ambizioni, vincendo anche premi importanti, e adesso deve far funzionare un posto di serie C di fatto ereditato insieme alla sorella Natalie, soprannominata Sugar, ancora meno entusiasta di lui della prospettiva: il solo odore di cucina le dà la nausea. Carmen rinuncia alla carriera e si imbarca in questa impresa familiare per senso del dovere, per senso di colpa, perché la sua vita è arrivata a un punto morto e per altri motivi che scopriremo. Nonostante gli incubi notturni (in cui compare il metaforico orso, da cui The Bear) e dipendenti poco collaborativi Carmen cerca comunque di prenderla bene e di far svoltare il ristorante, come immagine e come sostanza.
Il cibo
Il successo di The Bear è in parte legato a quello di qualsiasi argomento riguardante il cibo, almeno in televisione. E nella stessa serie, si può dire nello stesso protagonista, fa convivere l’anima creativa dello chef e quella concreta dell’imprenditore che deve far funzionare una tavola calda in un ambiente depresso e deprimente. Certo le scene in cucina sono molto realistiche, per il ritmo e anche per l’esecuzione delle preparazioni: non c’è quel clima militaresco, con lo chef dittatore, di tanti reality show e anche di tanti ristoranti veri, ma la tensione è sempre altissima e tutti sono sempre lì a fare qualcosa al massimo della velocità possibile. Il fascino di The Bear risiede proprio nel fatto che questo lavoro corale non avvenga in un locale stellato, di quelli che fanno curriculum, ma in un posto senza futuro se non la speranza di arrivare alla fine del mese. La cucina come lavoro, insomma: molto diversa da quella come arte (tutti maestri), come hobby per chi fa altro o come sfogo per casalinghe disperate che dilaga in televisione.
Stress e famiglia
Se Carmen va avanti è perché lo spinge una mano misteriosa: Michael è morto suicida, lasciando un debito da 300 mila dollari e nessuna spiegazione. Così la gestione dell’Original Beef of Chicagoland diventa un mezzo per elaborare il lutto, in un posto dove Michael non lo aveva mai voluto. Per questo Carmen accantona in parte la sua creatività in favore dell’Italian Beef di Chicago, che è uno dei panini più famosi degli Stati Uniti: roastbeef a fette più o meno sottili, giardiniera piccante e peperoni arrostiti, il tutto affogato nel sugo di manzo. Il problema non è la pesantissima ricetta, ma che i dipendenti del locale pretendano di fare le cose esattamente come le voleva Michael. Tutto è stress, in famiglia e in una cucina, figurarsi poi quando i due ambienti si fondono. È qui la chiave di The Bear: lo stress estremo, soffocante, con l’orologio unica divinità indiscutibile. Uno stress che in certi momenti non fa andare né avanti né indietro, anche se poi la situazione si sblocca: meglio muoversi che chiedersi se la direzione sia quella giusta. Per questo l’identificazione scatta anche in chi di cucina sa pochissimo.
Il risotto
Ovviamente gli attori sono tutti credibili, in purissimo stile americano hanno frequentato corsi di cucina professionale: dal protagonista, Jeremy Allen White, alla sua sous chef, Sydney, dal tuttofare Richie alla veterana Tina che rappresentano quella ‘vecchia guardia’ che la sa lunga che tutti detestiamo, tranne quando la vecchia guardia siamo noi. Al netto del politicamente corretto, con la distribuzione fra etnie e generi fatta con il bilancino, impossibile quindi resistere al ritmo della prima stagione di The Bear. In definitiva una serie modernissima, che si svincola dalla trama ed entra nelle vite. Poi la trama c’è e senza entrare nello spoiler possiamo dire che sono davvero riuscite le parti di flashback (in cui Carmen viene bullizzato in una ‘grande’ cucina) e che fra una ricetta trash (il modo in cui fanno il risotto farà discutere, almeno in Europa) e l’altra si chiude comunque con due colpi di scena. Anche se il più grande di tutti è che subito dopo la messa in onda della serie le ordinazioni di Italian Beef, inteso come panino, sono aumentate, secondo alcune società di delivery anche del 30%. Notizia da asteriscare, perché il sogno proibito e inconfessabile della nicchia è quello di diventare di massa. C’è però una anche una terza via, che sta prendendo forma nella testa di Carmen e forse anche in quella degli spettatori.